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Oltre i Nirvana

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La passione, a volte, porta a imbarcarsi in avventure che rasentano la follia.

Però, se dopo oltre 30 anni densi di accadimenti e tribolazioni d’ogni tipo sei ancora lì in pista e il tuo “giocattolo”, nonostante qualche ammaccatura, continua  a divertirti e a far divertire, vuol dire che la scommessa è vinta, che bisogna arrendersi all’evidenza. E alla poesia, sì, proprio alla poesia di una imprenditorialità che si alimenta e si è sempre alimentata di sogni.

Quelli di due ragazzi che le ragioni del business e la spietatezza della logica del mercato non sono riusciti a trasformare negli ennesimi marpioni à la Gordon Gekko.

In “Oltre i Nirvana” (Edizioni del Gattaccio, p.240, € 15), Valeria Sgarella racconta la (probabilmente) irripetibile storia della Sub Pop, una delle case discografiche che più di tutte ha marchiato a fuoco un’epoca, quella del grunge, divenendo a partire dal 1987 in poi un simbolo non meno importante e non meno riconosciuto degli stessi artisti che ha lanciato. E lo fa innanzitutto con un rigore documentativo impeccabile: queste pagine, infatti, sono il risultato di lunghe chiacchierate tra l’autrice e Bruce Pavitt (uno dei due fondatori della label), integrate da una paziente  ricerca sul campo e da ulteriori approfondimenti effettuati in compagnia di alcuni storici dipendenti dell’azienda. Il risultato, da un punto di vista strettamente divulgativo, è notevole, perché dà conto delle diverse fasi dello sviluppo dell’etichetta, raccontandone i difficoltosi esordi, i primi successi, le costanti difficoltà finanziarie, la notevole ascesa nel mondo dell’industria musicale e la partnership con quasi tutte le principali band che contribuirono a definire la cosiddetta “scena di Seattle”, ad oggi l’ultima vera scena mondiale che il rock abbia prodotto.

Ma il vero punto di forza del libro risiede nella capacità di aver saputo restituire al lettore tutta la meravigliosa innocenza che animò, ormai oltre sei lustri fa, quella indimenticabile rivoluzione a sette note. Ecco dunque che, sfogliandone le pagine, vi si ritrova un giovanissimo Kurt Cobain alle prese con le sue prime incisioni; o la cricca folle dei Mudhoney impegnata in giro per il mondo in sgangherati quanto epici tour; o ancora un iperattivo e determinato Chris Cornell, sempre alla ricerca di una nuova sfida nella quale gettarsi a capofitto. E, al fianco di questi alfieri che, una volta passati attraverso la Sub Pop, riescono in breve a diventare star internazionali, centinaia di altri (a volte strampalati) interpreti e comprimari, ognuno dei quali viene catturato nell’essenza più genuina della sua vocazione di musicista a prescindere dal grado di successo raggiunto.

La Sgarella ci porta negli scantinati e nei localini di una Seattle che, uscendo da una delle congiunture socio-economiche più difficili della sua storia, si trasforma inaspettatamente nella nuova capitale del rock, riuscendo però a mantenere per lunghi tratti tutta la delicata magia del “paesone” di taglialegna e sfigati alla riscossa che l’aveva caratterizzata fino alla prima metà degli anni Ottanta. E di quei live club improvvisati dove centinaia di ragazzi si incontrano e scontrano, riesce a catturare gli odori, le vibrazioni, le speranze di una generazione che nello sferragliare di una chitarra distorta o nel graffio di un cantato pieno di sgarbata tenerezza combatte la poca misericordia di un quotidiano fatto di povertà, lavori mal pagati e costante rischio di sprofondare, ma sempre in grado di suggerire uno sprazzo di accecante luce oltre il buio, per chi sa guardare.

Altrettanto lirico e a tratti commovente è anche il rievocare le decine e decine di balzane trovate imprenditoriali che Bruce Pavitt e il suo socio Jonathan Poneman mettono in piedi per cercare di sfangarla nelle sabbie mobili del music biz. Trovate che dicono tanto della loro attitudine di romantici punk rocker, devoti al concetto del do it your self, ma anche della grande ingegnosità con la quale riescono sempre a tenersi a galla, trasformando una scalcinata azienda in una realtà che nulla ha da invidiare alle major più blasonate del settore, pur mantenendo un’impronta, un’aura di autorialità e di freschezza che, ancora oggi, sono percepite come la quintessenza stessa dell’essereindipendenti.

Insomma, più che un libro questo “Oltre i Nirvana” è un lungo, appassionante viaggio nel mare magnum dell’ultimo vero fenomeno di aggregazione giovane e creativa nato nel mondo della musica, ragion per cui riesce a superare con un gran balzo le secche della saggistica di genere per appropriarsi dello scintillio e della capacità di ammaliare che solo certa avvincente narrativa sa regalare.

Sì, certo, da leggere. 

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