Un romanzo di perdizione, ma al contempo di resurrezione. Scritto in punta di penna, eppure in grado di far sanguinare l’inchiostro “Supernova” di Isabella Santacroce, da pochi giorni in libreria per Mondadori, è tra i più riusciti romanzi italiani di quest’anno. L’intensità dello stile di Isabella Santacroce è tale che a ogni pagina le parole diventano impresse non solo nei limiti di quella gabbia che tante volte possono essere le pagine. Lontana da ogni tentazione di cronaca – il tema non è tanto quello della piaga della prostituzione minorile, come scritto da molti, ma di una società ormai incapace di vivere nel Bene- Isabella Santacroce riesce a dar vita ad una nuova corrente letteraria che si potrebbe chiamare “neon-realismo”. Non il “neorealismo” con echi pasoliniani da “Ragazzi di vita”, ma un realismo al neon: perché tutto in questo mondo ormai appare e scompare con una velocità che non lascia impresso più niente. Isabella Santacroce dimostra di essere l’unica vera grande scrittrice italiana, lontana da ogni tentazione di diventare una delle tante narratrici di moda oggi. Non è una Elena Ferrante qualunque, non è una Donna Tart che ormai sembra costringere tutti a timbrare “Il Cartellino” del suo romanzetto da autogrill. “Supernova” non è narrativa d’intrattenimento, ma è Letteratura. Leggi il libro e ne esci sconfitto, ma al contempo rincuorato. Da lettore, perché hai la sensazione di non aver letto un romanzo a (s)comparsa e da critico letterario perché ci si trova davanti ad un’artista che non scrive sull’acqua. Le parole non scompaiono, ma appaiono, ricompaiono, si fanno “vive” anche a lettura finita. Ti graffiano l’anima e la mente perché Isabella Santacroce è una telegrafista del dolore: lo stile è essenziale, studiato, pensato, ma al contempo riesce a essere (im)mediato, ad avere una forza letteraria che lascia presagire gli angoli più bui e non illuminati (al neon) del nostro essere (quotidiani). I tre protagonisti sono tre adolescenti che abitano alla Barona, un quartiere (che chiamano “popolare”) di Milano, vivendo e sperimentando tutti gli estremi che possono rendere vecchi a sedici anni: l’alcool, la droga, il sesso più brutale, il sesso mercenario. Tutto raccontato tra l’isolamento cementificato di una città che la periferia l’ha nell’anima, che nasconde il Male nei luoghi in apparenza più sacri: le case dei più ricchi, impeccabili nelle apparenze, ma viziosi in privato fino allo sfiancamento. Isabella Santacroce descrive loro: questi mostri senza testa, ma dai volti marcati dalle falsità, che si nascondono dietro velluti di appartamenti eleganti e parvenze di felicità sociale. Sono loro a far girare il mondo e al contempo a renderlo così: un incubo ad aria condizionata. I protagonisti sono cresciuti ai margini di una Milano, metafora della società contemporanea, dilaniata dall’orrore che ogni giorno ci passa accanto, Invisibile, ma letale. “Supernova”, prima parte di una trilogia, è un’esplosione di rabbia e di dolore, di speranza e di gioia, di quel “bagliore del nulla” che lascia soltanto tanta “rumorosa tristezza, nel sangue”. Divna, Dorothy e Thomas vivono tra “cielo e baratro. Sempre tra cielo e baratro. Sempre in equilibrio su una fune tesa tra cielo e baratro, davanti a noi nessuno”. Si rendono conto, cresciuti tra i palazzoni di quella “prigione per poveri,” che “patetico è qualsiasi sforzo, teso a dimenticare, anche solo un millimetro del dolore ”. Eppure riescono a mantenere “un’ingenuità di cristallo” in un mondo abitato da “una spiaggia di ossa, di cuori scheletrici”. Quella spiaggia, arenata all’essenza dell’apparenza, siamo noi: con i nostri sorrisi, con le nostre finzioni, con i nostri moralismi, con il nostro indice, neppure medio, pronto sempre pronto ad alzarsi contro quelle stesse apparenze che singolarmente neghiamo di vivere. E’ con pianto e con rabbia che leggiamo, pagina dopo pagina, con tenerezza nascosta, un romanzo di denuncia civile contro l’immoralità di tutti noi. Che non ci opponiamo. Che chiuderemo questa pagina, cambiando argomento, magari leggeremo il libro, magari ce lo ricorderemo, ma cosa faremo? Ecco io credo che il senso di tutte le opere di Isabella Santacroce non sia la provocazione, ma l’incitazione: a fare qualcosa, a rendere migliore il mondo. Il mondo bisogna viverlo, non osservarlo. Bisogna aver attraversato la vita per scrivere una “supernova” come questa. Isabella Santacroce non ci chiede altrettanto. Solo di non chiudere gli occhi e di leggere il mondo.
Isabella Santacroce, Supernova, (Mondadori, pp. 162, euro 18)
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