Il rapporto tra Massimiliano Parente e Antonio Moresco, a considerare gli scritti, risulta procedere per anni a senso unico. Il primo infatti, nell’ordine:
1- recensisce su Il Domenicale del 14 febbraio 2004 Canti del caos. Seconda parte (Rizzoli 2003)1;
2- dedica La Macinatrice (Pequod 2005) “a Antonio Moresco, al genio irredento”2;
3- recensisce su Il Domenicale del 26 novembre 2005 Storie di viaggio, di combattimento e di sogno (Fanucci 2005)3;
4- pubblica il libro-intervista Antonio Moresco (Coniglio 2006)4;
5- pubblica su Il Riformista la Lettera aperta a Benedetto XVI postata il 28 marzo 2007 da Moresco sul sito Il primo amore.
6- recensisce su Libero del 24 aprile 2007 Merda e luce (Effigie 2007)5.
Finché giunge il 14 maggio 2007, quando su Il primo amore Moresco presenta l’italianista Franco D’Intino, “un uomo che, da solo e con pochi altri, armato della sua passione e della consapevolezza dell’importanza dell’impresa, cerca di colmare un vuoto, di supplire alla superficialità, all’inconsistenza, alla cecità e alla sordità del grosso delle nostre strutture culturali e civili, raccogliendo attorno a sé alcuni traduttori che stanno già lavorando da tempo e che hanno già tradotto 400 pagine dell’opera (‘Sono bellissime’ mi dice D’Intino. ‘è incredibile vedere come suoni bene in inglese la straordinaria lingua italiana di Leopardi!’). […] Quello che manca sono i soldi per ripagare almeno in parte il lavoro di anni dei traduttori. E dire che la cifra da coprire non sarebbe neppure alta rispetto all’enormità dell’impresa (100.000 €). Eppure, neanche di fronte a un’iniziativa di tale importanza, si è ancora fatto avanti in Italia uno sponsor […]. Lanciamo tra chi ci segue una proposta di sottoscrizione per cominciare a raccogliere fondi”6.
Due giorni dopo interviene Parente su Libero: “‘Leopardi è un genio del calibro di Goethe o Baudelaire, ma non è entrato nel canone internazionale dei fondatori della modernità letteraria. Perché? Perché non è stato tradotto bene e integralmente nella lingua più diffusa al mondo’, mi dice Franco D’Intino. È vergognoso. E questo articolo non è un articolo, ma una lettera aperta a chiunque voglia occuparsi davvero di cultura. […] Si sta dando da fare anche un grande scrittore italiano, Antonio Moresco, e sul sito dal nome leopardiano Il primo amore annuncia di voler aprire in pochi giorni un conto corrente. […] Non è possibile che in Italia non ci sia uno sponsor per Giacomo Leopardi. Sponsor economici, ma anche sponsor intellettuali, o entrambe le cose […] mi rivolgo anche e soprattutto, per esempio, a donne illuminate e attente all’arte come Beatrice Trussardi, o uomini di cultura e d’azione come Vittorio Sgarbi, del quale conosco da decenni e anche personalmente la forza e la decisione con cui è capace di portare avanti battaglie culturali importanti”. E chiude con una “promessa, da parte mia e di questo giornale: Noi ci occupiamo di Leopardi, e ne riparleremo”.
Il giorno stesso, su Il primo amore Moresco: “Su Libero di oggi è apparso un lungo articolo, firmato da Massimiliano Parente, che riprende il nostro appello per la pubblicazione dello Zibaldone in lingua inglese apparso due giorni fa. È una bella sorpresa e non possiamo che esserne contenti. Che le pagine culturali di un quotidiano decidano di mobilitarsi su una causa come questa è sempre e comunque una buona cosa. Speriamo anzi che – come pare di capire dall’articolo – non si fermino qui ma vadano avanti nella raccolta di fondi. Speriamo anche che altri giornali si sveglino e decidano di fare la loro parte. Quanto a noi, comunichiamo un numero di conto corrente” presso la Sanpaolo intestato a D’Intino.
Il 19 maggio su Libero Alessandro Gnocchi torna a parlarne, seppur solo nell’incipit di un articolo dedicato ad altro: “L’appello di Massimiliano Parente, pubblicato da Libero mercoledì scorso, al fine di ricercare i fondi per tradurre Leopardi (iniziativa lanciata dal sito Il primo amore) ha colto nel segno”; e il 2 giugno Nico Orengo su La Stampa augura “buona fortuna all’iniziativa! Ma vien da chiedersi: non varrebbe la pena di affiancarne un’altra, perché l’opera si diffonda da noi, e che la Sanpaolo, d’emblée, le pagasse entrambe?”.
Nient’altro, finché il 5 giugno in prima pagina di Libero appare una lettera aperta di Silvio Berlusconi: “Caro dottor Parente, Gianni Letta mi ha segnalato il Suo articolo che ho molto apprezzato […]. Oggi stesso provvederò a far versare la somma di 100.000 € sul conto inglese indicato da Libero”; e nella pagina della cultura, mezza occupata da una riproduzione del Napoleone a cavallo di David con la faccia del mittente, il destinatario riesuma la vicenda così: “Se Silvia doveva rimembrare ancora quel tempo della sua vita mortale, Silvio non ha perso tempo, e da oggi gli occhi suoi saranno più ridenti e fuggitivi. Insomma, ce l’abbiamo fatta. […] Di Franco e dello Zibaldone se ne accorge soltanto un grande scrittore italiano, Antonio Moresco, che con buona volontà, sebbene con pochi mezzi a disposizione, apre una sottoscrizione. […] Quando ho parlato del caso con Alessandro Gnocchi, il capocultura di Libero, mi è stato detto non di scriverci un articolo, ma di impostarci una battaglia, senza se e senza ma, e ha aggiunto ‘vai avanti, è scandaloso, arriviamo fino in fondo a costo di metterci i soldi noi’. Dopo l’uscita dell’appello, dove raccontavo nel dettaglio la tenacia e anche la difficoltà del lavoro di Franco, speravo ogni giorno che mi chiamasse qualcuno, non per me ma per Leopardi […] . Finché ieri, nel silenzio vergognoso dell’intellighenzia italiana, delle sue istituzioni, dei suoi salottini, della sua cultura posticcia e cimiteriale, dei suoi scrittorini frivoli o pseudoimpegnati, ricevo una chiamata sul cellulare da numero anonimo, rispondo, e una voce cordiale e decisa mi dice: ‘Buongiorno Parente. Sono Gianni Letta, volevo dirle che ho letto il suo appello per Leopardi […] penso che è una cosa importantissima, sono già andato a Recanati, ne ho parlato anche con la famiglia Leopardi. Berlusconi ovviamente finanzia il progetto’. Forse qualcuno, adesso, dirà che non ci voleva molto […] ma per capire quanto in verità ci volesse, nella palude italiana, basta provare a cercare una riga, su questa questione, su uno qualsiasi dei nostri quotidiani o settimanali, di sinistra o di destra che siano, e basta contare chi, degli ‘addetti ai lavori’, nonostante un mese di martellante campagna di Libero, non si è accorto di un cazzo. […] Quindi un grazie, da parte mia ma soprattutto di Leopardi, a Libero, al direttore Vittorio Feltri, a Alessandro Gnocchi, al professor Franco D’Intino e alla sua costanza, a Antonio Moresco […] e infine sì, a lui, a Silvio Berlusconi: l’esportatore dello Zibaldone nel mondo”.
Il 5 giugno stesso, su Il primo amore Moresco: “Visto che questa battaglia è partita dal Primo amore non possiamo che essere contenti […]. Le cose sono andate così: invitato a Roma da Luigi Severi per un incontro con gli studenti all’Università, ho conosciuto Franco D’Intino che, dopo l’incontro pubblico, in una pizzeria della Garbatella, mi ha parlato della sua lunga battaglia per tradurre lo Zibaldone […]. Tornato a Milano, ho parlato della cosa con gli amici del Primo amore e con altri che potevano rendere pubblica questa incredibile situazione attraverso i giornali […]. Un articolo sulla vicenda è stato immediatamente proposto – prima che a ogni altro – a un noto periodico collocato nell’area di sinistra, che però si è detto non interessato alla cosa. […] Parente (che ringrazio per l’intelligenza, la passione e la concretezza con cui si è gettato in modo determinante in questa impresa) ha proposto un articolo sull’argomento al giornale su cui scrive (Libero), che ha accettato immediatamente, dedicandovi grande spazio e trasformando la cosa in una vera e propria campagna. Dopo questo primo articolo, ce ne sono stati infatti altri sullo stesso giornale, tra cui uno firmato dal capocultura Alessandro Gnocchi”. La lunga chiusa invece è dedicata al problema generale: “Cosa sta succedendo nel nevralgico campo culturale, un tempo fiore all’occhiello e ritenuto zona di egemonia della sinistra se persino battaglie simili e se persino Leopardi non riescono più a trovare spazio sulle pagine di uno di questi giornali?”.
Il giorno dopo, D’Intino ringrazia su Libero, riesumando a sua volta (sapientemente affiancato in riquadro dalla chiusa moreschiana del giorno prima): “Il primo a muoversi è stato Antonio Moresco. In una pizzeria, a Roma, si è entusiasmato subito: lo ha promesso e lo ha fatto. Il giorno dopo mi ha telefonato da Milano per dirmi che avrebbe lanciato una campagna dalla rivista on-line Il primo amore. Detto fatto. E che ne aveva parlato con un altro scrittore, Massimiliano Parente: una furia e un fulmine. Credo di essere molto tenace, ma Massimiliano mi batte. Un pranzo a piazza Fiume all’inizio di maggio ha segnato l’inizio dell’avventura”; e tre giorni dopo ancora ringrazia su Il primo amore, aggiungendo: “incredibilmente il conto corrente indicato da Il Primo amore per sostenere la traduzione inglese dello Zibaldone, rimasto quasi a secco per molti giorni, ha avuto una piccola ma significativa impennata dopo che Silvio Berlusconi ha deciso di finanziare il progetto. Che vorrà dire? Nelle prossime settimane, non appena la somma diventerà consistente, informerò i lettori in maniera dettagliata. Da parte mia, dico solo: ben vengano ulteriori sottoscrizioni”7.
Provando a riesumare noi, incrociando le riesumazioni altrui:
13 maggio – D’Intino e Moresco s’incontrano a Roma;
14 maggio – Moresco ragguaglia tra gli altri Parente, propone un articolo a un periodico di sinistra, posta l’appello di sottoscrizione su Il Primo amore;
15 maggio – D’Intino e Parente s’incontrano a Roma;
16 maggio – Parente pubblica un appello su Libero, Moresco apre un conto su Il primo amore.
17 maggio/3 giugno – campagna massiccia di Libero secondo Parente e Moresco, la quale però si riduce alle quattro righe di Gnocchi il 19 maggio.
4 giugno – Letta telefona a Parente, Berlusconi scrive al medesimo accennando a un conto inglese mai apparso però su Libero né altrove.
Passano mesi, e Moresco si presenta in libreria con una riedizione maggiorata di Lettere a nessuno, dove la parte aggiunta, introdotta da una nota con data “gennaio 2008”, chiude così: “Io non so che cosa diventerà Massimiliano Parente, che strada prenderà. Non sempre sono d’accordo con lui e con le sue argomentazioni, né con il suo supernichilismo ideologico. A volte è inutilmente offensivo, indisponente, saccente, sprezzante, figlio di puttana, persino. Ma anche schietto, privo di doppiezza, incurante del pericolo e del tornaconto personale, capace di gettarsi a capofitto in un’impresa in cui crede. Con me si è sempre comportato con lealtà, generosità e trasparenza. Mi sembra – nel bene come nel male – uno dei non molti scrittori animati da intransigenza e passione che ci sono in giro, e che da lì possa passare ancora qualcosa che – forse – non sarà svenduto o tradito, mi sembra che non sia disposto a tutto per avere in cambio un niente che possa sembrare qualcosa. Così almeno mi pare. Ma io, in queste cose, sono un povero sciocco, si sa, l’ho già dimostrato altre volte… Accidenti, Massimiliano, fammi indovinare almeno stavolta! Cerca di non diventare una merda anche tu!”8.
Da qui in avanti, rispetto a Parente Moresco inizia a dare, non solo più a ricevere:
– nel n. 4 della rivista Il primo amore, settembre 2008, pubblica un articolo di Parente su Proust9;
– il 21 settembre 2008 posta sul sito Il primo amore una lode a Parente di Fulvio Abbate uscita giorni prima su L’Unità10;
– il 3 dicembre 2008 posta una recensione di Barbara Alberti a A Fregn (Coniglio ed. 2008) di Scberto da Gerbino alias Parente, che esce in contemporanea su Il Domenicale11.
Parente ricambia il 27 marzo 2009 su Libero con una recensione all’edizione completa di Canti del caos (Mondadori 2009)12, ma questa specie di equilibrio viene rotto da lui stesso il 26 aprile 2010 su Il Giornale, con una recensione de Gli incendiati (Mondadori 2010): “È uscito un nuovo libro di Antonio Moresco, dopo il gran ritiro annunciato. ‘Mi era rimasto un canto in canna’, mi scrive nella dedica del volume che mi arriva con un pony mondadoriano, e non sentendo Moresco da un anno trovo la dedica rassicurante […]. Per me Moresco ha sempre avuto un punto debole di spiritualismo, di speranza metafisica nascosta nel brulicare della materia dei suoi capolavori. In lui c’è un rumore di fondo consolatorio simile alla ‘meraviglia’ per il ‘creato’ di molti religiosi. […] Non è vero, quindi, che Moresco è ‘irredento’ perché è redimibile e dal suo caos terribile vi tende la mano. Io ve la taglierei se non mi fossi già tagliato le mie prima”.
Così Moresco deve puntualizzare, in un’intervista ad Affaritaliani.it del 27 aprile: Gli incendiati “nasce da una grande disperazione, di cui è nello stesso tempo l’espressione e la disperata risposta”; senonché Parente sempre lì ribatte il giorno dopo: “la prospettiva di Moresco è un’ennesima variante dello stesso discorso in chiave apocalittica e antropocentrica di denuncia all’Occidente e alla modernità, sicché, come si legge ogni giorno su Il primo amore, andiamo verso un ‘genocidio di specie’. […] Il punto di attrito tra me e Moresco sul concetto di realtà è proprio questo: lui in fondo è un ottimista, si ribella contro qualcosa in cui vede sempre delle facce, e alla fine questo qualcosa è sempre il potere, il bene, un’idea di giustizia, un presupposto di redenzione […]. E quindi, ahimè, risiamo alla solita zuppa”.
Moresco riprende la parola il 3 maggio: “so bene che ti sei speso molto per me sui giornali e che hai scritto più volte ampiamente e generosamente sui miei libri, cosa di cui ti ringrazio. Ma che senso ha parlare il giorno prima così bene del mio lavoro di scrittore e poi, il giorno dopo, collocarmi in un contesto ideologicamente così caricaturale e risibile? […] A leggere certe tue affermazioni così ideologiche e così castranti sembra che sia sufficiente per uno scrittore esibire un supernichilismo corazzato, autosufficiente e conchiuso come un teorema, per trovarsi automaticamente sull’ottovolante della grande letteratura. Sembra che uno scrittore debba e possa solo dire che siamo spacciati, e chi invece – pur nella sua disperazione e mancanza di ogni speranza – sta in modo inarreso e insurrezionale dentro la vita sia per ciò stesso ‘ottimista’ e ‘consolatorio’, se non addirittura un ciarlatano metafisico o religioso. […] So che alcuni mesi fa sei arrivato a scrivere, parlando della rivista di cui anch’io faccio parte (‘la cricca del Primo amore’ l’hai sbrigativamente definita) che noi vorremmo addirittura abolire l’arte. Stai scherzando?”; e chiude rimarcando che la suddetta cricca “ha anche pubblicato, col tuo gradimento e consenso, un tuo scritto su Proust”. Inevitabile la ribattuta di Parente, istantanea: “non c’è bisogno che mi ricordi di avermi pubblicato sul Primo Amore, c’entra poco, me lo ricordo benissimo (difficile capire chi abbia fatto un favore a chi) […] come mi ricordo le censure di Carla Benedetti, quando mi rimandò indietro un mio intervento completamente riscritto (tra l’altro, assurdo, già pubblicato su Libero). […] Qualcuno prima o poi dovrà pur spiegarmi perché tu non abbia scritto una riga quando fui cacciato dalla Bompiani per una faccenda ignobile nella quale mi sono difeso da solo”.
Lo stesso 3 maggio c’è tempo per una battuta finale di Moresco: “mi sembra che la cosa degradi. A questo punto dovrei: o risponderti riga per riga contestando le cose non vere, incomplete, discutibili e sfottenti contenute nella tua risposta, o lasciar perdere. Preferisco lasciar perdere”; e Parente stesso, contattato da Affaritaliani.it, desiste, salvo però schizzare il 7 maggio da Il Giornale: “Sul web, tra i tanti, il top del marxismo apocalittico orfano di Marx e del Pci e del Muro di Berlino è il sito Il primo amore, che come scenari supera perfino Beppe Grillo […] non si capisce perché non li assumano a Hollywood come sceneggiatori dei film di Roland Emmerich”13.
Il resto fu silenzio, fino al 26 luglio scorso almeno, quando Parente lo ruppe salutando a modo suo su Il Giornale l’uscita dello Zibaldone inglese (Farrar, Straus & Giroux/Penguin Books 2013): “A maggio 2007 fui contattato dal professor Franco D’Intino, stava portando avanti la traduzione dello Zibaldone e aveva bisogno di soldi. […] mi venne un’idea e la proposi a D’Intino: perché non facciamo una campagna per chiedere a un imprenditore, un De Benedetti, un Montezemolo, un Armani, di finanziare proprio questa colossale impresa di prestigio culturale internazionale? Girai l’idea all’Espresso, dal quale proprio in quei giorni avevo ricevuto una proposta di collaborazione. Ma dopo settimane di riunioni risposero no, per Daniela Hamaui non era ‘abbastanza pop’ […]. Quindi provai con Libero, diretto da Vittorio Feltri, parlandone con il capocultura Alessandro Gnocchi, e mi dettero subito carta bianca: fai quanti pezzi vuoi, è una cosa troppo importante, se vuoi andiamo avanti anche per un mese. Alla faccia della destra ignorante, pensai. Tra parentesi nacque in quel momento la mia collaborazione in esclusiva con Libero e poi con il Giornale, con la stessa carta bianca. Non fu una campagna lunga, durò appena un appello, in cui esposi la situazione. Non passarono due giorni e con mia grande sorpresa mi telefonò Gianni Letta e non da Palazzo Chigi bensì da Recanati, dove era andato per verificare il progetto. Mi informò che Silvio Berlusconi era intenzionato a finanziare la traduzione […]. Trascorsero altri tre giorni e Letta mi richiamò, chiedendomi su quale conto dovesse far pervenire il bonifico di Berlusconi, e al contempo D’Intino mi pregò di non mandare il denaro al CNSL, sarebbe finito chissà dove. Detti quindi a Letta il numero di conto del Leopardi Centre […]. Tutto l’italico, vomitevole schifo ha inizio da quel momento. Neppure il tempo di festeggiare e D’Intino mi telefonò in lacrime: il CNSL, e perfino l’Università La Sapienza, lo stavano isolando perché aveva accettato i soldi di Berlusconi. Tuttavia il nome di Berlusconi continuò a non comparire nel sito del Leopardi Centre […]. Il sottoscritto, tra l’altro, non è stato neppure informato della pubblicazione, immagino neppure Berlusconi. […] Leopardi sputerebbe in faccia a tutti”.
Incrociando i dati, emerge quanto segue:
– che sia stato D’Intino il 15 maggio 2007 a chiamare Parente o viceversa, l’intermediario fu Moresco;
– il noto periodico di sinistra cui aveva accennato Moresco è L’Espresso e l’articolo, steso da Moresco o da Parente o da entrambi, fu comunque proposto da Parente14;
– il conto inglese sul Leopardi Centre di Birmingham fondato da D’Intino nel 1998 fu indicato dal fondatore a Parente, e da costui a Letta;
– non che martellante, la campagna su Libero si limitò all’appello del 15 maggio (più le quattro righe di Gnocchi il 19);
– le telefonate di Letta furono non una ma due, la seconda il 4 giugno da Roma (menzionata da Parente nel suo articolo su Libero del giorno dopo) e la prima da Recanati tre giorni prima15;
– il CNSL non accolse di buon grado il finanziamento di Berlusconi16.
Fin qui i fatti, ed ora le inesattezze o bugie:
– la telefonata di Letta da Recanati avvenne non due ma sedici giorni dopo l’appello su Libero del 15 maggio.
– risalendo la proposta a L’espresso al 14 maggio ed essendosi conclusa la vicenda il 4 giugno, è impossibile che la direttrice Hamaui abbia rifiutato “dopo settimane di riunioni” redazionali, ed anzi l’affermazione di Parente “Quindi provai con Libero”, essendo il suo appello ivi uscito il 15 maggio, rivela che il rifiuto fu praticamente istantaneo.
– la collaborazione con Libero di Parente non nacque a metà maggio, bensì agli inizi di marzo, con una cadenza regolare di due articoli per settimana.
L’immagine che ne esce, è di un Parente che pecca per eccesso di autostima fino alla tronfiaggine17. Quanto a Moresco, desaparecido nell’articolo, la vicenda contribuisce a chiarire il nomignolo che nel ’68 affibbiavano alla formazione politica di cui era leader periferico: Servire il pollo.
NOTE
1 “è una rivoluzione biologica e persino religiosa della parola, una struttura le cui pareti sono diaframmi sempre in procinto di lacerarsi sugli spazi vicini o lontani, un evento. Tra le opere più importanti uscite negli ultimi decenni”. Approfitto di questa nota per segnalare che questo come i precedenti articoli su Parente, oltre a configurare insieme una piccola “Parentiade”, confluiranno in uno studio organico del berlusconismo culturale in genere e de Il Domenicale in specie, che uscirà prossimamente in e-book col titolo Domenica è sempre domenica?
2 E cfr. la recensione di Carla Benedetti su L’espresso del 3 giugno 2005: “una lingua italiana che sembra appena reinventata, con tutte le sue possibilità dispiegate, sintattiche, paronomastiche […] perturbazione che l’opera di Moresco ha provocato nella scrittura di questi ultimi anni. La registra uno scrittore più giovane. In effetti si sente che La Macinatrice reagisce in qualche modo ai Canti del caos”.
3 “il suo libro più bello […]. Antonio, tra i più importanti e irregolari e assoluti scrittori contemporanei”.
4 “Moresco è un caso isolato, e uno dei pochi scrittori viventi a muoversi sul terreno di una radicalità assoluta, una svolta totale nella letteratura moderna”. L’anno dopo uscirà M. Maccherini, Carla Benedetti (Coniglio 2007).
5 “tra i maggiori scrittori italiani, il più ribelle, il più contestato, il più irriducibile […]. Moresco è Leopardi che ha scavalcato il buio oltre la siepe […] dove c’è spazio solo per l’irredenzione totale”.
6 E conclude: “Anche il Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati si sta già muovendo in questa direzione e sta chiedendo ai propri lettori in rete di raccogliere fondi”. In effetti, il CNSL aveva segnalato in rete un numero di vaglia postale intestato all’amministratore Roberto Tanoni.
7 La coda della vicenda spetta a Moresco, che il 14 luglio su Il Primo amore annuncia: “Riproponiamo un’ultima volta il numero di conto corrente per chi volesse versare qualcosa per coprire le spese non coperte dal megaversamento inaspettato e paradossale che conosciamo. Siccome pochissimi hanno finora inviato qualcosa (mentre molti sono stati prodighi di critiche astratte e schizzinose e ingiustificati sospetti), il conto verrà chiuso il 30 agosto […]. Dopo quella data il professor Franco D’Intino informerà sulla cifra raggiunta e sull’uso che ne verrà fatto”; e il 27 agosto dà il totale del versato dai sedici sottoscrittori: “442 €. È arrivato inoltre un contributo di 5.000 € dalla Fondazione Christian Cappelluti. Gli amici del CNSL hanno deciso di rilanciare l’iniziativa del Primo amore, e nel loro sito c’è ora un link all’appello lanciato su questo sito. Ci pregano dunque di tenere in vita il conto corrente, nella speranza di raccogliere quanto ancora manca”. D’Intino però non si fa più vivo a rendicontare, mentre l’8 settembre 2007 Parente su Libero intasca: Silvio “ogni volta è la mia speranza segreta, il mio rivoluzionario preferito […] così come ha finanziato lo Zibaldone di Giacomo Leopardi senza pensarci su due volte, potrebbe stupirmi ancora perfino qui e, superando Letizia [Moratti] e Walter [Veltroni] contemporaneamente a destra e a sinistra, piazzarglielo lui un bel disegno di legge al centro, per riaprire le case chiuse, e magari chiamarli ‘I Casini delle Libertà’”.
8 P. 713. L’altra merda è Giuseppe Genna, cui Moresco dedica le dodici pagine precedenti – Genna, che l’aveva impalmato “il più importante scrittore contemporaneo” per definirlo neanche tanto dopo “un prete”, ed ora quindi viene classificato tra “la gente senza dignità, senza scrupoli, senz’anima. Scalatori, mestatori, calcolatori”, Genna mosso da “frustrazione, invidia, rancore” e prima ancora da “un’imbarazzante ansia di servizio a figure percepite come padrini” che lo spinge a seguire “logiche che in un altro campo si definirebbero ‘mafiose’… fino la soffiata finale: Parente “mi ha detto che, all’uscita del suo ultimo libro, che mi aveva dedicato, è stato contattato anche lui da Genna, che ha tastato il terreno dicendogli che sono un prete. Ma come! – gli ha risposto Parente. Hai scritto per anni tutte quelle cose mirabolanti sui suoi libri e adesso…”.
9 Lunedì 15 settembre Parente scrive una lettera a Dagospia: “Mi ribello al fatto che se non accetto un tentativo di corruzione intellettuale di Vittorio Sgarbi io debba essere estromesso gelidamente da Bompiani, diretta dalla sorella di Vittorio Sgarbi. ‘Hai presente il tuo libro su Proust che dovevamo fare insieme? Non si fa più’, fine della discussione, e a fronte di un contratto con un’opzione di dieci anni su tutte le mie opere future”.
10 “Ogni tanto salta fuori l’eccezione, salta fuori il Pazzo, l’Incontrollabile, l’Ingestibile, l’Irresponsabile. Salta fuori un soggetto come Massimiliano Parente, vero talento letterario e perfino umano. Lo stesso che anni addietro seppe rivelarsi con un libro intitolato, Mamma (Castelvecchi), un’opera di rara poesia”. Il 19 giugno 2008 Benedetti aveva postato su Il primo amore un articolo di Parente da Libero, in cui elogiava L. Mascheroni e C. Langone, suoi colleghi a Il Domenicale e pari titolo rispettivamente a Il Giornale e a Il Foglio.
11 “Se non fosse stato per la insostenibile testardaggine di Massimiliano Parente, Scberto da Gierbino non avrebbe mai conosciuto la postuma beffa della pubblicazione […]. Dopo averci iniziati alla lettura del poeta contadino, persuase Maria Sole Abate, Mario Maccherini e me ad accompagnarlo nella piccola patria dell’uomo-ombra, com’era il poeta nella sua vita”.
12 “È uno di quei libri che non solo cambiano la storia della letteratura, non solo cambiano il lettore che li legge, ma cambiano anche i libri degli altri, rendendoli piccoli […] la stessa Mondadori non ci investirà un euro per una pagina di pubblicità, lo farà uscire in sordina. Ecco perché la prima e forse l’unica pagina promozionale di questo capolavoro la pubblichiamo qui, e la paghiamo noi [?]”.
13 Che il motivo dell’attrito sia un’incompatibilità di Weltanschauungen è invalidato dal fatto che esse erano tali già da subito. Piuttosto da meditare è una lettera del 2 settembre 2010 a Dagospia, dove Parente (“non sono né berlusconiano né antiberlusconiano […] non sono un autore Mondadori e il mio pensiero qui espresso è disinteressato) imputa agli autori Mondadori di non saper “scegliere altrimenti che i propri interessi riempiendosi la bocca, ormai indistinguibile dal buco del culo, sui conflitti di interessi altrui” e di tutti “leccare il culo ai dirigenti di Segrate”, compreso “l’ultimo arrivato Moresco […] per il quale Berlusconi è il male assoluto, benché siano straordinari i direttori Riccardi e Franchini” (cfr. nota introduttiva alla seconda parte di Lettere a nessuno, p. 354). In realtà all’inizio dell’anno Parente stesso ne La casta dei radical-chic (Newton Compton 2010, p. 240) aveva tessuto l’elogio di Franchini: “È un simpatico scamiciato con gli anelli, un bullo del Bronx ma erudito, simpatico e ospitale che mi fa fare tutto il giro turistico del palazzo fino al lago, mi offre un caffè, mi chiama ‘Massimilia’’, e lì mi sento finalmente a casa”, aggiungendo però: “Quindi? Pubblicherò con Mondadori? Non credo, perché sono un attaccabrighe”. Passerà alla scuderia solo l’anno dopo, e dedicherà a Franchini L’inumano (Mondadori 2012).
14 Parente su Libero del 22 aprile 2007 afferma di avere un suo “Woodcock” nella redazione del settimanale, intendendo un indagatore sul modello del magistrato napoletano di Vallettopoli (e nella lettera a Dagospia del 15 settembre 2008, en passant: “Wlodek Goldkorn, capocultura dell’Espresso, mi dichiarò la sua sincera stima”.
15 A. Tubaldi su RadioErre del 3 giugno: “La buona notizia è stata data sabato sera [2 giugno] da Gianni Letta, ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri […] alla presenza della contessa Anna Leopardi, seduta in prima fila insieme a tante altre autorità e al ghota completo della Casa delle Libertà della Regione, ha detto che, conoscendo il problema della mancanza di finanziamenti per averlo appreso proprio dalla stampa,‘ho chiesto, prima di partire per Recanati, al mio Presidente se, da imprenditore e da persona generosa, non intendesse lui aprire questa sottoscrizione. Posso dire che mi ha risposto di sì’”. Letta comunque ci era andato principalmente per presenziare al Festival internazionale “Orlando di Lasso”.
16 Su Il Giornale del 23 settembre 2008 Mascheroni ricostruirà così: “maggio 2007: lo scrittore Antonio Moresco sulla rivista online intitolata leopardianamente Il primo amore lancia un appello per una sottoscrizione pubblica. Inaspettatamente (la notizia viene passata da Moresco a diversi quotidiani ‘di area’, cioè di sinistra, senza successo) la campagna pro-Leopardi viene trasformata in una battaglia culturale dal quotidiano Libero, grazie soprattutto al capo-cultura Alessandro Gnocchi e allo scrittore Massimiliano Parente, il quale con un vero colpo di scena (tramite una telefonata a Gianni Letta) ottiene da Berlusconi una donazione di 100.000 € […]. Agli inizi di giugno il capo ufficio stampa del Centro di Recanati, la professoressa Donatella Donati, scrive un comunicato in cui riassume gli ultimi avvenimenti riguardanti lo Zibaldone e, come vogliono la prassi e l’educazione, ringrazia, nelle ultime righe, ‘Silvio Berlusconi e tutti coloro che con il loro aiuto hanno contribuito’ […] Alberto Folin il 6 giugno scrive, via mail, alla Donati: ‘Cosa diavolo ci stiamo a fare noi come membri del Comitato Scientifico del CNSL se non abbiamo alcun potere decisionale, in merito a scelte importanti quelle di accettare un finanziamento da parte di Berlusconi […]. È una delle persone più potenti d’Italia che si improvvisa mecenate per strumentalizzare Leopardi a fini politici personali (tra poco ci ritroveremo a Recanati Dell’Utri)’”. Ribatterà il chiodo M. Brambilla il giorno dopo, e Folin risponderà sempre su Il Giornale del 26 settembre.
17 Ne è sintomo lo stesso far credere che il rifiuto dell’Espresso lo abbia spinto a destra, quando Hanoui non poteva non sapere che Parente aveva un già lungo curriculum su Il Giornale, Il Foglio, Il Domenicale e infine Libero, su cui aveva esordito due mesi abbondanti prima (con una recensione a F. Abbate, Roma. Guida non conformistica alla città, dove discettava più che altro di mignotte).
I precedenti articoli qui http://www.satisfiction.me/parente-o-delle-strutture-elementari-della-parentela/ e qui http://www.satisfiction.me/parente-berselli-e-grasso-che-cola/.