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Arno Schmidt inedito. Arno unchained.

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Nel bel libro di Paul Auster, The Art of Hunger (1992), manca un capitolo su Arno Schmidt. Proprio il mese scorso un testimone ha raccontato come una sera del 1949 a Cordingen, Bassa-Sassonia, un profugo slesiano lì trasferito dal 1946 fosse stato invitato dal borgomastro a un rinfresco pubblico, e com’egli si fosse immobilizzato con lo sguardo fisso davanti a un piatto di würstel, finché il borgomastro non finì il suo discorso. Era Arno Schmidt. Del resto il suo primo libro, giusto del 1949, Leviatano, è dedicato alla sorella Lucie, con la motivazione che da New York (dov’era fuggita prima della guerra col marito ebreo) lo aveva salvato inviandogli qualche pacco di viveri. Eppure… Come si dice adesso, Arno col Leviatano fece il botto: non solo per un importante premio letterario vinto l’anno dopo che gli dette ossigeno, ma in più per i giudizi entusiastici che arrivarono da Alfred Döblin e da Hermann Hesse. Del resto il tipo non era di quelli diciamo così elastici. Qualche mese dopo Martin Walser lo invitò alla riunione annuale del Gruppo 47, che si facesse conoscere leggendo come di norma un pezzo davanti ai vari Böll, Dürrenmatt ecc. Arno rispose con una cartolina: “Grazie. No”. Giorni dopo tornò alla carica Rowohlt, il suo editore, confidandogli l’intenzione di ingrossare il premio annuale che il gruppo conferiva a uno scrittore (l’anno prima era stato il turno di  Böll) con un lauto versamento. Arno rispose che i soldi poteva darli piuttosto agli autori della casa editrice, che i suoi libri rimanevano buoni con o senza premi, che non era “adatto a fare il mannequin” – e in P.S. aggiunse: “Lì al Gruppo 47 bisogna anche cantare, o basta leggere nudi?”. Che in Italia non avesse trovato finora un editore, sembra un mistero, ma non lo è se guardate qui: http://tysm.org/?p=8565 Il plot del Leviatano è presto detto: l’io narrante, in fuga dai russi sul fronte orientale (siamo nel febbraio 1945), s’impossessa con altri sbandati (qualche soldato, tre ragazzotte di campagna, un vecchio postino, un pastore protestante con famiglia, due giovanissimi SS, una vecchia compagna di scuola di cui era segretamente innamorato) di una locomotrice e tenta di fuggire ad ovest… Sullo stile invece non si finirebbe mai di dire, per cui lsarà meglio proporre un brano dalla cui lettura il lettore si formerà un giudizio, con annessa voglia o rifiuto di acquistarlo: costa come un cinema 3 D, solo che questo è a 4.

Arno Schmidt, Leviatano o Il migliore dei mondi, a cura di Dario Borso, Mimesis Edizioni, Milano 2013, pp. 37-38.

Dario Borso

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Un soldato s’intratteneva coi minorenni della Hitler-Jugend (e le ragazze annuivano convinte) : «Niente è perduto; vinceremo. Il Führer segue una tattica precisissima : prima li attira tutti dentro, e poi arrivano le armi segrete.» «Goebbels stesso ha affermato testualmente», incalzò uno dei due ragazzi, «“quando vidi l’effetto delle nuove armi, mi si fermò il cuore”. E in tre anni sarà tutto ricostruito – più bello. I progetti stanno tutti bell’e pronti dal Führer, nel cassetto della scrivania.» Eccetera. E i loro occhi luccicavano come i vetri di manicomi in fiamme. Saluterei con gioia la fine dell’umanità; ho fondata speranza che entro – beh – fra i 500 e gli 800 anni si saranno annientati del tutto; e sarà cosa buona.
 Il sole apparve per un istante da timide nuvole. Mi accovacciai contro un ceppo d’albero; sotto, Anne stava appoggiata al rosso vagone, in piena luce. La testa mi cascò sul petto, presi sonno. Lontana era la stazione brulicante – lontane scale e pensiline; quand’eccomi già urlare : «Arrivano! al riparo !» Diecimila facce da incubo impallidirono, si protessero lungo tutte le pareti; io mi buttai accanto ai gradini in pietra. Su, nell’aria chiara loopavano i tre apparecchi; nitidissime le canne da un pollice oltre le superfici alari. Anne era stata staccata via da me, un fiume di figure scorreva in mezzo; alzai il capo per chiamarla, che già grandinava sulle pietre e rimbombava. Fiammelle verdi lunghe un braccio spuntarono sottili dal terreno, strapparono zolle grandi quanto tavoli; fischiavano schegge, gente che sanguinava. Giostravano in volo e sparavano, spinta e controspinta; su locomotive; i muri delle case crivellati di buchi grossi come un pugno; la cima di un albero schiantò giù (Madonna con maschera antigas, soggetto per antichi maestri) – ecco : vanno via ! Tornai correndo al nostro vagone (che improvvisamente si era trasformato in una carrozza viaggiatori), chiamai disperato: «Anne ! Anne !», ma già appariva al finestrino. Salii lentamente sul predellino, stanco, nel vecchio sudicio pastrano militare, stanco; afferrai il vetro abbassato con ambo le mani e guardai su nel suo viso, guardai e guardai. Lucente quiete e beatitudine. La sua bocca accennò a incresparsi irridente e graziosa, stupore e tenera gaiezza, estraneità e trasporto.

Trasse una mano di tasca e me la passò sulla fronte, nei capelli. Il suo viso era chiaro dei miei occhi; meditava e cercava di capire. Disse : «Quanta sporcizia e miseria in tutti questi anni –.» Silenzio accarezzante. Malinconico e furbo s’inarcò un’altra volta il rosso delle labbra, sorrisetto e parole, pericolose e lusinghevoli : «E un angelo custode occorrerebbe proprio, no ? » Trasalii; mi svegliai; sole d’oro e ombre blu chiazzavano tutt’intorno. Anne stava davanti a me, mi osservava con interesse e chiese : «Che succede ? Mi ha chiamata così intensamente e caldamente». Fece una brevissima pausa artistica e aggiunse ironica e complice : «Sognato, eh ? !» Aggrottai le sopracciglia; raccontai; parola per parola. Mi ascoltò con orecchio sarcasticamente teso. «E – c’est tout ?» domandò, e come delusa : «– assai poco piccante invero. I soldati pare siano in genere più aggressivi –». Provocatoria. Annuii cortesemente e dissi : «Lo so, sono cambiato poco. Ad ogni modo nemmeno lei». Mi girò le spalle scoppiando a ridere, poi fischiando («Signorina, oggi non può restare sola…»), si fermò, tornò indietro e s’informò : «Tra l’altro, le capita piuttosto spesso : di sognarmi – ?» Non esitai affatto, dissi categorico : «Sì». Rovesciò il capo in segno di apprezzamento e aggiunse da dietro la spalla : «Un po’ diverso però è diventato. Prima faceva solo gli occhi da pesce lesso – ma bene». Sfarfallò giù di nuovo da sua madre.

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