«Entrambi siamo destinati a protestare in quest’anfratto sperduto del mondo e a conservare, attraverso la sofferenza, l’insonnia dello spirito» scrive Emil Cioran all’amico Petre Ţuţea nel luglio 1937, due mesi prima di lasciare per sempre la Romania per Parigi. Insonnia, che per Cioran fu sempre anche extraspirituale, ma che fu eletta da lui stesso a dimensione esistenziale – estremamente lucida e per questo tragica. L’“anfratto sperduto” è la Romania, isolata, disperata, di cui sia Cioran che Ţuţea sono figli, la cui unica via di fuga sembra proprio consistere nell’amicizia che lega i due. È questo l’oggetto de L’insonnia dello spirito – Lettere a Petre Ţuţea (1936 – 1941) epistolario a cura di Antonio Di Gennaro e tradotto da Ionuţ Marius Chelariu. «L’amicizia mi lega al mondo molto più degli istinti. Essa sola salva un principio spirituale nell’ordine del visibile» confessa ancora Cioran all’amico, conosciuto a Bucarest negli anni Trenta e considerato “il solo vero genio” che egli abbia mai incontrato, un “fallito”, uomo incompiuto, senza spirito pratico, e per questo massimamente degno di interesse e stima (come ricorda Antonio Di Gennaro nella sua “non-prefazione”). Ţuţea, chiamato il “Socrate della Romania”, fu per Cioran, di nove anni più giovane, un punto di riferimento per tutta la vita – sempre nel ’37 scrive: «Io sono un Diogene che ha spento la sua lanterna, dopo averti incontrato. Un uomo, finalmente!» –, nonostante abbiano intrapreso due strade “spirituali” diverse: il primo accettando le lusinghe di Dio e il secondo facendosi, se possibile, sempre più scettico e nichilista. Non v’è dubbio che L’insonnia dello spirito sia un altro importante tassello che ci permette di conoscere sempre meglio le sfumature psicologiche di uno dei più grandi pensatori e scrittori del XX secolo.