Abbinare il numero alla lettera: vince chi azzecca più abbinamenti. La soluzione verrà data sabato 8 giugno in via tadino 10 alle 18:30 (indicazioni ulteriori qui e qui); premio, 2 ingressi gratuiti.
1. Nadia Agustoni, Il mondo nelle cose, LietoColle. 2. Viola Amarelli, Le nudecrude cose e altre faccende, L’arcolaio. 3. Francesco Balsamo, Tre bei modi di sfruttare l’aria, Forme libere. 4. Dario Bertini, Frequenze clandestine, Sigismundus. 5. Marco Bini, Conoscenza del vento, Ladolfi. 6. Natalia Bondarenko, Confidenze confidenziali, Rayuela. 7. Antonella Bukovaz, al Limite, Le Lettere. 8. Alessandra Carloni Carnaroli, Femminimondo, Polimata. 9. Anna Maria Carpi, Quando avrò tempo, Transeuropa. 10. Biagio Cepollaro, Le Qualità, La camera verde. 11. Claudio Damiani, Il fico sulla fortezza, Mondadori. 12. Giampaolo De Pietro, La foglia è due metà, Buonesiepi. 13. Milo De Angelis, Quell’andarsene nel buio dei cortili, Mondadori. 14. Vito Intini, Poesie a nero, Radio Ed. 15. Franco Loi, Lader de Diu, Ladolfi. 16. Silvia Morotti, I fuochi di Sant’Ermete, Lampi di stampa. 17. Davide Nota, La rimozione, Sigismundus. 18. Vincenzo Ostuni, Faldone zero-venti, Ponte Sisto. 19. Nico Polerti, Fora de ora, Vegre Ed. 20. Marilena Renda, Ruggine, Dot.com Press. 21. Greta Rosso, In assenza di cifrari, LietoColle. 22. Marco Scarpa, Mac(‘)ero, Raffaelli. 23. Italo Testa, La divisione della gioia, Transeuropa.
A. riposare leggeri dentro un braccio
o una gamba essere indifesi come una spalla
esposta a tutti i pesi di nascosto pregare
sulla punta delle dita separarsi soltanto a luci spente
ogni notte e sparire (solo) nelle onde delle lenzuola prendere un libro aperto
e accelerare ogni immaginazione scaldarsi in un cerchio di sole
da soli dimenticare il discorso funebre
del medico una foglia sopra l’altra è questa la comprensione dell’abitudine. B. («naturaliter seguono i picchi e le valli delle cose umane – delle generazioni, ad esempio; per dire:
adesso, mia madre affacciata al quinto piano che saluta a larghi gesti mio figlio
nel cortile;
procedono per un tracciato fasico che interseca ma non perturba
quello tonico della morte dei più. è la violenza, dal canto suo, ad essere invece ferma, un’onda
piatta o l’assenza di un’onda – e non un climax o un ciclo o un fattore d’attenzione
nello spettro frequenziale della storia»). C. c’è un campo, e un’ascia, e tu che sorridi:
andiamo avanti, hai detto, senza voltarci. e ancora, nel campo, con la testa sul vetro
ti ho spinto e poi con fermezza ripreso: ma altro non resta e mentre ti spogli
ancora sul vetro mi fletto e ricado. bastava mostrarsi e tutto era dato
senza luce voltarsi e levare ogni peso: ora chiama le cose, soffia sul vetro,
nel parcheggio ormai vuoto non ha più dimora quello sguardo che un giorno gettavi su un prato
per ogni minaccia che dal buio premeva. quando premo alle spalle misurandoti il fianco. D. questo è il convegno politico della poesia:
il suo consiglio d’amministrazione la sua finanziaria:
creeremo una rete che consideri:
valutazioni quantitative del fenomeno poesia
tecnici della poesia assistenza post vendita della poesia
critica delle situazioni sconcertanti e rischiose
atteggiamento del pubblico della poesia
la recessione della poesia, direttamente proporzionale alle
vendite
codice utente fidelizzazione verifica dei costi e dei ricavi
critica della poesia sotto forma di comunicati stampa. E. qualcuno ha spalancato la finestra e il vento ha spinto le mie lettere agli angoli della stanza sotto i mobili sui davanzali fino alla luna che lui come tutti gli uomini d’ingegno abita da secoli …avrei dovuto dirgli che qui ho tutto quello che mi occorre il cielo scende dai vetri io posso risalire lungo i rami del nocciolo e spiare quei due fili di carta che si lasciano cullare “le mie colpe hanno sorpassato la mia testa” io gli parlo come Davide nei salmi soltanto perché vorrei che mi credesse se gli dico che un tempo l’aria si lasciava attraversare e la pioggia scivolava dai palazzi senza scioglierci le ossa. F. meglio non dirlo troppo in giro poi si sa come va lo sa questo lo sa quello meglio sarebbe astenersi del tutto o farle sul serio zitto-zitto veloci-veloci nascoste al buio e al nero politicamente scorrette e senza preservativo senza tanti clamori e senza troppe isterie le mie solite poesie. G. i fiori dei giardini pubblici proprietà degli assessori comunali ripercorrono confini funzionali alla conservazione di padroni e schiavi. ma la poesia è gramigna, selvatico fiore incolore o dal pessimo gusto, si manifesta al passaggio del matto (due o tre l’anno su queste contrade lo vedranno). e non serve al decoro né all’animo schiavizzato è sollievo. come il cardo montano non colto e alla vista mistero del pianoro deserto, al pensiero fratello e il pastore di un tempo ci faceva il risotto. H. i crolli, le cadute, i cedimenti la linea dorata che si spezza e i gesti veloci a coprire gli ingombri, i segni interi progetti tornati su due piani e le colpe rimaste tra le ceneri e le crepe. “si poteva fare diversamente, gettare le assi con più raziocinio, capire prima cosa non avrebbe retto, lucidamente prepararsi allo sgretolio”. I. la prima volta è per ribellarsi alla luce pulsante,
per gli animali a riposo, i radi viaggianti,
i trasportatori del giorno da dimora a spazio.
per le crepe del tufo sulle case più alte,
per gli ombelichi delle stalle, i figli delle api. il movimento è una sinergia tra orizzontale e verticale.
le onde circolano attraverso la materia conduttrice;
sono fiume che invade il tunnel, acqua propagata.
è il segnale del vulcano al mare, del nemico
al nemico, preannunciando primavera nucleare. la seconda volta è per i vecchi rappresi
in coni di fuliggine, in grumi di carbone.
i vecchi sono ombre legate salde al suolo,
sanno gli abbracci, il colore e le insidie
del bosco che incontra il rossore. L. l’infinito appare nel poco, come l’ultima nota di un grido mentre si dilegua. L’attimo ci insegue. cosa ho amato? forse quell’aria, due centimetri, tra il corpo e l’asticella, che dà luce a ogni applauso. o quel soffio invisibile sull’albero dove sorride fanciulla e non ha fine. e quei feriti di un’antica gara che trovarono in questo bar un interno musicale. poi basta. Poi la parola che presenta se stessa, l’interminabile parola data. M. dal mio piccolo punto di vista vedo l’universo. un rettangolino. il mio terrazzo. è la notte di maggio calda e fresca, una brezza mite spira che mi rinfresca della giornata afosa. l’universo non credo sia diverso dal nostro mondo: dopo tanto pensare, tanto meditare sono convinto non solo che quel che sta sulla terra sta un po’ dovunque nel cielo ma anche che quello che sta nel cielo sta un po’ qua e là sulla terra. allora dico: non ci immaginiamo cose tanto strane ma guardiamo quello che ci sta vicino, lasciamoci ferire dalla sua bellezza e nella sua sapienza riposiamo il cuore. N. le paure si spostano più in là ogni volta come se fossero prolungamenti invisibili dei piedi e ogni passo che aggira pesante o felpato rimanda di un poco con l’urto del sasso il vero inciampo le paure che avanzano sono tutte rivolte all’indietro: l’importante per loro è sempre negare alla via la sua uscita. O. trenta giugno uccide l’ex e l’altra ne ho fatte secche due e adesso m’ammazzo scusate se gli ho rotto la faccia gli ho fatto i buchi sotto le guance per farci passare l’aria gli ho tolto gli occhi per non farle invecchiare è entrato come un rospo dalla porta di dietro io lavavo i piatti della colazione il cane non ha detto niente gli ha mosso la coda l’ha riconosciuto io pensavo adesso questo cosa vuole fare pace vuole un altro bacio vuole un biscotto gli ho appena tirati fuori dal forno gli do un biscotto e lui dopo va via subito mi lascia stare mi fa tornare alle tazzine con lo zucchero attaccato e invece quello si toglie un fianco e me lo punta contro come se al posto dell’osso c’è la punta del suo cuore marcio che butta sangue e mi scrive sulla fronte brutta stronza te la faccio pagare e sotto comincia a passarci un fiume mia figlia non ha visto niente lui ha fatto cucù dalla strada come se era un orologio rotto che segnava l’ora sbagliata e invece di uscire un uccellino è uscita la sua mano di ferro e il becco mi ha bucato il collo per fortuna che mia figlia non ha sentito niente hanno suonato appena le otto. P. vece paroe fonde che pare sogni.
sgàlmare salde pai cavini de lea.
paroe vece
piantae in testa
cofà carui ’n tel legno.
ve go catà rento i ani
bevue coa boca del rìdar e del criar.
paroe che ’l can del vassoro
ga s-cioà dai ruji, dai grèpani,
che le canzon sberegae dea vendema
ga despicà dai ricordi.
paroe cofà ganbe de panocia
tute defilato,
invergolae tòsseghe e dolzi
al briscolar de le stajon.
me conpanadego e pan
al primo capir le robe. Q. cercarsi tra i gesti che spingono forti di una sfida ai legami andare e trattenuti mirare l’attraversamento e già immaginarsi la fine e l’oltre nel preciso istante e un po’ più in là e c
iò a cui vai incontro ti segue resta con te e ti impedisce ti scolpisce – diventa te sei tu. tesa tra due e più centri parete linea trincea inizio e fine patto con l’alta marea limite io di me limite. ah! se solo provo a scavalcarmi a evitare lo sguardo mio di me che guardo scavalcare me che scavalco che trapasso il superarmi sfondo e mi trafiggo sbilancio e passo da un’idea all’altra ad altra vita mi trasmetto mi perforo scorro e trascorro sempre oltre vado e vedo me che vedo me là in fondo. prendo la rincorsa e sfondo viaggio veloce scivolo dall’altra parte mi prendo per la coda mi raggiungo arrampico il mio doppio mi scalo mi aggrappo e rientro senza intoppi ri-sono io ho fatto il giro – vedi! non mi sono d’impiccio non ti confondo sono qui per qualcos’altro tradurremo la luce del faro. R. ieri notte, nel sogno, ho chiesto tramite goethe al suo amico prediletto, mefistofele, cosa pensa di me compresa la mia anima, e stanotte, nella fretta del risveglio ci siamo messi d’accordo sul prezzo [non sapevo che i saldi fossero iniziati da un pezzo]. S. non ti chiedo un rimborso in denaro per il disturbo, solo quel briciolo di tempo mi occorre che adoperi la sera tra la doccia e le lenzuola per tastare il polso alla tua vita inondato dalla luce dello schermo, un apostolo. ti chiedo questa cosa: riuscirai a non farti prendere dal panico, intendo alla prospettiva delle cose che domani tiene in serbo per noi? non sentirti tuo più in là del pianerottolo, rientrare nel personaggio, affiancare come sempre il cucchiaio e la forchetta, raccogliere i tuoi avanzi e ricomporli dopo cena. ritmo, fegato, pazienza: questo non ci manca. potremmo farne a meno, noi come pellerossa carponi sulle traversine, se il minimo sussulto non ci allarmasse nel battere dell’ordinario? se non fossimo sempre pronti a farci un altro goccio. se non ci ficcassimo in bocca spazzolino e lima, per lavarli, i denti, e affilarli. T. ci sono cose che capiremo, prima o poi, a forza di provarci, tendere a un oltre indefinito, più caro a farsi certo, misurato; allora pensa, non fare mensola al pensiero, accoglila la polvere se ha memoria del buio solco in cui dimora il chiodo, il colore dell’acqua dentro ai tubi, della corrente a fasi alterne negli impianti, dei blackout – e soprattutto – fai attenzione al ridere scomposto, irrefrenabile, del sangue dopo un bacio. U. (campagna d’inverno) la luce di gennaio che ora è febbraio filtra le foglie dei sempreverdi i tronchi con i rami pazienti di vento questa immane stanchezza di nuvole in corsa, riepilogo di temporali, spossa il midollo e la pelle a toccarla si secca restano, eroi, i cani randagi e le code di uccelli ci vorrebbe un riposo incessante un letargo che plachi la crosta e protegga le ossa, il latte che è inacidito l’hanno buttato nel pozzo, gli sciocchi. V. quando c’è chi va nel buio in alto in casa muovono seggiole forchette bicchieri a volte nei vetri suonano casa sembra pareti sembra coniglio avere paura fino al prato. ci credi la casa un mare il diluvio dei muri, i minuti il numero dei morti negli abiti stesi nell’aria, ci pensi casse leggere paese rimasto cortili gente che crede al ciclope ai mostri alla televisione: “sono con i musi di allora e foglie piccole come del mondo dare il pane il tempo contato nel tempo ma rimasti a pensarci come il bene di prima.” i vivi siamo quello che fa il bene gli uomini sono tavoli il mangiare della terra guardare le rose, capire: darai essere nato, scavare inverni, ma rame le gambe salire, così nelle spalle sacco fare tempo, i polsi quasi vivi quasi polvere leggere col dito queste parole e dentro stare il modo di foglie andare via: qualcosa è abitudine qualcosa non sa qualcosa (nel volto guardare dopo sappiamo piangere gli occhi cresciuti come crescere le piante in basso le radici ali sciolte di insetti staccate presto prestissimo dalla vita). la vita è perché i temporali fanno questo spavento nessuno lo dice i morti graffiano il vento sulle mani, portano cose portano giorno prendere viso braccia. W. fotografia, i vecchi della piazza che oggi danno le spalle affacciati alla ringhiera sul futuro asilo comunale, il sole a sud-ovest si purifica a tramonto, la piazza immobile vacilla o sembra sprofondare perché a sentirsi trascurata, forse scomparirà col pomeriggio, finendo appena in fondo al giorno, insieme al centro, l’ego, il giro tondo, tutto. filo dei ripensamenti. Y. l’inno alla gioia: o bella, o tu scintilla degli dèi, tutti fratelli dove batte la tua ala, questo bacio a tutto il mondo. Fratello whisky, la mia apoteosi è qui in cucina, al tavolo di sempre, fuori il cortile e le finestre accese, gente che ignoro, è questo debole scintillio di essere me, me sola, e non voler la fine. Z. me disen cum scriv e san no scriv,
me disen mé pensà e pensen mai,
‘m’i musch che stann nel cü de la sapiensa
e i sò scureng el creden un pensà.
Dario Borso