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Subsonica – Mio angelo guerriero

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Samuel usa parole che suonano. Le usa per passione, e per piacere. Le usa per mestiere. Da almeno una quindicina d’anni. Da quando – prima nella sua Torino, poi in tutta Italia – si cominciò a dire “vado a sentire i Subsonica”. Ecco, andare a sentire i Subsonica vuol dire soprattutto fare i conti con le parole di Max Casacci, Luca Ragagnin e Samuel Umberto Romano, classe 1972, voce ghigno e cappellino di una band che quando si studierà il rock a scuola c’avrà un capitolo tutto suo nei libri di testo.
Per quelli della mia età, quelli tra i trenta e i quaranta, quelli che hanno attraversato il troppo vuoto degli anni Novanta e il troppo pieno degli Zerozero, Samuel e i Subsonica sono stati una presenza costante: erano sui palchi scassati dei centri sociali e tra i fiori del Festival di Sanremo e nelle discoteche di Riccione. E le cose che sono sempre lì, sempre con te, sono le più difficili da raccontare. Così, riuscire a presentarvi questo Mio angelo guerriero, cercando di scattargli una fotografia che non sia né troppo presuntuosamente sfocata né troppo banalmente nitida, mi sembra un compito quasi impossibile.
Una cosa, però, posso dirla per certo: a Samuel piace suonare le sue parole anche fuori casa. In posti meno comodi di quel palcoscenico che ormai conosce centimetro per centimetro. Si spiegano solo così i molti progetti paralleli (Motel Connection, Krakatoa), le tante collaborazioni (davvero tante…) e, ultimo, ma solo in ordine di tempo, il “discorso di carta” che parte proprio ora, proprio dalle parole inedite che trovate qui sotto: un’autobiografia che si potrà leggere tutta solo l’anno prossimo (la pubblicherà Mondadori, nel 2012). In questo primo assaggio Samuel ci accompagna nell’inizio di serata dell’ex rockstar conosciuta come Drago ed evoca un mondo di “discolabirinti” romagnoli in cui sembra di sentire l’eco della prosa schietta di Pier Vittorio Tondelli. Poi… Poi, ci lascia lì, con in bocca il sapore troppo forte del Negroni e quello troppo trasparente dell’MDMA. Dice solo “(to be continued)”. E io posso solo chiedervi di credergli. (Massimiliano Ferramondo)
Ti ho incontrato per caso, come un angelo guerriero sei arrivata a distruggere tutto.
Le luci delle macchine sfrecciano sul muro, entrano dalle persiane e ridisegnano la stanza come raggi laser di bellissime astronavi.
Non so nemmeno se verrai ma io ti aspetto lo stesso.
Inizio così a riordinare nervosamente la stanza, piego i vestiti, allineo le cose, i pensieri, le ferite. Cerco di darmi un tono, ma non ci riesco.
La musica, le luci tutto è a posto.
I laser aumentano il loro flusso, la stanza è ora invasa da una battaglia che sconfina, e osservando queste evoluzioni mi rendo conto che io ci sono già stato, qui.
Una notte di qualche anno fa, dopo un concerto tre giovani donne mi rapirono per portarmi in paradiso. Qui.
Quello che oggi mi sembra l’inferno qualche anno fa era un paradiso, umido, dolce, morbido.
L’ultima sponda di realtà da dove salpare per dimenticare tutto.
Prima però andammo in spiaggia, ci spogliammo, era una di quelle notti in cui i vestiti ti volano via senza peso, tutto accadeva intorno a noi e noi eravamo tutto.
In acqua ci raccontammo chi eravamo e dove stavamo cercando di andare, e i miei racconti risplendevano nel vento come le opere d’arte sotto i neon.
I loro occhi pendevano dalle mie labbra, sapevo che di lì a poco saremmo finiti tutti nello stesso letto.
Quella notte arrivammo fino a qui, in questa stessa stanza d’albergo.
Fuori l’Emilia Romagna risplendeva come un diamante, a metà degli anni Novanta era l’unico posto in cui ti capitavano certe cose, l’unico luogo così profondo e denso dove potersi dimenticare. Nello stesso modo i fari delle macchine disegnavano i muri, e noi ridendo dinoccolati raggiungemmo il letto, la mia bocca ancora cantava, mentre le loro baciavano e assaporavano ogni parte del mio corpo sudato.
Intrecciati ci regalammo la vita con bontà infinita, nessuno fuori metrica, nessuno fuori tempo, tutti e quattro armonizzati in una sinfonia. Tutti quanti coscienti del fatto che dopo questa notte non ci saremmo più rivisti.
Vorrei poter dimenticare.
Dimenticarmi di tutti quei momenti. Fanno più male di un coltello ora, è come se tutta la leggerezza di quei giorni tornasse indietro con un peso specifico enorme.
Il lento defluire delle cose mi ha portato fino a qui, ad aspettare te.
Il mio angelo guerriero arrivato a distruggere tutto.
Sono sdraiato nel letto da ore ormai mentre i raggi laser rallentano, la loro battaglia non è più così incredibile ora, non riescono più a incantarmi e inizio a credere che forse non verrai.
Fa ancora più male pensare che potevo gettarmi tra le braccia di qualche “bella passante” e cercare di estinguere i pensieri, invece ho deciso di venire in albergo ad aspettarti, sapendo perfettamente che non saresti arrivata. Mi sento come l’illuso di Via del campo che va dalla sua puttana a pregarla di maritare.
“Ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente.”
Ecco! Il mio è sordo, forse non ha le orecchie, o semplicemente le sta usando per qualcun altro.
La battaglia è finita, niente più raggi laser e astronavi sul muro, è tardi e le auto sono già tutte infilate nei parcheggi delle discoteche, è sabato sera e la riviera sta per esplodere.
In un rigurgito post-rock recupero la roba che ho comprato ieri dal Robby, il mio spacciatore di zona, ne inalo un po’.
Devo uscire.
Scendo e mi trovo in mezzo all’ultima ondata di famiglie che tornano verso i loro alloggiamenti, in un tripudio di bancarelle colorate, giocattoli colorati, negozi di scarpe colorati, profumi, asciugamani della coca-cola e infradito di gomma. Sembra che non abbiano un cazzo da dirsi, camminano affiancati e non si guardano nemmeno. Ma come si fa ad andare in vacanza con uno con cui non hai un cazzo da dirti?
Forse all’inizio è diverso, forse all’inizio di quella malattia chiamata famiglia le persone sono accese, innamorate, poi smettono semplicemente di parlarsi.
Io non voglio diventare così, preferisco essere quella merda di ex rockstar sfigata che sono diventato, e dopo aver fatto girare le palle a tutte le donne che hanno avuto a che fare con me, sei arrivata tu.
Il mio bellissimo angelo guerriero arrivato dal nulla a distruggere tutto.
Il viale del tramonto però lo immaginavo diverso, meno colorato, questo è accecante e la tristezza del circo si fonde con il mio umore, un misto di umiliante assuefazione a me stesso che non accetta di essere finito.
Ho sete, entro in un bar e ordino un Negroni sbagliato, quello per cui il barista fa finta di sbagliarsi e ti mette ancora più alcol di quanto non c’è ne sia già in un Negroni. Poi mi aggiro per il locale cercando di essere riconosciuto.
Cammino annoiato tra i tavolini fingendo di cercare qualcuno, pensando al mio angelo guerriero, cioè l’unica cosa in grado di darmi un po’ di luce ora, e sento una voce dietro di me.
A: “ Ehi, hai visto chi è quello?”
B: “No chi è?”
A: “Si chiama Drago era famoso negli anni Novanta me lo ha fatto vedere mio padre su Youtube un po’ di tempo fa.”
B: “E chi cazzo è?”
A: “Una volta spaccava, faceva musica elettronica poi l’hanno beccato con della droga ed è finito in gabbia.”
B: “Ma va’!”
A: “Che sfigato.”
La situazione sta diventando sempre più umiliante ma il mio angelo guerriero morde dentro e questa notte non posso passarla da solo.
Mi giro di scatto e chiedo una sigaretta. Ma ottengo solo del tabacco Pueblo, cartina e filtro.
Mentre mi preparo una sigaretta inizio le manovre.
La tecnica dell’aggancio.
È sempre stato il mio forte, quando capitavo da solo in qualche città per fare promozione la sera andavo per locali cercando di farmi riconoscere e agganciarmi a qualche gruppo di ragazzi del luogo per fare serata con loro. Alla fine mica si può rifiutare a una rockstar una serata da rockstar, no?
D: “Che fate ragazzi? Andate a ballare stasera?”
A: “Ovvio, che cazzo vuoi fare, di altro, qui il sabato sera.”
Negli anni ho capito che con i più giovani devi lasciare che parlino loro, non so per quale motivo ma dopo un po’ si lasciano andare e diventano degli agnellini.
A: “Senti un po’, ma tu sei Drago quel tipo degli anni Novanta?”
D: “Sei piccoletto per ricordarti certe cose, comunque sì baby sono io… roba forte!”
I ragazzi scoppiano in una risata, me li sto lavorando bene. Tutto sembra funzionare come una volta eppure io mi sento un vecchio dinosauro che sta grattando il fondo del barile.
B: “Sei forte nonno, che cazzo ci fai tutto solo qui in mezzo al bordello, non dovresti essere a mettere a letto i nipotini?”
Continuano a ridere.
D: “Loro li ho già addormentati con un po’ di Md, adesso ne stavo cercando per me.”
La droga è sempre un argomento valido con questi teppistelli.
Il gioco è fatto.
In breve divento la novità della nottata, in un luogo dove tutto è sempre uguale nei secoli dei secoli.
Racconto qualche storiella criminale appresa qua e là spacciandola per un trofeo di galera, e neanche un’ora pendono tutti dalle mie labbra come se fossi un cazzo di incantatore di piccoli fottuti serpentelli.
Sono sempre stato bravo in queste stronzate.
Una volta un amico mi disse:
“Quando c’è da baccagliare tu diventi un cazzo di Nietzsche”.
Ovviamente all’epoca funzionava sempre, oggi molto meno.
Per l’esattezza non funziona più con i ragazzi di una certa età, quelli giovani, qualche dinosauro rugoso e malinconico mi riconosce ancora, ma quelli mi annoiano, sono troppo vecchi per me e non hanno mai droghe da offrire.
(to be continued)
Samuel

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