Raccontarsi per definirsi. Scrivere per esistere. Parlare, anche se non si è ascoltati. È il mondo degli aspiranti scrittori rappresentato in Social Zoo, ultimo libro di Aldo Putignano, edito da Homo Scrivens.
Tutti scrivono a Lorenzo, personaggio misterioso, il quale non risponde e, anzi, cestina le lettere ricevute. Un improbabile filologo le trova e, dopo aver emendato e tagliuzzato ogni singola lettera, decide di pubblicarle. Comincia così un viaggio metaletterario fra le ossessioni della scrittura. Un impudente divertissement che porta a galla il dietrolequinte della struttura letteraria, svelando l’impalcatura della scrittura stessa. Ambientato nel 2008, quando Facebook non era ancora diventato un fenomeno di massa, Social Zoo è un caleidoscopio di personaggi surreali ingabbiati nei loro vezzi.
C’è Enrica Camilleri che conduce una ricerca su tutti gli effetti nefasti che la scrittura produce sui suoi autori: follia, paranoia, malattia, alcolismo, tendenza all’isolamento e tutte le forme di rinunzia alla vita.
C’è Lucilla sempre in cerca dell’anima gemella, con le sue frasi a metà e i suoi numerosi punti interrogativi ed esclamativi. C’è Alberto Sanchez, che vuole diventare un narratore neoverista e, a tal fine, insegue un ignaro Personaggio reale che poi si materializzerà con la sua stessa scrittura. C’è Mariolina Dolcetti che propone trame sanguinolente. C’è Giosue Biglioffo, un bizzarro Maigret che indaga su un presunto omicidio e insegue un assassino da scoprire e incastrare. C’è Armida, secondo cui “scrivere fa male”. C’è chi pensa che il futuro dell’umanità si sia incarnato in un frigorifero. C’è poi Cesarone, l’amico frivolo che organizza eventi, originali feste, proiettato al divertimento a tutti i costi.
E c’è una voce leggera nello sfondo che sembra dire al lettore “dài, non prendete troppo sul serio il racconto, in fondo è solo un gioco”. Qualche personaggio, però, si ribellerà e rivendicherà delle mancate attenzioni, richiamando l’autore alla sua responsabilità.
Come si può definire Social Zoo? Un Facebook ante litteram?
Perché no? Non è ispirato direttamente al social network, ma è esso stesso un social, dove le persone parlano più per il piacere (o il bisogno) di farlo che per un richiesto dialogo. Non ricevere risposta alimenta la libertà dei parlanti, li sottrae al confronto.
Uno dei protagonisti illustra una serie di categorie di scrittori, come lo “scrittore di mercato” o lo “scrittore artista” per approdare a una terza categoria, lo “scrittore funzionale”. Cosa lo caratterizza? Credi sia la categoria più sana?
No, non credo sia la categoria più sana. Ogni categoria lo è. Pensare alla propria scrittura, idealizzandola, attribuendole una funzione nobile è un modo per nascondersi: perché non ammettere che si scrive per sé e che l’appagamento che la propria scrittura concede non basta mai? Occorre anche qualcosa di più, certamente, ma resta gratificante rileggersi e ritrovarsi.
La metaletteratura è un espediente narrativo ampiamente utilizzato in forme e modi diversi in letteratura. Ritieni stia diventando ripetitivo nella letteratura degli ultimi anni?
Temo sia un riflesso della globalizzazione. La letteratura sta diventando sempre più un quartiere, un mondo a parte, seppure transnazionale. Ci cerchiamo, ci propagandiamo, viviamo di libri, per noi scrittori la letteratura è il mondo, non ci accorgiamo che ci parliamo addosso, la nostra visione è ristretta. Quanto più il mondo diventa globale, più si costruiscono piccoli mondi al suo interno. Così non si amplia la conoscenza, ma la si suddivide in tante piccole ampolle.
Un personaggio scrive “O riesci a usare la scrittura per farti del bene (alla D’Annunzio, forse) […] o sarà la maledetta a usare te, facendosi forza della tua ingenua sincerità.” Tu usi la scrittura o è lei a servirsi di te?
Io ho provato a ‘usare’ la scrittura, mi è andata anche bene per un po’. Poi la scrittura mi ha vinto, ha messo fuori i pensieri che avevo e li ha trasformati in libri. E ora non so più dove nascondermi. Alla fine, è più facile lasciarsi andare che inventarsi una poetica. La poetica nasce là, dove perdi il controllo.
Per Marguerite Duras “scrivere è anche non parlare”. Tu, come i tuoi personaggi, scrivi e, per di più, scrivi di scrittura. Sei “malato” anche tu come i protagonisti di Social Zoo?
Certamente. C’è anche una mia lettera a Lorenzo, la firmo solo con A. (come faccio nelle mail)! Scrivere è più facile che parlare, puoi correggerti, o aiutarti con il mestiere, o nasconderti in una storia.
Il libro ha ricevuto il Premio speciale Carver 2013, per la ricerca narrativa, lo stile e l’idea dell’epistolario atipico. È un libro di cui sentiremo ancora parlare?
Temo di no, scomparirò e con me tutti i miei libri, perché non riuscirò a uscire da questa palude, nonostante le buone intenzioni.
La tua volontà di anticonformismo si manifesta anche nell’autografare le copie del tuo libro: non una firma, non una dedica ma il taglio, con le forbici, della copertina o di una qualunque pagina? Cosa è quel taglio?
Il taglio è un’infrazione alla forma del libro. Se “i libri sono la forma delle idee” (motto di Homo Scrivens), il taglio attacca il contenitore e non le idee. Inoltre, è un omaggio alla sua forma cartacea: con un e-book non sarebbe possibile.
Uno dei personaggi, Enrica, parla di forzature e banalizzazioni da cui spera di salvarsi. Tu pensi di esserti salvato?
Ma io lo so che in queste cose non ci si salva mai.
Aldo Putignano, Napoli 1971, è scrittore, coordinatore di Homo Scrivens e editore dell’omonima casa editrice. Ha diretto Cento Autori e il gruppo Boopen-Photocity. Fra le sue pubblicazioni, Il caso Freud (Giulio Perrone, 2007) e La sindrome di Balzac (Cento Autori, 2011). Ha curato con Giancarlo Marino l’Enciclopedia degli scrittori inesistenti (Homo Scrivens, 2012).