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Manuel Micaletto: Walkthrough

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Non esco granché molto e quando esco mi piace andare nei posti più migliori ed eccezionali del mondo. Non ce ne sono tanti di posti così migliori, per questo spesso posso farmi un tour completo, in quanto poiché, credo io, il caso volle che dio a sua volta volesse che questi posti trovassero ubicazione presso il mio quartiere. Di nome faccio Manuel. Un posto migliore del mondo che primeggia a livello ultimate è i ferramenta. Non è necessario farvi accesso, già dalle vetrine. Le infatti vetrine dei ferramenta sono estranee agli spot, prive di highlights, corner luminosi, la visione corre senza accenti, niente ha bisogno di essere evidenziato poiché tutto partecipa di una comune evidenza. Nessun faretto alogeno punta al bullone, nessun cacciavite supera nessun niente sull’onda del brand, non c’è nessuno schieramento strategico, e fatta eccezione per i magari trapani ciascuna cosa è innumerevole tra altre innumerevoli cose e fraterne, in un vuoto di marketing. Le vetrine dei ferramenta superano il concetto stesso di esposizione. Le merci sono invece sovresposte. Infatti quello che rende i ferramenta un luogo così speciale dell’universo mondo è come essi ferramenta elaborano la luce, come la conciano. La ricevono e la restituiscono sia incrementata (quantità) sia impreziosita (nella grana: qualità). Pensiamo ad es. alle colonie dei bulloni, con le loro sagomature, che prima accolgono la luce e poi la infrangono con un’azione prismatica. Accade, in generale, qualcosa come un flipper.
Un’altra caratteristca che permette ai ferramenta di svettare sul creato è l’effetto wunderkammer. Dove la meraviglia non emana dal singolo tuttavia oggetto, ma da come la somma di moltissime unità a valore 0 produce invece, alla fine, un valore complessivo inestimabile. Sono luoghi esauriti, saturati dalla presenza diffusa, granulare degli oggetti: lo spirito è barocco, ma le linee sono nette, austere, votate allo scopo, razionali. Questi peraltro oggetti ancora non sono nati alla loro funzione (si veda: un chiodo: senza entrare in relazione con una superficie, non serve a niente), e quando lo fanno sono spesso destinati ad una vita appartata, sullo sfondo, si innestano sottopelle nei traffici umani, presiedono alla sintassi del mondo. Alcuni concorrono/occorrono a popolare un ambiente, a fissare un componente all’altro; altri ancora sono votati all’astrazione, si occupano di inventare uno spazio, misurarlo, svolgono compiti invisibili, come gli angoli o le pendenze, generano un’immaginazione. Le giunture, i tubi murati, i chiodi che stanno lì nonvisti a sostenere i quadri che invece bisogna guardarli, gli attrezzi nel buio concreto della loro cassetta. Ma intanto che abitano insieme il grande alveare, prima dell’acquisto che li disperde nell’universo, ingenerano in noi l’incanto e la perfino commozione. Questo è inevitabile.
Un altro posto più fantastico del mondo è i distributori di palline magiche. Le quali palline provviste di magia sono poi una tra le cose più mirabili dell’idem. Essi distributori nella forma evocano uno scafandro o una tuta spaziale, con particolare riferimento al casco per via di quell’oblò incaricato di mostrare al visitatore la portata vertiginosa dell’offerta e proprio grazie a questo accorgimento diventa impossibile resistere. Allora si appone il disco di una moneta nella fessura dedicata, si gira una manopola, avviene uno scatto e la pallina viene espulsa dalla sua bolla di autismo, piomba dal numero alla realtà del marciapiede con un’energia più che cinetica, con un bensì autentico entusiasmo. Ora può esprimere pienamente le sue facoltà.
Le palline magiche non sono palline convenzionali ma sono invece dotate di una particolare feature vale a dire la magia. La magia di cui sono capaci consiste che benché non lo diresti, esse sono in grado dei rimbalzi in gran copia. Hanno un nucleo duro roccioso e ferroso tipo Nettuno e una scorza, una crosta gommosa (lucida, nei casi più frequenti e felici) che consente la magia. Le inoltre palline magiche devono la di loro magia anche al fatto che in qualche modo compendiano l’intero universo. Infatti talune nell’apparenza possono essere accomunate a pianeti composti di nuove miscele vulcanizzate, satelliti, corpi opachi, oppure luminosi, stelle, o a intere galassie dove la curva dello spazio tempo realizza una sfera che racchiude formazioni celesti in numero di miriadi, ennesime ancora addirittura implementano più texture (opaca, lucida, trasparente, trasparente con l’innesto in profondità di filamenti inclini alla luce e moltissimi) e sono tutte queste cose allo stesso tempo. Beh che dire congratulazioni. Questo è ineludibile.
Un terzo luogo leggendario dell’orbe terracqueo si tratta dei bar. Intanto le insegne sono sempre struggenti, sia neon sia no, preferibilmente neon (quelle rosa di quel rosa proprio delle lavagnette che si trovavano nei cereali comandano saldamente la classifica). Specie se sulla vetrina la combo si completa con quella cornice led che recita proprio BAR a scanso di equivoci e qualcosa si versa all’infinito da una bottiglia a un bicchiere, pixel dopo pixel. I bar dentro si nota facilmente il ventilatore che aziona l’aria, come una dinamo innesca le vite che transitano dal bancone ai tavolini, gli impone un senso di rotazione, da il fuori a il dentro e viceversa, mescola le musiche dei totem videolottery come un cocktail, mentre la macchina dell’espresso sfiata la combustione dell’intero motore. Essi bar ricavati come sono nel vivo del cemento rendono i blocchi della città accessibili, visitabili, e dalla vetrina gettano come un alone prerender su tutte le cose le quali esse cose prima filavano come formaggio fuso dal per es. toast, e ora rientrano nel loro script, perdono spessore poligonale. Questo è inaggirabile.
Un luogo che pure lui figura nell’hitparade del mondo è certamente gli androni, tutti gli androni di tutti i palazzi. Nella penombra indolore che li mostra, con un rendering progressivo, appaiono sacri, appaiono una benedizione. Grazie a questa invenzione rivoluzionaria che è gli androni l’interno del mondo è reso accessibile tramite le porte vetrate, e da questa teca si può avvistare la vita come gli insetti infilati da uno spillo: si cristallizza, perde colpi, il frame rate collassa, rallenta inesorabile fino a stabilizzarsi su una velocità congrua allo sguardo, alla pace.
Le edicole inoltre meritano una menzione in quanto se la cavano niente male grazie soprattutto all’odore dei mensili, che vantano quella carta lucida. Puranche ciò è fatale.
L’inconveniente è che tra tutti questi posti top élite pianeta, per quanto ravvicinati, intercorre il mondo fatto di centri estetici dove le genti esibiscono facce che vanno dal gradiente chitarra acustica in su e perfino peggio, discopub dove l’adolescenza prolifera come una coltura batterica, cinema dove chi non ha il talento di guardare il soffitto si espone a una narrazione e molte altre zone invise al signoriddio.
Comunque facendo la dovuta attenzione, attraversando i parcheggi vuoti che il tetris del traffico ha apparecchiato per il mio passaggio e seguendo il corretto pattern delle piastrelle per scongiurare la lava minimizzo i danni e torno alla casa. E tutto questo, per difetto o per accensione, certamente pertiene al dolore.

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Manuel Micaletto (Sanremo, 1990) studia lettere alla Statale di Milano. Si ostina (il nostro eroe, Manuel Micaletto) a intendere la poesia come quell’atto (se ne esiste uno) contrario alle cene di classe, alle gite, all’ERASMUS e più estesamente alla vita.   Cofondatore del blog/progetto <plan de clivage> (poesia, prosa non-narrativa, asemic writing), fa parte dell’ensemble di <eexxiitt>. Nel 2012 ha pubblicato per la collana Opera Prima di Cierre Grafica la silloge Il piombo a specchio. Nello stesso anno si è aggiudicato il premio Lorenzo Montano per la prosa e ha partecipato a RicercaBo. Sue cose sono comparse su il verri, nell’antologia di scritture sperimentali EX.IT 2013 e in rete su Gammm, Nazione Indiana, Blanc de ta nuque. Moltissime altre sono scomparse.

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