Sono stato da mia madre, a Sandstone… indosso un abito a due bottoni di gabardine di lana col bavero stretto Gian Marco Venturi, scarpe stringate dalla punta bombata Armani, cravatta Polo, calze non identificate… è la metà di aprile… I vestiti sono l’unica difesa che ho dal vuoto interiore. Mi hai spiegato cosa è un narcisista patologico… e io lo sono. E non vedo perché non debba essere così, siamo quello che sembriamo. Mia madre, imbottita di sedativi… siede sul bordo del letto con addosso una camicia da notte comprata da Bergdorf e un paio di pantofole Norma Kamali che le ho regalato per il Natale dello scorso anno… porta gli occhiali da sole… continua a toccarsi i capelli. Sono la sua immagine. Sono ossessionato dai miei capelli. Come lei. Sono sedato. Spesso. Come lei: ho preso un altro Xanax così da attutire la botta della cocaina. Non sono riuscito ad andare oltre l’identificazione immaginaria e narcisistica dell’Io ideale. Io sono lei. Sul comodino c’è la fotografia di mio padre… ha qualcosa di strano nello sguardo… un’assenza di legge che mi ha ridotto ad essere questo miserabile semidio che sono. Mio fratello Sean: l’ostacolo senza il quale sarei stato l’unico amore di mia madre. C’è una foto di quando eravamo entrambi adolescenti, in smoking, tutti e due con un’espressione priva di sorriso.
Ho ventisette anni, sono ricco, il mio corpo è perfetto, lo alleno tutti i giorni con esercizi esclusivi. La mia ragazza, Evelyn, indossa un giubbotto di rayon Anne Klein, una gonna in crespo di lana, una camicetta di seta comprata da Bonwit’s, orecchini d’oro antico e agata comprati da James Robinson e costati, a occhio e croce, quattromila dollari…
Frequento i locali più esclusivi di New York: il Dorsia, il Pastels, l’Harry’s.
Io e miei amici: Van Pattern indossa una giacca sportiva doppio petto di lana e seta e pantaloni con patta a bottoni e pinces invertite Mario Valentino, una camicia di cotone Gitman Brothers, una cravatta di seta a pois Bill Blass e scarpe di cuoio Brooks Brothers. McDermott indossa un completo di lino con pantaloni con pinces e una camicia button-down di cotone e lino Basile, una cravatta di seta Joseph Abboud e mocassini di struzzo Susan Bennis Warren Edwards…
Senza limite, né legge: il godimento sadico del perverso che non può fare altro che essere agito dall’altro. In balia del bel mondo e della moda. Non conosco il mio desiderio. Lo temo. Soffocato dai discorsi del capitalismo sfrenato. Gli anni 80.
…tutto mi sembra possibile… ma nulla è più fragile della superficie se galleggia sul vuoto… il mio stato d’animo… ha a che fare con la paura di essere rifiutato…
Rifiutato: ma da chi? da lei, da loro. Non c’è dubbio. I miei genitori. Sembra tutto così ridicolo, così inutile… la vita ha continuato a essere una tela vuota, una soap opera, un cliché… ero sull’orlo della follia. La mia sete di sangue notturna ha iniziato a farsi sempre più diurna… ho dovuto fingere, ma la maschera della persona perbene minacciava di scivolarmi dal volto. Ecco cosa è: dover esistere secondo il desiderio di mia madre, assomigliare a un padre violento… ecco perché ho tagliato la testa ad Owen, cazzo… ho torturato dozzina di ragazze. Ho liberato me dalla divorante maternità che voleva sottomettermi; all’interno del mio armadietto degli spogliatoi giacciono tre vagine che ho asportato da altrettante donne da me stuprate e uccise la settimana scorsa.
I barboni: a uno ho cavato gli occhi, a un altro ho mozzato la lingua, perché è insopportabile il brutto, il deforme, tutto quello che non è perfetto, pulito, educato.
L’altro ieri, al parco, la madre che allattava il suo bambino, ha risvegliato in me un che di tremendo. Ho sgozzato il bambino e mi sono finto un medico, l’ho lasciato morire.
Vivo in questo mondo immaginario sopraffatto dalle immagini interiori che non riesco a rendere simboliche. A controllare. Mi controllano. Mi agitano. Mi agiscono. Non mi sono mai realmente staccato dall’abbraccio morboso del ventre materno. Eppure ho un lavoro, una vita mia… ho tutte le caratteristiche dell’essere umano ma la mia spersonalizzazione si è fatta così intensa… io non sono io… sto semplicemente imitando la realtà… sono la rozza caricatura di un essere umano, con un ultimo frammento di cervello ancora funzionante.
Questo: la paura di non essere accettato da mia madre, amato da mio padre, mi ha spinto fin qui e ora mi sento svuotato, tutto mi sembra confuso, il mio istinto omicida, che riaffiora, scompare, riaffiora, compare di nuovo, incapace di sostenere la mia immagine pubblica, è rivolto a lei…
Tu la chiami ‘soggettivazione’ e mi dici che dovrei ripercorrere il mio destino e appropriarmi del mio proprio desiderio e che niente è determinato per sempre. Ed è quello che non riesco a fare: aderisco all’immagine speculare di me; a quest’idea di Patrick Bateman, una specie di astrazione, e che tuttavia non ha nulla a che vedere con chi sono veramente, è solo un’entità, un qualcosa d’illusorio… sembriamo uguali, io e voi che mi leggete… tu, che mi ascolti, ma… io sono semplicemente altro, io sono un prodotto… la mia personalità è abbozzata, vedi? Tutto ritorna slegato… ripeto il trauma infantile, agito dalla cocaina, spossessato dagli psicofarmaci che mamma trangugiava… mamma che non mi voleva; è informe la mia crudeltà… radicata… persistente. Non ci sono più barriere da superare. Non me ne importa nulla di tutto quello che ho in comune con i pazzi deliranti… in realtà desidero infliggere agli altri il mio dolore.
Godo di costole carbonizzate… braccia amputate… teste mozzate… bocche prive di labbra… il seno strappato via con un morso e inghiottito… giugulari tagliate… la vagina tagliata via… godo con tutto il corpo, sperma e sangue, mani intrise di umori e lacrime. E pensieri: acquisto di titoli, vendita di titoli… finanziamenti, rifinanziamenti, dividendi… la vigilia di Natale in cui appena quattordicenne violentai una delle nostre domestiche, Inclusivity… i Talking Heads… una Rolls è una Rolls è una Rolls… Patty Winters Show… Absolut on the rocks… les Misérables… l’Onica originale… la palestra Xclusive… invidia per le vite altrui…
Perché questo è: un voler farsi accettare… emergere, emergere, emergere.
Sento che le parole in sottofondo sono tutte straniere… vedo sangue che sgorga del bancomat, donne che partoriscono dal buco del culo, embrioni surgelati e strapazzati… e poi sento la mia crescente incapacità di sentire…
…nessuno mi chiede mai chi sono. Nessuno mi ha mai chiesto se ero felice, se stavo bene, e tu mi dici di riprovare, che niente, forse, è perduto, è come l’ombra sul prato al passaggio di una nube sul sole, ma presto l’erba torna dello stesso verde di prima… c’è un’unica cosa certa: vorrei solo sentirmi amato…