Lo si può leggere come un romanzo di formazione, come un saggio e un viaggio nel costume musicale occidentale. Dai Led Zeppelin allo Zen di Antonio Papagni, uscito da CartaCanta, è costituito da un testo labirintico, in cui si entra partendo dagli anni ’70, per giungere ai ’90 attraverso una chiave narrativa che, di pagina in pagina, si rivela come scoperta, memoria, flusso di coscienza, indagine storica e sociologica. La musica e i fenomeni musicali, infatti, diventano per Papagni strumenti di conoscenza e di consapevolezza, cantiere autobiografico, osservatorio dei profondi cambiamenti che si sono verificati nel periodo di tempo percorso dalla narrazione. Dalla musica il salto in altre dimensioni – dal cinema al costume, dalla politica, dalla letteratura all’economia mondiale -diventa un basso continuo, che concorre alla strutturazione di un “racconto” di straordinaria ampiezza e complessità.
Si parte dai Led Zeppelin, ma gli spostamenti nella scena musicale sono infiniti: rock, metal, punk, post punk, new wave. E dalla scena musicale a tutto il resto, in un continuo contrappunto. Dentro c’è Robert Fripp e La febbre del sabato sera, Jimi Hendrix e Milan Kundera, Inti Illimani e Soft Machine, Stanley Kubrick e David Byrne, Peter Gabriel e Aldo Moro, This Mortal Coil e Police, Chernobyl e David Sylvian. Il Giovane Holden e Kurt Cobain.
Dai Led Zeppelin allo Zen è una lettura imperdibile e che non si sbaglia a definire appassionante, dal momento che dice di una “passione” in cui – non solo – è facile identificarci, ma soprattutto per la sua straordinaria capacità di leggere i tempi, le generazioni e i costumi che abbiamo attraversato.