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Christian Frascella. Il delitto ha le gambe corte

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La strada.

C’è la strada kerouachiana così pregna di promesse “spirituali” da instancabile viaggiatore e incerti, sempre differenti orizzonti…

Tutti sembrano amarla, bramarla prim’ancora, come unico strumento di redenzione contro la noia d’ogni giorno. Magari con un bel compagno di viaggio e di avventure come Neal Cassady, elettricofolleinperenneagitazione, per aggiungerci un bel tot di verve esistenzialista in più, che, si sa, da soli è bello, ma una spalla all’altezza non guasta.

E poi c’è un altro tipo di strada. Quella che, appena varcata la soglia di casa, trovi ad accoglierti un giorno dopo l’altro, una stagione della vita dopo l’altra. La ricordi perché da bambino ci giocavi al pallone; la ricordi, perché da grandicello era il teatro di marachelle e di scoperte; la ricordi, perché da ragazzo ci hai trovato l’amore e lì hai cominciato a prendere coscienza delle ingiustizie; la ricordi, perché da uomo ti sei trovato a percorrerla migliaia di volte per guadagnarti da vivere. La ricordi, è vero, ma anche lei si ricorda di te. Regalandoti magari continui squarci di memoria con i quali rileggere la tua storia e interrogare il domani. Facendoti inciampare nelle solite facce cambiate insieme alla tua, che tra un convenevole e un moto di esasperazione per quello che ti sembra di aver perso o, peggio, di non aver mai vissuto, ti raccontano chi sei, cosa sei diventato. Guardandoti da ogni vicolo come una mamma un po’ premurosa e un po’ rompipalle, di quelle che cerchi di fregare ma che non puoi fare a meno di amare.

Ecco, è in una strada di questo secondo tipo che si trovano i tipi come Contrera, il protagonista di “Il delitto ha le gambe corte” di Christian Frascella (Einaudi, 2019, pp. 367, € 18). Lo abbiamo conosciuto in “Fa troppo freddo per morire” e sappiamo molto di lui. Sappiamo che di mestiere fa l’investigatore privato e viene da un passato burrascoso di ex poliziotto e marito fedifrago. Sappiamo che si è seduto al tavolo dell’avvenire provando a bluffare ma ne è uscito a dir poco malconcio. Sappiamo che, in qualche strano modo, ha conservato un indefesso spirito da indiano metropolitano, battendo in lungo e in largo il quartiere Barriera a Torino, dove è sempre vissuto  e dal quale, ormai, sa di non poter fuggire. Sappiamo, infine, che il suo cuore è pieno di buchi rammendati alla meno peggio e che il suo ufficio è una lavanderia a gettoni, gentilmente messa a disposizione da un suo ex cliente maghrebino e con un frigorifero quasi sempre ben rifornito di Corona.

Questa volta, gli capita di incontrare una bellissima ragazza americana nel carnevale multietnico in cui si trasforma Barriera nei dì di festa. La tipa non è solo molto avvenente, ma anche estremamente misteriosa e dopo il loro primo, casuale incontro scompare. Non prima di aver, pare, investito un noto pusher della zona e aver sollevato un polverone in città e non solo. Nel frattempo, Contrera si trova tra le mani anche un’altra, complicata rogna: la sua ex moglie è vittima di uno stalker incapace di rassegnarsi alla fine della relazione. Come andrà a finire?

Dall’intreccio di queste due vicende apparentemente irrelate, prende corpo una storia piena di piani paralleli, che, dopo una adeguata fase di preparazione, regala una girandola di sorprese e fuochi d’artificio i quali vi terranno incollati a questo libro fino all’ultima pagina. Ma la bravura di Frascella, qui come nel prima indagine della serie, non risiede tanto nella capacità di tessere una detection classica (nella quale, comunque, non ha nulla da invidiare a un “mestierante”), quanto nel saper innestare all’interno della narrazione di genere, un ritratto del suo protagonista così umano e disperatamente ironico da proiettarla in una sfera letteraria a tutto tondo: le tenere miserie di Contrera, la sua incapacità di tirarsi indietro anche di fronte alla palese evidenza di un errore che sta per commettere, il suo continuo esaltarsi e annaspare nel giro di pochi istanti, lo trasformano infatti in un antieroe da romanzo americano, à la Arturo Bandini per capirci, sempre a una spanna dalla grande impresa, sempre a rischio di una grande caduta. E sempre, soprattutto, fedele alla stessa faccia tosta, che non è mai una maschera da piacione di bassa lega (anche se di fare il piacione simpatico, qualche volta, non se ne cruccia…), ma una purissima dotazione di madre natura.

Tutto questo con la complicità, come si è già accennato, di un quartiere che non rappresenta una mera quinta per l’azione, ma sa elevarsi a deuteragonista del racconto, assumendo i tratti, al contempo, della grande città e del paese, che lo rendono affascinante e insostituibile per lo svolgimento dei fatti. Un quartiere dove tutti sembrano conoscersi, ma dove, non per questo, non ne succedono di cotte e di crude come nella migliore e più labirintica Los Angeles d’inchiostro (tanto per rimanere sulla città “giallo-nera” per eccellenza).

Fiondatevi insomma nella vostra libreria di fiducia e non lasciatevi scappare questo “Il delitto ha le gambe corte”. Ideale in questi giorni dove i presunti “grandi” sono tutti superomogeneizzati e facilmente vengono a noia con le loro pose di grandezza. Al suo interno, ci troverete invece vita, vita pulsante. Quella piena di errori e acide rimembranze ma anche di sorprese e fragile umanità fondamentali per tirare avanti.

L’unica che è data da vivere alla quasi totalità di tutti noi.

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