La storia è costellata di personaggi cosiddetti minori, le cui storie, spesso incredibili, sono molto più rivelatrici di un’epoca di quanto possa un manuale di storia. Questo è sicuramente il caso della biografia di Lizzie Siddal, scritta da Lucinda Hawksley, tradotta da M. Ciavaratti e A. Scopano, con la prefazione di Barbara Tomasino, per le edizioni Odoya.
Il sottotitolo originale reciterebbe: la tragedia di una supermondella preraffaellita.
Londra vittoriana, 1850: una graziosa ventenne, Elizabeth, modesta modista, che viene da una famiglia dignitosa, niente più; viene e va, va e viene veloce, nel negozio di cappelli, secondo i capricci delle ricche signore; viene soprattutto, un fatidico giorno, notata. Un giovane pittore sta cercando una modella, vede Elizabeth, ed è subito un colpo di fulmine estetico. Esaltato, ne parla agli amici pittori, ed è subito ressa: tutti la vogliono, la cercano, la corteggiano, artisticamente parlando.
Da un giorno all’altro, Lizzie (diminutivo di Elizabeth) diventa la musa ideale di una cerchia di giovani artisti, battezzatasi la cerchia dei Preraffaelliti. Uno di loro si chiama Dante Gabriel Rossetti e ha deciso che lei sarà la sua Beatrice. Ne nasce un amore furioso, geloso, ossessivo: la parabola di questo amore coincide con la parabola esistenziale di Lizzie, e si compie in poco più di una decina di anni.
Nel 1862 Lizzie muore suicida, al culmine di una misteriosa malattia che la costringe ad interminabili cure, consulti medici, viaggi di salute… tutto inutile, dato che il veleno che la sta uccidendo è in realtà lo stesso farmaco che usa per sopportare i suoi mali: il laudano. L’altro farmaco e veleno di Lizzie, invece, è il suo stesso amore per Dante, che la costringe a troppo: le altre amanti, la bambina nata morta, il matrimonio rimandato per troppo tempo e celebrato troppo tardi, praticamente al suo capezzale.
Lizzie è elegante e raffinata, nei modi e nel portamento, talvolta antipatica ed altezzosa. Poetessa e pittrice, con la benedizione di Ruskin e l’immancabile sostegno di Rossetti, impone nella società del tempo la propria figura di giovane donna indipendente. Ma nella Londra vittoriana la sua provenienza da un’umile famiglia è un marchio indelebile; l’altro marchio è proprio l’essere modella, figura considerata, tra le classi abbienti, ambigua ed equivoca. La famiglia di Dante non volle mai accettarla, lui si rifiutava di sposarla, e questo la fece soffrire amaramente.
Eppure sarà proprio il suo spirito indipendente a sancirne la fama, e a fare di lei una figura leggendaria, che incarnando nei quadri le figure di Ofelia e Beatrice, incantò la sua generazione, per poi divenire lei stessa icona femminile, sinonimo di bellezza e intelligenza capaci di mettere in crisi la superbia e l’arroganza del mondo maschile.