In qualsiasi rivoluzione quelli che si ribellano contro la società sono stati corrotti da essa. (Robert Coover, Whatever Happened to Gloomy Gus of the Chicago Bears?)
Sul grottesco iter parlamentare della normativa che avrebbe dovuto risparmiare il carcere ad Alessandro Sallusti. La feroce, ostinata determinazione a conservare i privilegi di casta – ogni casta, perché in Italia ce n’è più di una e non è affatto detto che quella politica sia la peggiore – detta legge. È un fatto, non un’opinione. Uno stereotipo linguistico, anche. Ma è proprio nella lingua, e nell’assuefazione al luogo comune, prima che nei conti bancari di qualcuno, che si insidia la corruzione di una società. Quello che era un esercizio di democrazia, e che richiedeva agli estensori eletti dal popolo una forma di magistero, è diventata una guerra per bande. Ringraziamo vent’anni di strisciante berlusconismo per avere avariato anche il linguaggio, e quindi il pensiero, puntando all’analfabetismo che ci impedisce di cogliere il verminaio di guasti nascosti nelle parole che diamo per scontate. Questa depravazione, come dimostra il caricaturale balletto sul decreto legge sulla diffamazione, non ha risparmiato chi a parole diceva di essere all’opposizione e ora si candida per governarci. I nodi vengono al pettine. Ecco il cambiamento che promettono. La rivoluzione agognata. È qualcosa che ha pur sempre a che fare con la mediocrità. Sarebbe bastato il semplice, luminoso buonsenso espresso da Danilo Maramotti nella vignetta pubblicata sull’Unità. Carcere, multe, domiciliari… Ma se per essere passati col rosso ci tolgono punti dalla patente, perché quando un giornale diffama – senza nemmeno rettificare – non dovrebbe pagare pegno, scusarsi e riconquistarsi la credibilità perduta, magari mandando a ripetizione di giornalismo i responsabili, editore compreso? No, troppo semplice perché chi vuole “dettare legge” e si sente assediato – i politici – percorrano una simile ipotesi. Troppo oneroso per chi – i giornalisti e la stampa – pretende di conservare l’immunità che ogni potere che si possa dir tale sa come costruire e difendere, magari sbandierando strumentalmente il “diritto all’informazione”. Alla faccia della legalità e della meritocrazia, anch’esse parole finite nella centrifuga dei rapporti di forza e dei subdoli rovesciamenti di senso.