Un cadavere. Ho visto un cadavere. Per la prima volta in vita mia. Nella piazza del mio ex quartiere, a Talenti, Largo Pugliese. Lui viveva lì, chiuso in una fiat uno. In tutti questi anni lo avevo conosciuto, ucraino, con la barba , stava seduto davanti alla chiesa e chiedeva qualche spicciolo. I carabinieri quella mattina ci chiedevano se sapevamo il suo nome.Io non capivo niente. Era la prima volta che vedevo un uomo steso a terra e mi sembrava che ridesse. E’ un’immagine che mi porto dietro quasi ogni giorno, sono passati due mesi e la sua morte in mezzo alla strada, in mezzo a passanti indifferenti toccava più me che lui forse. Anche la sua vita era stata così, per questo ci vedevo un sorriso su quel volto. Andai via, e mi venne in mente il “panorama di Betlemme” di F.De Gregori . Non lo so, la strofa “lasciami riposare prima che devo morire” mi sembrava quel momento. La verità è che devo scrivere sulla musica di Francesco De Gregori, ma non amo dare spiegazioni e senso a ciò che lui scrive. In realtà è tutto molto più complesso di quanto possa sembrare. E credo che l’unica precisazione da fare è che per quanto mi riguarda la musica per me è tutto, al tutto assegni volti e cose, luoghi e persone, alla musica sola concedo il mio passato e le cose più care da custodire.
Grazie alla musica di F.De Gregori ho messo in tasca il ritorno, sempre. Non amo ascoltare De Gregori con nessuno, lo faccio solo con la mia amica Valentina, lei conosce i miei sbalzi di umore, la mia casa e la mia famiglia,ancora meglio lei conosce i vetri della mia stanza. Da piccola stavo sempre affacciata dietro ai vetri,mi piaceva tantissimo, chissà cosa aspettavo e ancora aspetto oggi. E’ un momento che non ho più ripetuto per anni. Quando ascolto De Gregori invece, mi piace stare dietro ai vetri. Quelli dell’autobus,quelli di casa mia. Fu così che a Luglio del 2013 prima del concerto di Leonard Cohen, conobbi persona che mi regalò un libro su De Gregori. Se c’è una cosa che prendo come una mancanza di rispetto totale nei confronti della mia persona è quando qualcuno si permette di avvicinarsi alla mia vita attraverso De Gregori o Cohen. Inizio quasi ad impazzire. Anche fisicamente mi sale il sangue al cervello, inizia a tirarmi il braccio sinistro e muovo il collo. E mi chiedo sempre perchè, se dico prima che mi da fastidio le persone non mi danno retta.
A Viale Fratelli Bonnet, mi piacerebbe vivere un giorno. Cercavo casa lì in quei giorni. Ed è lì che mi venne regalato il libro. Io do gli appuntamenti nei posti dove mi sento protetta non quelli a me raggiungibili facilmente. Lo lessi anche, ma insomma l’idea che qualcuno si fosse intromesso condividendo De Gregori mi dava nausea quasi ogni volta che leggevo un rigo. Il problema è che per non trovarmi in queste situazioni prima che chiunque possa prendere argomento io preciso “l’uomo con cui condividerò la musica di De Gregori sarà il padre dei miei figli”.Che per me è una frase vitale. E loro invece puntualmente insistono,nella loro ottusità ,nel volere argomentare De Gregori,nel farci i trattati sulle canzoni. Non lo tollero. Le chiacchere davanti a un caffè discutendo di De Gregori e De Andrè le trovo veramente di un’assurdità che mentre guardavo quei caffè mi veniva da sbattere la testa ai lampioni delle strade. In realtà di questa persona mi piaceva il sorriso. E pur di guardare il suo sorriso gli avevo chiesto esplicitamente di non parlarmi più di De Gregori.Invece lui insisteva ed invece di parlare con me citava le canzoni di De Gregori.Rimane un mistero ancora,del perchè un uomo si nascondesse dietro le parole di un altro uomo. Rimango dell’idea che sei non puoi permetterti un cappotto e senti freddo, cammina con la giacca che hai. Davanti ai miei occhi rimarrai pieno di dignità,almeno so che quella giacca è la tua. Finì insomma che feci a pezzi il libro,anche la copertina. Lo so non si distruggono i libri, ma per me quel fare a pezzi il libro era fare a pezzi un legame che non aveva senso. Non mi era permesso legare De Gregori a quel sorriso.
Da Settembre a Ottobre passai molto tempo a Viale Mazzini, su una panchina ad aspettare quel sorriso, prendevamo dei caffè senza senso. Un giorno aspettai quattro ore con in tasca tre euro. Non venne, ma non ero triste. Le mie attese, i miei ritorni a casa erano scanditi da “Generale”. Ogni volta che sto per piangere (non piango mai) Generale mi dà una strana speranza “tra due minuti è quasi casa è quasi amore “. Quei due minuti, quel quasi casa, per me hanno il senso del riparo, del ritorno, non della fuga. E me ne tornavo a casa. La casa è sempre l’unica meta quando ascolto De Gregori. Passavo tutto il Lungo Tevere. E devo dire che alcuni giorni, il Tevere ha una luce perfetta, immobile, un dipinto su una città che cade a pezzi. I giorni che attesi quel sorriso, giravo per Piazza Mazzini. Ho conosciuto un sacco di persone, che stranamente mi salutavano così. Mi affezionai poi a quel quartiere. Ho cambiato casa ora,vivo in una traversa di Piazza Mazzini. Nel traslocare con i miei valigioni sul 69 incontravo gente e nonostante avessi le cuffie alcuni mi parlavano. Io staccavo solo una cuffia, e mi ricordo che un giorno tenevo da una parte “Viva l’Italia”, e dall’altra sentivo questa signora di Oppido Mamertino (paesino della Calabria) che si era trasferita a Roma dal 1956 . “Eh ormai sono anni che vivo qui, ma il mio sangue è sempre calabrese. Non torno da anni giù. Lei ritorna per Natale”? Io la guardavo e ascoltando De Gregori ero quasi terrorizzata, dentro di me pensavo che magari un giorno fra trenta anni io stavo lì al posto suo che non tornavo a casa da anni, che non avrei rivisto il mio mare e che i miei nipoti avrebbero avuto un senso della vita diverso dal mio. Il non ritorno mentre la signora mi guardava col suo sorriso, mi stava quasi spegnendo. Poi mi disse “Lei ritorna per Natale, che cosa sta ascoltando ?”. Certo che torno signora, ascolto De Gregori, ritorno sempre al mio mare così. Io alla sua età avrei voluto dirle, io tornerò a casa mia signora. Quel pensiero di fuga dai miei trenta anni di oggi lasciava sorpresa anche me. Al Cuoco di Salò nelle mie orecchie arrivammo davanti al Foro Italico, davanti quella colonna del periodo fascista non so se avete presente. Bene a Natale davanti a quella colonna, avevano piazzato una piramide violetta che si illuminava. “Dalla parte sbagliata si muore, in una bella giornata di sole”. Era una bella giornata di sole e nell’ascoltare la canzone ripensavo a quella piramide imbarazzante che si illuminava come le luci di una discoteca, insomma un pezzo di storia, dalla parte sbagliata,ricoperta di ridicolo. Ero molto stanca in quel periodo, tutte quelle valigie, tutto quell’andare e le luci del Natale che mettevano ansia.
“Ti bacio e ti butto vita mia come un pezzo di pane, che passi attraverso le ossa come un filo di rame, ti bacio e ti butto vita mia nella bocca di un cane…non è ancora ieri ma è già domani “. Ecco la frase della canzone “Belle Epoque” non è ancora ieri ma è già domani mi dava il senso di quante cose volessi farmi passare di quella giornata e di quanta fretta avessi nel cancellare la stanchezza. Però quel già domani era lì e avrei dovuto ricominciare da capo. Quindi mi chiedevo se era meglio vivere la fine di quel giorno o sperare di farlo morire. Così i domani arrivano sempre. Non c’è più quel sorriso. In fondo ho cercato di spiegargli il più possibile di come ero fatta, ma ha peggiorato la situazione quando gli ho detto che guardavo il mare e avevo desiderio di possederlo. Mi rispose che ero presuntuosa. Non è nemmeno nato sul mare, non sa nemmeno di cosa parlavo. Non voglio dominare il mare, mi piace l’idea, ma poi lo so, sconfitta, accetto e lascio che domini. Quelli che nascono sul mare riescono a guardare a oltre, a non avere un orizzonte, una fine non c’è. Il viaggio è sempre.
Valentina abita invece a Piazza dei Navigatori, ed è bellissima quella Piazza. Mi ricorda De Gregori. Lo lego al mare, per cui ogni volta che vedo la Cristoforo Colombo, penso alla sua musica, all’idea del navigare. A quel traffico non deprimente, a quelle luci impazzite e poi ad una strana quiete che dà sulla Piazza riparata dagli alberi. A due passi c’è L’Atlantico. Andammo a vedere De Gregori lì, e onestamente era la seconda che lo vedevo dal vivo. Ero molto seria quella sera, mi davano fastidio un sacco di cose in realtà. Ai concerti di De Gregori non mi piace sentire la gente cantare le sue canzoni, coprono la sua voce, quindi di tanto in tanto mi giravo e davo brutte occhiate a ragazzine stridule di 18anni che tenevano una bandana sulla testa. Lo so non dovrei dirlo ma era uno spettacolo osceno. Valentina mi osservava un pò con paura e sorrideva. Vedeva che tutte quelle ragazzine mi davano fastidio. Poi dei cori veramente assurdi. Ma l’apice della serata fu quando una di queste ragazzine con la bandana fra tanta gente compresa la mia amica si voltò verso di me, proprio verso di me e disse” no cioè perchè io lo amo,no perchè non è che sai se ci sta un Fan Club?”. La mia faccia di quel momento viene ricordata sempre da Valentina in situazioni simili. Io non risposi comunque. Avrei volute dirle onestamente “che cazzo ci devi fare in un fan club di De Gregori?Tutto qui. Del concerto mi ricordo tanto i violini, la violinista era perfetta sotto la voce del Principe.
La prima volta che vidi De Gregori fu invece con Dalla. Non ci torno su quel concerto. Dalla era vestito di bianco, e allora De Gregori non sorrideva molto come fa oggi,in fondo non deve ridere ma cantare. E’ un bellissimo ricordo comunque.
Quando ascolto De Gregori penso a Federico Fellini.Si è vero amo talmente tanto l’idea della vita di Fellini che spero che De Gregori in fondo ci guardi attraverso quando scrive le sue musiche. Tipo nella canzone “La ragazza e la miniera ” mi viene in mente un omino che vola verso il cielo,che fa delle stelle i gradini di una scala. Tipo un sogno di Fellini, a fumetti come nel libro. Un omino a fumetti che vola sulle persone. Un omino che guarda i tetti, che chiude gli occhi e non cade mai. Che segue un volo. Quanto mi piace quella canzone. Mi piace “Renoir” che sembra un circo, una tenda ed un’orchestra che cambia ogni sera. Ho forse l’idea di un De Gregori circense, che ha messo su uno spettacolo, che chiude i tendoni e si allontana dal mondo. Che regala un sorriso e che si rifugia dietro la maschera di un clown. Ecco la sua musica per quello mi ricorda Fellini, forse. Una Domenica andai alla Fiera dell’editoria. Non mi muovo mai la Domenica, mi muovo solo per Cohen. Mi avevano gentilmente invitata quelli della casa editrice che pubblicarono una sua biografia. Ma io la confusione non credo di amarla. Tutta quella gente, tutti quei libri, quelle bancarelle. Non vedevo l’ora di scappare. Feci un giro per la fiera ma stavo quasi per svenire, ad un certo punto ad una bancarella vidi delle cartoline di De Gregori ,con la scritta “De Gregori legge Conrad”. Mi venne di colpo il sorriso, una cartolina mi sembrava più viva di tutta quella gente che stava lì. La signora della bancarella mi disse “signorì pjateve ste cartoline, ve piace er Principe eh? e c’avete ragione c’avete”. Presi le cartoline,sempre sorridendo e le portai a casa tipo trofeo della giornata e salutando in fretta scappai dall’Eur. Dall’Eur a casa mia avevo accumulato talmente tanta tristezza che mi era passata la fame e mi sentivo piena. Era stata una giornata inconcludente ma alla fine in un qualche modo De Gregori stampato sulle cartoline con il suo barbone mi aveva tranquillizzata. A Piazza della Repubblica vivono due signore,non so barbone. Sono un’immagine di Roma che porterò per sempre nei miei occhi. Non capisco perchè nessuno faccia niente. E stanno piegate una di fronte all’altra davanti al fuoco. Con le loro buste. Come se avessero una casa senza tetti e finestre. Mi venne in mente “la casa ” di De Gregori “costruisco questa casa senza tetto e pavimento, senza tetto nè cemento “. In fondo quelle due signore chissà perchè sono lì, chissà che si dicono. Ho anche provato ad avvicinarmi ma non nego che ho una certa paura. Invece di aspettare il 60 perchè ho poca pazienza, ritorno di nuovo a Piazza Venezia, al capolinea, di nuovo indietro. Tanto pensai, non butto mezzora del mio tempo, ascolto De Gregori e passerà ogni secondo. Siamo andate a vedere Nanni Moretti, io e Valentina amiamo Nanni Moretti,lei lo ha inserito anche nei ringraziamenti della sua tesi. Nanni è stato fondamentale in alcuni periodi, e specie durante la sua laurea era un modo per esorcizzare quel momento di delirio che stava attraversando. Ci passo impettito davanti con un mezzo sorriso. Fu bello vederlo in mezzo a noi.
Un’altra cosa che mi piace di Valentina è che quando mi parla di De Gregori, mi dice sempre “Gra l’ho visto ieri in tv, mi emoziono sempre. E’ proprio un Principe”. E una sera tornando a casa, mi mandò un messaggio terribile . Io ero su un autobus, lei su un altro. Mi scrisse “Gra odio Roma, un ragazzo nero è stato aggredito da un signore sul bus, brutte parole. Il ragazzo non ha reagito ed io sono scoppiata a piangere”. Io ripensavo a “Viva l’Italia” se fosse stato il caso di cantarla, di pensarci e poi pensai che in quel momento, in quell’atto di razzismo spietato Viva l’Italia era la parte non dell’Italia metà giardino ma era l’Italia metà galera. Ci eravamo vergognate di essere italiane. Di vivere a Roma. A Natale torno a casa,in Calabria.La mia terra ,il mio mare,il mio ritorno. De Gregori a casa ha un altro sapore, un altro luogo, un altro momento. Mio nipote Francesco lo chiama “Decregori” ed è per me un’altra foto vedere stampato quel nome sul sorriso di un bambino. Gli cantavo “Raggio di sole ” quando era appena nato. Lui era ed è il mio raggio di sole ed ogni volta che ascolto questa canzone penso alla sua nascita. Il 26 Dicembre stavo in camera,dietro quei vetri che mi conoscono da sempre ascoltavo “Santa Lucia” che mi dà all’inizio una grande carica, la sento fisicamente poi un attimo dopo mi verrebbe voglia fisicamente di accasciarmi al suolo. Entrò mio padre mentre suonava “Santa Lucia”. Mio padre è un falegname,fa questo mestiere da quando aveva 14anni ed ora che ne ha 71 e più Maestro che mai per me. Attraverso il suo mestiere mi ha spiegato tante cose e sebbene i caratteri sono quelli che sono, lui sa che la musica per me quando scrivo è come le sue mani quando lavorava il legno. Entra e dice “Gra di chi è sta musica?.Di De Gregori papà, quello alto alto con la barba.”Lui mi guarda e mi dice in dialetto “chistu è preziusu com l’ebano, no chiru africano,chiru indiano”.( Questo cantante è prezioso come l’ebano, ma non l’ebano africano, quello indiano ).
Io ho sorriso perchè ho capito. Mio padre ha chiuso la porta ed è andato via. Io so che valore ha l’ebano indiano come legno. Dovete pensare che il legname va a metri cubi, l’ebano si acquista a Kg. E mio padre parlava della qualità più preziosa.Il giorno dopo mio padre mi ha dato dei libri per vedere e studiare meglio l’ebano.Ho letto quei libri,le caratteristiche di quel legno, il paragone con Francesco De Gregori mi era sembrata una delle cose più belle che io abbia mai sentito. Il legno ebano è un’essenza dura e pregiata,compatto e scuro. I mobili che ne vengono fuori sono danno un forte senso di calore. La crescita della pianta è molto lenta per cui non è facile avere alberi vecchi. E’ una tipologia di legno a rischio di estinzione e questa specie più passa il tempo più diventata rara. Quello indiano ha delle striature naturali bellissime e questa mattina mio padre mi ha spiegato che ci vogliono strumenti particolari per lavorarlo : la levigatrice, lame speciali,la calibratrice,il pantografo per scolpirlo quando la mano del falegname non riesce ad essere così precisa. Questo paragone mi entusiasma da quando ce l’ho. Ho capito che davanti a quei vetri mentre lo ascoltavo mio padre non mi aveva chiesto che cosa avessi o perchè stavo lì dietro e guardavo fuori. Aveva capito solo quanto quella musica fosse importante. Credo che sia stata l’unica persona ad aver capito che non volevo condividerlo ma con rispetto voleva entrare in quel mondo attraverso il suo. La musica di De Gregori è casa per me, è il ritorno a casa mia. Sempre. Anche ora che riparto, che seduta a quel finestrino con la testa poggiata guardo fuori alberelli con pali bianchi che da lontano sembrano croci dei cimiteri americani, De Gregori è casa e ritorno anche ora che quelle serre da lontano sotto il sole sembrano mare. De Gregori è quella scritta sul muro di Mirto Crosia che vedo da anni “se tu non ci sarai domani mi cambierebbero le linee della mano “.
Quando avrò una casa mia, mio padre mi farà i mobili di ebano. Così terrò in tasca De Gregori.
Ringrazio Paolo Vites, un pezzo del mio cuore sarà sempre con te, per il tuo rispetto nei confronti dei miei 32anni. Valentina Muià, il mio tutto. A mio padre, Maestro e alla musica di F. De Gregori che mi riporta sempre a casa, dietro quei vetri.