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Due modi di ambulare in versi

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I. Eccezionalmente ieri mi sono fiondato alla Feltrinelli con un bersaglio preciso: il tomo secondo delle “Poesie”di Rilke (Gallimard Einaudi, 1995). Da tempo l’avevo perso, dall’estate in cui a Sierre tradussi il “Requiem per un’amica” (disponibile in rete). Assai poco freudiano in questo dacché non ci tenevo affatto, lo divenni in seguito, precisamente ierlaltro, allorché stimolato dalla poesia postata da un’amica fb mi riproposi di controllarne la traduzione. Deo gratias (se esistesse) trovai il tomo, e grazie all’indice (che esisteva) la “Passeggiata notturna”.

I traduttori impegnati nei due tomi sono diversi, ma fatalità volle che il traduttore dii codesta fosse lo stesso del “Requiem”: Giacomo Cacciapaglia. Annammo bene, pensai, mentre le gambe facevano sua sponte james james. E infatti: l’occhio mi cadde sulla chiusa uscendone più contuso che confuso. Dei dodici versi, stringi stringi, il cuncietto è questo: ognuno vive isolatissimo dagli altri e dalle cose, fuorché in rarissime occasioni (o in certe notti, direbbe il Liga), espresse appunto nella chiusa:

Zuweilen

in solchen großen Nächten sind wir wie

außer Gefahr, in gleichen leichten Teilen

den Sternen ausgeteilt. Wie drängen sie.

.

A volte

in notti grandi come questa siamo

quasi fuor di pericolo, in leggere parti uguali

spartiti fra le stelle. Immensa moltitudine.

.

Che significa ‘spartiti’? Suddivisi, qui suddivisi in parti uguali. E ‘fra’? O che una volta suddivisi finiamo fra una stella e l’altra, o che veniamo spartiti dalle stelle fra loro. Da cui: o ribadiamo il nostro isolamento potenziandolo ad astrale, o finiamo privatissimo bottino di ciascheduna stella a sé, anche qui con effetto di isolamento raddoppiato – al punto che il finale sancisce matematicamente il tutto come somma: ‘immensa moltitudine’.

Immediatamente prima però, riguardo alle occasioni suddette, l’autore aveva categoricamente avvertito (in traduzione mia): “Per chi si oppone, / non si dà mondo. E chi comprende troppo, / manca l’eterno”. Ossia: chi le rifiuta mai attingerà alla dimensione relazionale di uomini e cose; chi invece vi attinge per ragionamento, mancherà comunque la relazione estrema, quella che Rilke rubrica sotto le categorie temporale/eterno.

Da questo punto di vista, Cacciapaglia si è tanto opposto al micromondo costituito da codesta poesia, quanto ostinato a smembrarlo in una moltitudine di lemmi e sintagmi tutto fuorché eterna. In primis: ‘austeilen’ qui non può valere per ‘spartire’, siccome il ‘fra’ che dovrebbe qualificarlo, ovvero l’‘unter’, nel testo semplicemente non esiste. Essendo invece le stelle al puro dativo, bisogna perciò orientarsi sul significato secondo di ‘austeilen’, di sinonimo cioè di ‘zuteilen’: assegnare a (preferito verosimilmente per l’assonanza dell’‘au’ coi tre ‘ei’ pronunciati ‘ai’ immediatamente precedenti). E qui cambia tutto o quasi. Ché in occasioni simili diventiamo “leggere parti uguali”: parti di un intero (polo mancante nell’isolamento iniziale), vicendevolmente uguali (dove l’eguaglianza non è mancanza di rapporto, ma al contrario il rapporto per eccellenza), ugualmente leggeri (in contrapposizione all’implicita pesantezza normale). In una parola: ascendiamo insieme, separati ancora ma paralleli, alle stelle – alle stelle tutte, mica ciascuno alla sua!

Va da sé che tale status eccezionale ben poco ha a che fare con “Immensa moltitudine” – e infatti il testo suona: “Wie drängen sie”. ‘Drängen’, rafforzativo di ‘dringen’, è: spingere forte, in senso lato sollecitare/indurre, e giustamente i Grimm nel loro “Wörterbuch” lo danno come equivalente del latino “urgere”. Il soggetto in terza plurale “Sie” potrebbe riferirsi in sé tanto a stelle quanto a notti, ma le stelle casomai attraggono (in tutti i sensi), e perciò: “Come inducono” (notti simili a un simile concerto universale)!

Scorrendo l’indice, avevo incrociato un titolo analogo, “Passeggiata”, sicché in vena masochistica con l’occhio rimastomi tornai nel luogo di un altro, verosimilmente analogo, cacciapagliano delitto in chiusa. Nelle due quartine, stringi stringi stringi, il cuncietto è il medesimo dell’altra poesia, con una nota finale però virante al pessimismo. Infatti passeggiando può succedere che

.

ein Zeichen weht, erwidernd unserm Zeichen…

Wir aber spüren nur den Gegenwind.

vola un segno, risponde al nostro segno…

.

Ma a noi soltanto il vento della corsa.

Cioè cioè? Non era una passeggiata? S’è trasformata forse in una campestre?! Il segno (e ‘Zeichen’ in tedesco è anche segnale, segnale indicatore anche di un sentiero) ‘weht’, verbo in tedesco strettamente ed esclusivamente correlato al vento: soffia, spira. Il segno perciò risponde al nostro soffiando, ma noi di esso ‘spüren’/percepiamo solo il soffio, il vento in faccia, ‘gegen’/contro, o il che è lo stesso, una mezza risposta (se non meno: risposta non c’è, o forse chissà, caduta nel vento sarà).

E così mi partì anche l’altro occhio. Rincasato a tentoni, invece di attendere chissà quanto a riprendermi, ho chiamato la postante e per castigo le ho dettato queste righe. Punto.

II. Esaurito nel 1907 il miraggio più ardito e vero dell’oggettività coi “Neue Gedichte”, l’anno dopo Rilke cambia marcia e pigia sul pedale che lo lancerà attraverso i “Requiem” su fino al monumentum delle “Duineser Elegien”, quello cioè gnomico-sapienziale.

In codesta poesia, composta a Capri il 17 aprile 1908 (la notte prima fu di luna piena e il mattino seguente lascerà l’isola) e pubblicata postuma quarantacinque anni dopo, si può cogliere il cambio, e questo è quanto:

NÄCHTLICHER GANG

NICHTS ist vergleichbar. Denn was ist nicht ganz

mit sich allein und was je auszusagen;

wir nennen nichts, wir dürfen nur ertragen

und uns verständigen, daß da ein Glanz

und dort ein Blick vielleicht uns so gestreift

als wäre grade das darin gelebt

was unser Leben ist. Wer widerstrebt

dem wird nicht Welt. Und wer zuviel begreift

dem geht das Ewige vorbei. Zuweilen

in solchen großen Nächten sind wir wie

außer Gefahr, in gleichen leichten Teilen

den Sternen ausgeteilt. Wie drängen sie.

.

CAMMINATA NOTTURNA

NIENTE è raffrontabile. Cos’è che non sia infatti totalmente

solo con se stesso e cos’è mai esprimibile?

Non nominiamo niente, possiamo solo sopportare

e convenire tra noi che un raggio

qui e lì uno sguardo forse ci ha sfiorato

come se proprio ciò che si è vissuto in esso

fosse la nostra vita. Per chi si oppone,

non si dà mondo. E chi comprende troppo,

perde l’eterno. A volte

in grandi notti così siamo come

fuori pericolo, in lievi parti uguali

assegnati alle stelle. Quanto urgono!

.

Concluse a Muzot le “Duineser”, nel febbraio 1924 Rilke cambiò di nuovo marcia e si dette a poetare in francese. Non avrebbe smesso più fino alla morte, trovando nella lingua di accoglienza il luogo naturale del suo nuovo modo: una geometrica finesse per cui la sapienza precedente, e il tono annesso, si poteva stemprare in un’ingenuità al quadrato, rima compresa.

Isolatissima eccezione, giusto a inizio marzo 1924, fu codesta, uscita mesi dopo in un almanacco. E questo è quanto, anzi di più:

 

SPAZIERGANG

Schon ist mein Blick am Hügel, dem besonnten,

dem Wege, den ich kaum begann, voran.

So faßt uns das, was wir nicht fassen konnten,

voller Erscheinung, aus der Ferne an —

.

und wandelt uns, auch wenn wirs nicht erreichen,

in jenes, das wir, kaum es ahnend, sind;

ein Zeichen weht, erwidernd unserm Zeichen…

Wir aber spüren nur den Gegenwind.

.

PASSEGGIATA

È già il mio sguardo al colle, l’assolato,

verso la via che ho appena cominciato.

Così ci afferra ciò che non potremmo noi,

in piena apparizione, da lontano –

.

e ci cambia, anche se non lo raggiungiamo,

in ciò che, intuendolo appena, siamo;

un segno spira, reagendo al nostro segno…

Ma percepiamo solo il vento contro.

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