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081. Un noir che racconta la vita di un clochard. Intervista a Luca Delgado

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imgresLo stridio di una fune e, attaccato alla corda, un cadavere penzolante. 

Sembrerebbe un giallo il nuovo romanzo di Luca Delgado, 081, edito da Homo Scrivens. Pagina dopo pagina si intuisce, invece, come scoprire l’identità di quel cadavere sia un pretesto per raccontare la realtà dei senzatetto, attraverso la storia del protagonista, Felice, un clochard che vive nel centro storico di Napoli.
Un mondo, il suo, fatto di sbornie e battaglie quotidiane per la sopravvivenza.
Sarà grazie all’incontro con Elena, attrice bellissima, che si riaccenderà in lui l’interesse per la vita. Felice scoprirà i segreti di Elena e di Maurizio, il suo amante. Conoscerà Vera, moglie di Maurizio, ignara del tradimento del marito e, in un incalzare di inseguimenti, appostamenti, incursioni, si riapproprierà della sua vita e influirà, talvolta in modo determinante, in quella degli altri personaggi. 081 è un noir con molte delle caratteristiche del genere: protagonista che si muove ai confini con l’illegalità, ambientazione estrema e caratterizzata dall’incertezza, esplorazione dell’aspetto psicologico dei personaggi, vicenda raccontata dal punto di vista criminale, presenza del triangolo (marito, moglie, amante), tendenza al rifiuto dell’istituzione familiare. L’aspetto, forse, più interessante è costituito dallo stile e dall’alternanza dei punti di vista che non contemplano esclusivamente quello criminale. Presente anche una discreta dose di suspense e di tensione che conducono il romanzo a sfociare nel thriller.
Luca Delgado, classe 1979, adattatore e traduttore teatrale, ha voluto raccontare un mondo spesso ignorato, mal sopportato da molti, eppure significativamente presente in molte città. Tra i capitoli, uno è intitolato “Coro” e riporta un lungo elenco di frasi tipiche dei passanti, in risposta a chi chiede loro l’elemosina: “Mi dispiace, non ho monete”, “Le ho già date a quello di prima”, “C’è la crisi”, “Se volessi dare una moneta a tutti ci vorrebbe uno stipendio solo per quello”, “No, per piacere, non è giornata”, “Te li ho già dati la settimana scorsa”, “Vado di fretta, scusa”. Una colonna sonora di solitudine e indifferenza quotidiane.
Il titolo, privo di parole e indicante il prefisso telefonico di Napoli, è espressione di quella solitudine e di quella napoletanità che si manifesta nel romanzo, attraverso le voci dei personaggi («081 dottò, 081. Era il numero di tutti. Era il numero dei poveri e dei ricchi, il numero dei banchieri e degli operai, era il numero tuo e mio, di tuo padre, di tua madre, di tua sorella. Era il numero di una casa, di un’intera famiglia. 081 è stato l’ultimo numero che abbia rappresentato una comunità. Poi, siamo diventati tutti più soli»).
Momenti di dormiveglia, di ricordi si alternano a sogni veri e propri e le riflessioni di Felice sul cadavere sospeso condurranno, forse, alla risoluzione del caso, rivelando un’identità inaspettata. Sarà una sua trovata a riequilibrare tante esistenze in bilico.

 
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Come nasce il personaggio di Felice, che vive all’ombra delle persone che pedina?
Felice appartiene a una categoria che non è mai protagonista della nostra quotidianità. I gatti randagi e i cani abbandonati attirano di più la nostra attenzione e muovono di più la nostra compassione. Negli ultimi anni, mi sono avvicinato molto al mondo dei senzatetto e ho provato ad accendere una piccola luce su di loro perché se ne possa parlare e ci si chieda perché accettiamo di ignorare un problema che dovrebbe toccarci molto da vicino. Perché accettiamo che dai nuovi progetti di urbanistica, dalle nostre piazze e strade stiano scomparendo le panchine. Perché accettiamo che sotto i tetti dei palazzi storici si siano inventati i “dissuasori”, spuntoni metallici montati a terra che non consentono la sosta e il riparo dal freddo e dalla pioggia. Il personaggio di Felice nasce da questi interrogativi, forse banali, ma che meritano comunque una risposta.

Il romanzo è un misto di narrazione surreale e reportage. Vi si avverte un narratore onnisciente e, a tratti, un osservatore partecipante.
Ho utilizzato un narratore onnisciente, sull’esempio (magari replicato in modo maldestro) dei maestri del monologo interiore. Credo sia il modo migliore per raccontare una storia: una narrazione in terza persona che mescoli il mondo interno ed esterno. Attraverso le emozioni dei personaggi, descrivo quello che accade al di fuori di essi: a volte sono lucidi e ci restituiscono una realtà oggettiva, altre volte sono condizionati dalle loro sensazioni e raccontano una realtà soggettiva, fatta di flashback, associazioni di idee, impressioni ed epifanie.

Le descrizioni di alcuni personaggi ricordano Il Gatto con gli stivali e le favole classiche («Bastava poco in realtà per farsi un soprannome: una statura minuta e una faccia piccola piccola per Topolino, un giornale strappato a mo’ di coperta per quel pigro di Coriandolo e una conoscenza minima dell’inglese per Frankie»). I nomi e le descrizioni sono di pura fantasia?
Mi sono ispirato a quattro senzatetto che per un periodo hanno davvero vissuto sulle scale della Chiesa di San Giovanni Battista delle Monache, ma i nomi e le descrizioni sono solo frutto della mia fantasia, anche se mi piace molto l’accostamento alle favole classiche. L’atmosfera è quella.

Ci sono due cose, scrivi, che un napoletano vero sa esattamente: la prima è che in qualsiasi punto della città saprà indicare dove si trova il Vesuvio e la seconda ha a che fare con la morte di Massimo Troisi (4 giugno 1994). Tu cosa ricordi di quella giornata?
Il mio è il ricordo di Felice, il protagonista. All’epoca avevo 15 anni, la scuola era finita da poco e con alcuni amici ero in una sala giochi a Fuorigrotta, nei pressi dello stadio San Paolo. Giocavamo a biliardo, quando d’improvviso entrò un ragazzo più grande di noi a strillare la notizia. Allora finimmo di giocare e ce ne andammo sconsolati a casa. Per strada non si parlava d’altro. Non c’era Internet all’epoca, la gente aveva l’urgenza di dire ciò che pensava e non di scriverlo sui social network.

Uno dei capitoli è un lungo elenco di risposte tipiche dei passanti nei confronti di chi chiede l’elemosina (“Mi dispiace, non ho monete”, “Le ho già date a quello di prima”, “Vado di fretta, scusa”). Come nasce questo inserto e perché lo hai intitolato Coro?
Il mio è un riferimento al coro greco, ai corifei che restano nei corridoi mentre si svolge la tragedia. La voce è quella di chi è troppo concentrato – e direi incazzato – per potersi fermare a dare una moneta a chi ne ha bisogno. Alcune frasi sono assurde (“Le ho già date a quello di prima”, o “Tutti i giorni mi chiedi la stessa cosa?”), altre comprensibili, altre ancora patetiche. Ho scritto queste frasi, un po’ per sentito dire, un po’ perché sono il primo ad averle dette. Faccio anch’io parte del coro, ma mi sforzo di uscirne, quando possibile.

Qual è la difficoltà – se c’è – di raccontare Napoli, oggi? C’è il rischio di scadere negli stereotipi?
Raccontare Napoli è meraviglioso e non trovo affatto sia difficile. Basta dimenticarsi delle aspettative di alcuni lettori ed editori, della loro sete di storie solo sulla malavita. La lezione di Massimo Troisi, che dello stereotipo se ne faceva gioco, l’abbiamo imparata. Tocca a una piccola minoranza di napoletani, ma soprattutto al resto d’Italia, rendersene conto.

Ci sono due capitoli che sembrano scritti da una donna: uno in cui Elena scopre, attraverso un test comprato in farmacia, di essere incinta e l’altro in cui si accorge che non lo è più, marchiata da una serie di x sulla pancia che glielo ricorderanno per sempre.
Questo è un bel complimento. Non è facile scrivere di personaggi femminili, in particolare di esperienze come la maternità e l’aborto. Se sono riuscito a non far trasparire nulla del mio universo maschile, non posso che essere soddisfatto. Virginia Woolf sarebbe fiera di me.

081 è giunto alla terza edizione e altre iniziative, correlate al romanzo, sono in programma.
Sì, 081 è alla terza ristampa e continua il suo percorso al Salone del libro di Torino, in programma questo mese di maggio. È stato poi realizzato il booktrailer del libro, grazie alla collaborazione con Gastón Viñas (videomaker di band di successo, come Radiohead e Muse). La colonna sonora è di Teho Teardo, un maestro. In occasione dell’iniziativa #ioleggoperché, sul palco del Nuovo Teatro Sanità, sono stati interpretati alcuni brani del romanzo grazie a Enza Attanasio, Elisabetta Ponzo, Irene Grasso, Ernesto Lama, Marianna Mercurio, Luca Saccoia, Mario Zinno. La sera stessa si è parlato di una versione teatrale del romanzo. Nel futuro di 081 c’è il palcoscenico.


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Luca Delgado è nato a Napoli nel 1979. Insegna lingua e letteratura inglese e italiano per stranieri. È adattatore e traduttore teatrale e ha collaborato, tra gli altri, con i registi Peter Sellars, Luca de Fusco e Alfredo Arias. È il traduttore italiano del drammaturgo e regista britannico Peter Brook. Si occupa di regia teatrale e ha curato la regia di spot pubblicitari e cortometraggi. Ha pubblicato per Homo Scrivens il romanzo La terra è blu come un’arancia (2013).

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