Proponiamo un estratto dal secondo numero di Talkin’ Milano – Quaderni di Passeggiate d’Autore – intitolato Psicogeografia & Derive.
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Andrea De Alberti
Battuda
I miei nonni erano trattori, nel senso che lavoravano in una trattoria, l’Antica Trattoria. Vivevano in un paesino chiamato Battuda, insomma era tutto sconfitto, battuto e vecchio. Il paese e l’osteria. Mangiavano, dormivano, lavoravano tutto lì dentro, in quella grossa casa su due piani un po’ scrostata con appresso stalla, orto, aia per la balera, fienile, legnaia, cantina e macello. Un gran bel posto raccolto. Attorno campi, marcite, rogge, risaie soprattutto, tante risaie. Con l’acqua, verdastra ma che in certe giornate di cielo plumbeo diventava grigia, appunto, in altre sembrava e ne sono sicuro, per alcuni turisti tedeschi capitati per sbaglio in questa zona smadonnando, un grande, grandino diciamo, mare salmastro. Una meraviglia insomma, di quelle che non se ne vedono più. Io usavo ancora l’io con tutte le mie forze e conoscevo come le mie tasche i posti. Conoscevo la trattoria dei nonni così bene che potevo senza farmi vedere in mezzo a cinquanta clienti raggiungere il bancone dei liquori e berne uno a canna. Conoscevo così bene il cassetto delle banconote che appena entravo indovinavo se mia zia o mia nonna lo avevano appena aperto per dare un resto. Usciva odore di caffè, minestrone e millelire, tutto insieme. Un odore inconfondibile. Conoscevo me stesso che detta così è davvero una frasona ad effetto ma da ragazzo conoscevo me stesso. Non ridete. Sapevo esattamente come muovermi, dove dormire e come, cosa pensare, se pensare, dove andare. Generalmente andavo dove il pallone mi portava. Un piccolo campo senza porte vicino al Comune ribattezzato Maracanà. Scoprii solo dopo perché era chiamato così, l’ignoranza. I miei nonni erano persone autarchiche, nel senso che se fosse
stato per loro non avrebbero dato un soldo a nessun fornitore. Così allevavano animali e vegetali a due passi uno dall’altro. Gli animali mangiavano i vegetali e i vegetali mangiavano ciò che gli animali davano loro: soprattutto merda. Era un gran posto raccolto e concentrato su stesso. Le uniche visite dovevano portare soldi. E poi c’ero io che portavo scompiglio. Ah sì anche mia sorella. Nella trattoria si serviva spuma e Rosso Antico, una bevanda che poi ritirarono dal commercio, penso, perché se per sbaglio ti macchiava dovevi buttare il vestito. Mio nonno amava il Rosso Antico, Il Barbacarlo e la Bonarda, odiava la Finanza e le pochissime persone che giungevano da Milano con la carta di credito. Lì era proprio odio e basta. Quando
finivo la scuola andavo a mangiare in trattoria. Li sentivo ridere allegramente prima del mio arrivo. Dopo basta. Mio nonno azzardandomi un primo sorriso ma non riscuotendone un altro prendeva le scale e andava a fare il riposino, diceva, ma in realtà sentiva tutto e a volte scendeva molto arrabbiato. Mia nonna e le mie zie
reggevano il colpo perché mi amavano alla follia ma appena prendevo la porta di casa ringraziavano il Signore, facevano proprio il segno della croce. Non ho mai capito perché, forse perché volevano rivedermi il giorno successivo. Non c’era mai un giorno di vacanza nemmeno quando la trattoria era chiusa, perché il martedì la scuola invece era aperta. I miei nonni erano trattori ed eroi. Han fatto tre guerre. La prima, la seconda e quella con me. Erano eroi belli e tragici. Battuda invece era il luogo in cui Ulisse non sarebbe davvero mai arrivato. Poteva cascare il mondo. A Battuda Ulisse tagliava per uno di quei sentieri affiancati da pioppi cipressini per raggiungere una meta anche più faticosa ma senza passare da Battuda. Nonostante tutto la amavo al punto che un giorno ne scrissi io una poesia visto che Omero non se la sentiva:
“Nel celebre splendore,
palazzine anni sessanta,
Battuda o il nostro mondo,
diceva: una gioia di paese,
più mi allontano più mi sembra di vedere”,
splendida giornata,
avventurosa rappresentazione, primaverile.
Dove “celebre splendore” era sicuramente ironico e anche “una gioia di paese”; mentre la frase: “più mi allontano più mi sembra di vedere” è vera e anche il fatto dell’“avventurosa rappresentazione”. Comunque al sindaco piacque molto “una gioia di paese” e mi patrocinò l’intero mio primo libro.
Chi nasce in una famiglia di osti non può che diventare poeta, oste volevo dire o tutte e due insieme.
[continua su Talkin’ Milano, Quaderno II]
ANDREA DE ALBERTI (1974) si è laureato con una tesi sul teatro dei sensibili di Guido Ceronetti, vive e lavora a Pavia. È apparso nell’Ottavo Quaderno Italiano di Poesia Contemporanea, a cura di Franco Buffoni; in Nuovi poeti italiani, a cura di Paolo Zublena; in Lavori di scavo. Antologia di poeti nati negli anni Settanta, a cura di Giuliano Ladolfi. Ha pubblicato diverse raccolte di versi: Solo buone notizie (2007); Basta che io non ci sia (2010). L’ultima raccolta pubblicata è apparsa nella collana della Bianca Einaudi: Dall’interno della specie (2017).