La bellezza della lingua non è prevedibile.
Ed è proprio per smontare le espressioni comuni che si potrebbe ricorrere al Dizionario delle collocazioni, realizzato da Paola Tiberii e pubblicato dalla casa editrice Zanichelli.
A differenza di un dizionario comune, il Dizionario delle collocazioni considera le parole non in base al loro significato ma per la loro capacità associativa e si concentra esclusivamente sulle combinazioni dei termini, suggerendo le parole più adatte da accostare tra di loro.
“Le collocazioni – afferma Paola Tiberii – sono espressioni formate da due o più parole che per uso e consuetudine lessicale formano una unità fraseologica non fissa ma riconoscibile. Le collocazioni possibili sono molte, alcune più frequenti e comuni, altre più specifiche e raffinate.”
Sfogliando il dizionario, ci si imbatte in lemmi come GOAL a cui sono accostati numerosi aggettivi tra cui acrobatico, splendido, rocambolesco, o in parole come FOLLA definibile brulicante, composta, vociante, commossa.
Non sempre, però, vi è un nesso logico tra i termini, se si pensa a espressioni come ‘tessere un elogio’, ‘rabbia cieca’ o ‘discussione accesa’.
Si può dire ‘lanciare un appello’ ma non ‘tirare un appello’, anche se i due verbi sono sinonimi. “La stessa riflessione – sostiene Paola Tiberii – riguarda il confronto tra l’espressione ‘forte guadagno’, una collocazione comune, e ‘potente guadagno’, un’espressione non in uso e dunque non riconoscibile”.
Dunque, un’espressione di per sé non riconoscibile costituisce un errore?
Le collocazioni costituiscono un terreno su cui i linguisti, i lessicografi si confrontano e rappresentano un vero e proprio ‘campo minato’ (collocazione!) per i non madrelingua. “Errori e imprecisioni, evidenti all’orecchio di un madrelingua – spiega l’autrice – non vengono percepiti come tali da un non madrelingua. Consideriamo l’espressione ‘prestare attenzione’: l’equivalente inglese ‘pay attention’, tradotto letteralmente, sarebbe ‘pagare attenzione’ ed è un’espressione incomprensibile in italiano.”
Superfluo soffermarsi in questo contesto sulle espressioni idiomatiche nelle varie lingue. Di fatto, tutti usano le collocazioni, anche inconsapevolmente, rischiando talvolta di ingessare una lingua che, per costituzione, è in perenne movimento. Utilizzare il dizionario può essere utile per confrontare gli usuali abbinamenti e magari trovarne di nuovi, alla scoperta affascinante della lingua italiana.
Il lemmario è formato da oltre seimila termini appartenenti a tre categorie grammaticali: nomi, aggettivi e verbi. “Le collocazioni presenti nel dizionario, benché si avvicinino alle duecentomila – sottolinea Paola Tiberii – non costituiscono ovviamente tutte le combinazioni possibili. È stata fatta una scelta, escludendo sia collocazioni rare o estremamente specifiche, sia quelle troppo comuni e generali.”
Il dizionario non è rivolto solo a specialisti della lingua, ma a tutti coloro che usano la lingua italiana e avvertono l’esigenza di uno strumento linguistico funzionale. Può essere usato sin dalla scuola primaria stimolando gli alunni a cercare i termini più appropriati e a interrogarsi su cosa vogliono realmente dire, favorendo in questo modo un progressivo arricchimento del loro lessico. Se la padronanza di una lingua è direttamente collegata all’abilità di associare correttamente i termini fra loro, è evidente come la conoscenza delle collocazioni sia fondamentale per esprimersi al meglio. Altrettanto, è bene ricordare come l’abuso di collocazioni, nel giornalismo, nella narrativa così come nella comunicazione istituzionale, può sfociare nella pigrizia linguistica, in espressioni abusate e prevedibili (ridente cittadina, vedova inconsolabile, inestimabile valore, cielo blu, notizia straordinaria, unanime cordoglio, padre esemplare). La precisione delle parole – banale a dirsi – è anche originalità di contenuti, al netto di luoghi comuni e sciatteria linguistica. Il dizionario di Paola Tiberii, costato all’autrice numerosi anni di lavoro, è un valido strumento per destreggiarsi nello sterminato mondo delle parole.