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Breve trattato sulle coincidenze

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Questo è stato un anno molto felice per la letteratura italiana. Al di là dei finalisti del Premio Strega specchio non del gusto dei lettori, ma dei giochini dei poteri editoriali,  al di là del vincitore già “organizzato” (Francesco Piccolo con il mediocre “Il desiderio di essere come tutti” edito da Einaudi), è stata un’annata di grandi romanzi. Su tutti Federico Roncoroni con “Un giorno, altrove” (Mondadori), un capolavoro letterario, un romanzo che mira all’orologeria dell’anima raccontando di amore e morte, malattia e desiderio di vita; un libro amatissimo dai lettori, giunto alla terza edizione (un miracolo in Italia, per quanto riguarda la letteratura di qualità). Poi lo straordinario “La gemella h” di Giorgio Falco (Einaudi): la storia di una famiglia tedesca raccontata attraverso tutto il ‘900: da inizio secolo all’orrore del nazismo, dal boom economico ai giorni nostri dove anche gli esseri umani sono diventati prodotti (non a caso la definizione “risorse umane” è stata inventata da Hitler); per non parlare del recente “La vita umana sul pianeta terra” scritto da Giuseppe Genna (Mondadori): un viaggio che parte dalla strage di Utoya per raccontarci una società dove “la classe media ricalca le malignità del ceto borghese pavido ed egoista, che si sta gloriando della propria scomparsa”, un mondo dove al Male si sta sostituendo il vuoto, quel vuoto pneumatico che ci ha ridotto da cittadini a spettatori, passivi, inermi, volontari carnefici di noi stessi. Il tutto raccontato attraverso una scrittura onirica, quasi poetica, e al contempo ipnotica: una scrittura talmente perfetta da ritrarre con rara potenza il dramma dei nostri tempi (im)mediati: non stiamo vivendo “l’epoca della tragedia, ma dell’estinzione”. Una visione realistica, più che pessimistica, che è comune anche all’esordio di Francesco Maino con “Cartongesso” (Einaudi), vincitore del Premio Calvino 2013: il ritratto di un Nord Est, fino a qualche anno fa simbolo della produttività italiana e oggi sepolto dalle macerie morali che quella stessa produttività ha creato, fagocitandoci a ectoplasmi ridotti a non pensare, travolti dalla distrazione e dalla comodità (i due mali di quest’epoca): ridotti a “divertirci da morire”. E dal Premio Calvino, oggi il Premio più accreditato nella scoperta di talenti narrativi. E proprio tra i finalisti del Calvino arriva un romanzo di esilarante comicità, ma anche di riflessione su un mondo che troppo spesso dimentichiamo: quello degli uomini semplici, della civiltà dei piccoli paesi di provincia dove non sempre c’è astio, ma spesso sono culla di valori non solo morali da cui dovremmo trarre insegnamento. E’ l’esordio narrativo di Domenico Dara con “Breve trattato sulle coincidenze) edito da Nutrimenti (casa editrice che sta pubblicando grandissimi romanzi, tra i quali segnalo anche “Giorni Perduti” di Charles Jackson, uscito nel 1944 ma tutt’altro che datato e da cui Billy Wilder ha tratto l’omonimo film vincitore di quattro Oscar e della Palma d’Oro a Cannes). Domenico Stara ci regala un romanzo sospeso tra la favola realistica e la critica sociale. Ambientato in un paesino della Calabria – Girifalco paese natio dello scrittore- vede protagonista un postino aggirarsi per le stradine abitate da “uomini semplici, appartati nei recessi della storia, ma molte volte i più attenti e assidui osservatori delle regole che governano il mondo”. Questo postino, un uomo schivo e solitario,  ha la passione di aprire tutte le missive che giungono in paese. Poche naturalmente, ma rivelatrici di tante vite. Certo non un gesto da encomiare, ma nel gioco narrativo perdoniamo questa mania perché ci spalanca le porte di un mondo non solo contadino animato da un carosello di personaggi indimenticabili. E’ il classico romanzo di cui ti innamori, quei libri di un tempo, livre de chevet, da leggere con gusto, da centellinare pagina per pagina perché non vorresti finissero mai. Il postino apre le lettere con delicatezza, ne riporta il contenuto in un archivio che nasconde gelosamente, poi richiude le lettere con cura. Così entra nel cuore della gente, ma anche nel centro di una politica che non risparmia neanche i paesini più sperduti. A Girifalco, ad esempio, nella finzione narrativa il sindaco è in combutta per creare dai boschi montani una discarica di rifiuti. Il tutto raccontato in punta di penna, con rara potenza narrativa che ricorda  “Fontamara” di Ignazio Silone o “Mastro Don Gesualdo” di Verga. Paragoni non azzardati, perché Domenico Dara con questo esordio si dimostra un autentico genio.

 

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