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Le fragili attese

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Malgrado la giovane età Mattia Signorini, nato a Rovigo nel 1980, non smette di sorprendere confermandosi uno dei maggiori scrittori italiani viventi. Dopo l’esordio con Lontano da ogni cosa (Salani 2007), seguito da La sinfonia del tempo breve (Salani 2009, tra i maggiori capolavori della letteratura contemporanea) e da Ora (Marsilio 2013, una prova a dir poco scialba) arriva in libreria con Le fragili attese (Marsilio, pagg. 250, euro 17) e ci consegna uno dei migliori romanzi italiani degli ultimi 50 anni. Le fragili attese è uno di quei romanzi che andrebbero adottati nelle scuole: sia per la straordinaria abilità narrativa – con una trama capace di mirare all’orologeria dell’anima- sia per una scrittura elegante, ricercata, ma che non indulge mai in facili snobismi o in irritanti intellettualismi. Mentre si leggono le pagine, e a fine libro, ci si chiede: “Ma come ha fatto questo ragazzino a scrivere un romanzo così perfetto”? Lontano da ogni canone letterario -malgrado i molti omaggi a Italo Calvino- Signorini è riuscito a mettere nero su bianco la sintesi perfetta tra un romanzo popolare (nel più nobile dei significati) e quel surreale che abita la vita quotidiana di ognuno di noi. La storia è quella dei personaggi che gravitano intorno a “La Pensione Palomar”, comprata negli anni Cinquanta nella periferia di Milano da un uomo solo apparentemente disilluso dall’incanto dell’esistenza. In questo luogo dove la periferia non è certo nell’anima dei protagonisti Signorini ha costruito un romanzo ad incastro perfettamente congegnato. La forza di Signorini è nel coinvolgere il lettore come se le “fragile attese” dei vari personaggi fossero reali. In una Milano alla vigilia del “boom economico”, in un’Italia in bilico tra povertà e progresso, tra emigrazione e accoglienza, Signorini mette sulla scena di carta una sceneggiatura senza fronzoli, capace di catturare il lettore in una sorta di empatia che è propria soltanto dei grandi romanzi. Quelli che a pagina chiusa vuoi sapere come continua, quelli che a libro concluso ti commuovi perché sono entrati nella tua vita e “chissà cosa faranno” e “cosa avrebbero fatto se”. Signorini ci mette di fronte ad uno specchio d’inchiostro: ha la maestria di coniugare il candore di chi ha perso l’innocenza (quando descrive, ad esempio, le fabbriche dove “gli operai davano l’idea di formiche dirette verso il loro rifugio di terra”) alla poesia del vivere, come quando scrive: “Si attende che la vita faccia un passo e la pianti di stare in bilico, pericolante su se stessa. Si attende qualcuno, o qualcosa, che prenda tutti i silenzi e lasciandoli cadere, quasi per sbaglio, li mandi in frantumi”.

Ci si riflette, tra i momenti più amari dei tanti che sono tentati di perdere se stessi cercando di “scambiarsi solitudini” e i ricordi del proprietario della “Pensione Palomar” Italo che non si perdona di non aver fatto abbastanza da salvare il suo grande amore durante l’alluvione che devastò Rovigo e tutto il Polesine. Pagine drammatiche, ma che contengono tutta la forza dell’essere umano. Un essere umano che, se troppo protetto dai venti della vita, come nel caso della bambina muta che troverete nel libro, finisce per straripare, annegando. Le fragili attese è un romanzo di emozioni, di convinzioni, di lotte, di vita e lo si immagina portato sul grande schermo da Giuseppe Tornatore: non quello “titanico” di Oceano Mare, ma quello più vicino al suo film più riuscito (e forse meno conosciuto capolavoro) Stanno tutti bene. Un romanzo disincantato che incanta e che merita di vincere a piene mani il Premio Campiello, ma soprattutto di essere letto. Da tutti. Anche nelle scuole.

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