Arthur Schnitzler è stato, in un certo senso, il doppio letterario di Freud [o almeno così Freud amava pensare.] Ebreo, viennese, erotomane e, non bastassero questi tratti comuni, autore di un gioiello dal titolo Doppio sogno -testo da cui è tratto l’ultimo film di Kubrick, Eyes Wide Shut (1999), film misterioso e forse addirittura incompiuto -si dice infatti il genio sia morto prima di poter finire le riprese… but that’s another movie.
A cura di Sabrina Mori Carmignani viene ripubblicato Il tenente Gustl (Passigli Editori), breve romanzo del 1900, dall’autore stesso considerato un piccolo capolavoro, che comunque gli costò la destituzione da medico militare presso l’esercito imperiale, a riprova dell’effetto benefico che la censura di ogni tempo sembra avere sull’arte. La censura se la guadagnò per aver tratteggiato con troppa leggerezza satirica -e satiresca– la figura dell’ufficiale protagonista. Tutto il racconto è infatti il monologo interiore di questo personaggio, assolutamente superficiale, che niente ha da spartire con le profondità sondate da Shakespeare o da Dostoevskij. Originale antesignano del “flusso di coscienza”, che troverà nell’Ulysses (Joyce, 1922) la sua forma più compiuta, non è per niente difficile capire perché il padre della psicanalisi temeva di incontrarlo “per una specie di timore del sosia” (Freud, 1922).
Ma la grandezza della prosa di Schnitzler, lungi dalla ricerca di significati reconditi nell’interiorità del soggetto, sta tutta nell’espressione squisitamente musicale che caratterizza l’ininterrotto fluire dei suoi pensieri: pensieri che non si legano attraverso connessioni di tipo logico, scaturendo invece da un continuo gioco di significanti. Lo stesso silenzioso discorso del tenente e le azioni che compie non sembrano avere connessioni di causa ed effetto: sembrano invece scorrere parallelamente, con la stessa distanza di un coro della tragedia ateniese dalla scena che decantava. Questo breve libro ancora una volta mi conferma, in modo sornione e folgorante al contempo, che non siamo noi a decidere e guidare i pensieri, ma i pensieri accadono dentro noi, poiché “Io è un altro […] io assisto allo sbocciare del mio pensiero: lo guardo, lo ascolto: la sinfonia si agita nelle profondità, oppure salta con un balzo sulla scena.” (Rimbaud, lettera del veggente).
Una prosa capace di seguire tale danza vertiginosa e di ricalcarne il misterioso ritmo non è più solo narrazione: è un fantastico girotondo. E Girotondo è anche il titolo dell’opera teatrale più nota e ad oggi più rappresentata di Arthur Schnitzler: sul palcoscenico, un balletto di sentimenti e di personaggi, secondo la stessa intuizione musicale del monologo interiore… ovverosia nulla a che spartire con la logica che soprassiede, nominalmente, la finzione ordinaria della nostra quotidianità, ma l’attuazione di una rigorosa e straordinaria matematica degli abissi, che invero governa, dentro e fuori, questo mondo e, ça va sans dire, la sua psicanalisi.
Livio Pacella