Verrebbe voglia di suicidarsi anche solo per entrare a far parte del pantheon dei personaggi narrati da Antonio Castronuovo nel suo Suicidi d’autore (Stampa Alternativa, 2019), seconda edizione più che raddoppiata della prima, oggi introvabile (e che conservo avidamente), data alle stampe nel 2003. Peccato non sia sufficiente suicidarsi per ambire ad essere eternati nelle pagine di Castronuovo, il cui interesse è rivolto a grandi artisti e autori del passato (e per forza, sono morti!) che sotto il segno dell’arte, vivendola fino in fondo, hanno voluto scegliere autonomamente il momento e il modo di morire. Il suicidio, a pensarci bene, è un atto eminentemente artistico, se con questo intendiamo il volersi sottrarre all’inesorabilità naturale. Questi suicidi sono “d’autore”, infatti, perché “compiono” lucidamente un’esistenza, e poi, più intuitivamente, perché opera di chi con le opere (d’arte e letterarie) aveva a che fare, fino a farsi tutt’uno con esse, come Plath, Bentaga, Márai, Formíggini, Rothko, Pozzi, Prezzolini, Zürun, Salgari, Urmuz, Condorcet, Cvetaeva, Monnier, Montherlant, Caraco, Kane, Valgimigli, Jarry, Seidler, Benjamin, Roussel, Sexton, Drieu la Rochelle, Zuffì, Ceronetti. Venticinque esseri umani accumunati da una consapevolezza della fine che quando arriva è impossibile arrestare. Suicidi d’autore è un libro appassionato, scorrevole, coinvolgente, a cui non manca il gusto dell’aneddotico ma che non indulge in giudizi, ripercorrendo con ritratti (anch’essi d’autore) le parabole esistenziali e artistiche dei protagonisti scelti da Castronuovo per rappresentare l’assurdità della vita, quasi mai esente da sofferenze e contraddizioni. Da leggere anche per conoscere più da vicino donne e uomini, più e meno celebri, il cui nome è per noi legato “solo” a opere immortali, la cui origine va però rintracciata e riscoperta nelle anime sensibili che hanno dato loro vita.