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All'armi siam fascisti!

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La Minerva/Raro Video celebra il cinquantenario dell’uscita nelle sale di “All’arme siam fascisti!” con un dvd restaurato di uno dei più emozionanti film documentario, montato e diretto da Cecilia Mangini, Lino del Fra e Lino Micciché e commentato da Franco Fortini, autore del testo-commento che in sintonia col montaggio garantisce una tensione alta al documentario. La Minerva/Raro Video concede in esclusiva per Satisfiction non solo la testimonianza di Fortini al film, ma anche una poesia scritta proprio da uno dei più interessanti poeti e critici letterari del Novecento e mai apparsa prima d’ora.
Sono trascorsi esattamente 50 anni da quando “All’armi siam fascisti!” fu presentato per la prima volta al pubblico durante la Mostra del cinema di Venezia del 1961. La storia di “All’armi siam fascisti!” è innanzitutto la storia della censura a cui fu sottoposto sia per la sua natura scottante e paurosa e soprattutto perché mostrava in modo incontrovertibile la connivenza tra la Chiesa e il fascismo.
Durante la fase di lavorazione l’Istituto Luce proibì in un primo momento l’utilizzo del materiale d’archivio. Arginato (a pagamento) l’ostacolo del Luce arriva il fermo censorio per la distribuzione. Ottenuto solo nel marzo del 1962 il permesso di essere distribuito nelle sale, la censura continuò sotto altre forme, come l’eliminazione di sequenze fastidiose sia ad ambienti di destra (i preti che fanno il saluto romano) sia di sinistra (celebre il caso del blocco del film durante il Karlovy Vary a causa di tre passaggi scomodi: il culto della persona di Stalin, il riferimento al suo patto di non aggressione verso Hitler e il paragone di Fortini tra guerra di Spagna e repressione in Ungheria e Cuba).
La grandiosità del film risiede non solo nell’essere un potente documentario di analisi storica che ricostruisce il fenomeno del fascismo. La scelta di Fortini di usare il “noi” nel suo commento, non solo dichiara la posizione non neutrale degli autori, ma anche stimola una partecipazione attiva in chi guarda. “All’armi siam fascisti!” è il manifesto dell’indispensabilità di prendere posizione. Attraverso i repertori filmici del Ventennio il passato torna nel presente per porre una questione scottante: esiste ancora il fascismo ai tempi nostri? Non sarà, come recita il commento di Fortini, che il poco fascismo visibile maschera il molto fascismo invisibile?
La scelta di Minerva /raro Video di riproporre “All’armi siam fascisti!” a cinquant’anni di distanza rivela la natura profondamente contemporanea del film.
Marta Dosi
 
 
FRANCO FORTINI SU ALL’ARMI SIAM FASCISTI!

Nel testo di All’armi siam fascisti! ho accettata la definizione del fascismo come l’organizzazione armata della violenza capitalistica; e, sempre accennando ad un aldilà della lotta antifascista, ho ripetuto la formula socialista della appropriazione collettiva degli strumenti di produzione. Ma essendo tema del film quel particolare momento dello sviluppo capitalistico che il fascismo è, non poteva ignorare né che quest’ultimo si era sviluppato anche ai danni delle libertà liberali né che anche in nome di queste era stata combattuta la lotta antifascista. Anche per questo il testo poteva fare a meno di riflettere – soprattutto nell’ultima parte – la situazione reale delle forze di sinistra in Italia, che è di convivenza e magari di compromesso con il neocapitalismo. Voglio sottolineare che l’impossibilità di un discorso esplicitamente conseguente (che cioè riassumesse in forme chiare e veloci o in parole d’ordine il dove della situazione attuale) la considero una impossibilità obiettiva del nostro presente, non c’entrano né la censura né l’autocensura. Quando si dice che quel testo è di intonazione brechtiana si fa torto a Brecht e a me: Brecht parlando della guerra nazista, poteva parlare, e anche nel dopoguerra, di una prospettiva rivoluzionaria: noi, non ancora. Per andare oltre la «proposta di coscienza» con cui si chiude il film occorrerebbe che, di fatto, esistesse una prospettiva reale e italiana che andasse al di là dell’antifascismo: una prospettiva conseguentemente anticapitalistica. Un discorso politico serio non riformista né attendista, non settario né compromissorio e che faccia riferimento alla tradizione marxista e leninista, comincia forse nuovamente formularsi nel nostro paese ma proprio per questo non può diventare (né deve) motto, parola d’ordine, battuta, epigramma. Il tono del commento (così almeno ritengo, e quali che siano i suoi errori particolari e le deficienze stilistiche) è il tono di chi replica non tanto all’età del fascismo quanto alla lunga ipocrisia ufficiale che per almeno dodici anni aveva combattuto e respinto ai margini della società l’opposizione di sinistra e che ora può elogiare il film anche sui giornali del monopolio; e anche all’altra ipocrisia, storiografica e politica, che cercava di attenuare il ricordo della istanza rivoluzionaria e antiborghese della maggior parte della lotta antifascista per farne un motivo di patriottismo nazional-popolare o un anticipo di «movimento per la pace». Il singolare successo del film e del commento prova che realmente tutta una buona parte della media coscienza social-comunista (ma anche socialdemocratica e radicale) aveva subito una lunga ibernazione se oggi reagisce positivamente la verità che avrebbero dovuto esserle almeno ovvie. Quel successo se da un lato è conforto, dall’altro è la prova di un tragico ritardo: All’armi siam fascisti! è, dato il tema e i propositi, il film più “socialista” che, allo stato attuale della coscienza politica della sinistra italiana, fosse possibile fare. Dovevamo rifiutarci di farlo? Se poi mi si chiede in che cosa maggiormente io senta di difendere quel testo improvvisato ricordando con rabbia, dirò che è – in alcuni passaggi e poi nel disegno generale – nell’aver tentato di saldare una tensione esistenziale (è, infatti, anche una autobiografia) ad uno schema storico; che poi è forse l’unico insegnamento che il film di Del Fra, Mangini e Micciché può presumere di saper portare.
Luglio 1962
 
 
ASSOLUTO INEDITO DI FRANCO FORTINI
«Sulle piazze delle città, nelle vie dei vecchi borghi,
ecco gli importanti, i dignitari, i fiduciari,
i potenti, le eccellenze, gli eminenti,
gli autorevoli, gli onorevoli, i notabili,
le autorità, i curati, i podestà,
gli uomini dell’autorizzazione, dell’intimidazione,
dell’unzione e della raccomandazione;
ecco quelli che fanno il prezzo del grano e delle opinioni,
che hanno in pugno il mercato del lavoro e quello delle coscienze,
e ci sono quelli che aprono gli sportelli,
baciano la mano a “voscenza”, e ringraziano sempre
perché non sanno mai i propri diritti.
Eccoli dire di sì: di sì
perché lo fanno tutti, di sì
perché lo ha detto monsignor vescovo
e il commendatore che ha studiato, di sì
perché ho quattro creature, di sì
perché bisogna far carriera, di sì
perché non vogliamo più essere morti di fame, di sì
perché ho un credito, di sì
perché ho un debito, di sì
perché ci credo, di sì
perché non ci credo.
Perché tanto nulla conta.
Perché io non conto nulla. Di sì,
perché non ho più compagni.

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