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Loreta Minutilli, Elena di Sparta

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Operazione à la Atwood (Il canto di Penelope, del 2005, è stato da poco ripubblicato da Ponte alle Grazie), quella dell’esordiente Loreta Minutilli, che propone un inedito ritratto della bellissima Elena di Sparta (Baldini+Castoldi, 2019, pp.189, euro 17). L’autrice la fa parlare in prima persona in una confessione a tratti spudorata, strada più che mai frequentata dalla narrativa odierna, a tratti piana e e indolore, che disseziona il vissuto e i patemi della più invidiata e maledetta tra le donne.

Il romanzo della Minutilli, scoperta dal Premio Calvino, traccia la storia della “cagna degli Achei”, come viene descritta da Omero, o meglio, come si autodescrive la “divina fra le donne”: “faccia di cagna”, dice di se stessa presentando a Priamo gli eroi greci che, nella piana di Troia, combattono a causa sua (nell’Odissea rinnova la formula). Priamo non sembra scomporsi davanti agli epiteti che lei si riserva, avendole già manifestato il suo pensiero: “Per me, nessuna colpa tu hai, la colpa ce l’hanno gli dei, che m’hanno attizzato la guerra sciagurata degli Achei”. Il vecchio e saggio re di Troia lo dice convinto del potere di Peithò, Persuasione, che ha capacità di sedurre e ingannare ma non in senso deteriore, dal momento che Peithò permette, grazie a quell’inganno, la manifestazione di una verità (come sanno bene Odisseo e Oscar Wilde, per passare di palo in frasca): “Non c’è colpa nella seduzione e nell’inganno astuto che alla seduzione è connaturato. Questa è la legge di cui ci fa partecipi “la cagna degli Achei”, argomenta Matteo Nucci nel bel L’abisso di Eros (Ponte alle Grazie, 2018, pp. 283, euro 16.80). Nucci fa un lungo excursus per sostanziare il suo discorso che mira a rendere denso e chiaro (sembra un paradosso) il panorama concettuale che sta alla base della civiltà greca e ci racconta qualcosa che travalica le epoche: “Quando ci si lancia nel racconto, è necessario modificare ciò che è accaduto se si desidera che l’altro possa cogliere almeno in parte la nostra verità. Questa legge perfetta è destinata a diventare la legge assoluta della letteratura di ogni secolo”. È quel che fa Odisseo, dicevamo, che, dopo il quasi infinito viaggio per mari e per terre, astutamente si cela per poi manifestarsi alla moglie “con molte menzogne simili al vero”. È quel che fa Eros stesso con la sua Psiche, nella favola di Apuleio: si nasconde per poi rivelarsi in un amore pieno, finalmente possibile (recentemente pubblicata la riscrittura di Annamaria Zesi: Amore e Psiche, L’Asino d’Oro, 2019, pp. 80, euro 28). È ciò che sa Esiodo quando, nella Teogonia, fa dire alle Muse: “Noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero; noi sappiamo quando vogliamo proferire parole veraci”. E gli esempi potrebbero continuare senza sosta.

Questa Elena di Sparta, uscita dalla penna della Minutilli, è una lettura godibilissima e un esordio più che prometttente; ha però il difetto di essere il veicolo di un messaggio e di una rivendicazione che- giusta sotto alcuni punti di vista perché colma un vuoto e così facendo ce la avvicina- sembra anche frutto di un’operazione mentale, di concetto. Tanto è vero che mai la sfiora quell’abisso di Eros, anzi lo rifugge come Elena rifugge l’amore, per cui anche Paride non ha nessuna attrattiva: un “principe troiano privo di personalità”, “un volgare paesano a cui era piovuta sulla testa un’inattesa fortuna che non mancava di sbandierare a ogni occasione”. Lo usa, Elena, semplicemente, con quell’astuzia che però è volta al vantaggio (“Io ho pianificato, ingannato. Ma so che nel farlo non ho mai provato neanche la metà delle emozioni che ha provato lei”, dice riferendosi a Clitennestra) e che ha il gusto assoluto del potere, che è esercizio di influenza. Lo usa per uscire dalle mura che la costringono al ruolo di donna, il cui mondo sono le stanze del palazzo, il gineceo. Lo usa per vedere cosa ci sia fuori di lì e assaporare un po’ di quella libertà che è concessa all’uomo soltanto. Una libertà che è viaggio e lotta. E patema. Ma che non comprende come la guerra sia un crudele strazio, anzi vi guarda come a una novità: “Prima di tutto mi piacevano le novità, i cambiamenti. Amavo sperimentare nuove situazioni, osservare le reazioni delle persone che si trovavano in una situazione mai provata prima. Una guerra era un’ottima potenzialità da questo punto di vista”, dice con istinto e freddezza da catalogatrice. Il suo fuoco sta nell’opporsi, a tutto, a tutti: agli altri, a se stessa.

Questa Elena sembra calcare la scena del romanzo con una levità (forse solo apparente, vista la riflessione incessante del cervello che costruisce e decostruisce tutto) che è scelta, ma la allontana dal dono del perdersi, precipitare nel gorgo per poterne riemergere (sempre con quel movimento paradossale e portatore di verità) nuova, saggia, piena di vita. “Dimenticai tutto in un soffio, quel soffio che è stato tanto cantato come quello della passione e che invece fu causato da una forza tanto più viva e tanto più fredda: quella della mia mente”.

Eppure, nella sbilenca e appassionata amicizia con Cassandra, nel dubbio che l’assale e la rende imprendibile, nelle acquisizioni mai stabili, come quella che “non si diventa mai saggi”, nell’unica richiesta, prima capricciosa poi consapevole, di essere ascoltata, Elena di Sparta ci stupisce proprio nel momento in cui sfiorisce la bellezza che tanto l’ha esaltata e perseguitata: “Perché hai dovuto rovinare tutto?”, le chiede Menelao, dopo averla riconquistata. “Era l’unico modo perché tutti vedessero che ero una persona”, risponde lei. E così comincia a raccontarsi.

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