Mio caro G.,
camminiamo capitoli – ciò che accade si fa nella testa, e nella testa noi ci incontriamo, facendo poi precipitare eventi sul mondo.
Dunque, questo è il fatto o l’antefatto: due individui si incontrano (noi) e, non conoscendosi – ognuno a suo modo – si guardano. Stanno leggendo la scrittura, la propria. Ma intanto l’occhio si desta e si sposta: dalla pagina alla platea. Si cercano con l’occhio della curiosità, non ancora quello del desiderio o un desiderio piuttosto mascherato, ritroso – come accade al Leone di Napoli e a Natalia, ma all’inverso: dal libretto al palco. I due individui poi passano del tempo insieme – questi però sono loro perché noi due siamo distanti; per questo camminiamo capitoli. Interviene però l’occhio di qualcun altro (di Dato, in quel caso; e nel nostro?), qualcuno che li osserva non visto, e trama (cose belle o brutte, non si sa; di certo, finora, c’è solo che è per interesse, qualcosa che ha a che fare con le mani che chiedono, con quelle che danno). All’apparir delle mani appare anche Manur, il marito di lei, che con le mani intrattiene un rapporto speciale, esclusivo: lui può toccare Natalia, e lo fa (il Leone di Napoli ancora no); lui maneggia il denaro e controlla le marionette (il Leone, per ora, è una di quelle). Così, desiderando le mani che muovono le sagome (e cioè desiderando muoverle e depositarle, farle transitare sul corpo di Natalia ed esserne, a sua volta, toccato), il Leone è ora tutto occhio della mente e del desiderio, quello con cui ripercorre i fatti (supposti o reali) che noi non possiamo vedere. Ma sono fatti suoi, cioè sono elucubrazioni che gli girano per la testa quando, la sera, si separa da Natalia, e così deve supporre che quel contatto continui anche nel pensiero di lei che, una volta in camera e al riparo di occhi indiscreti (ma con un altro occhio addosso, stavolta – anzi due: quello del Leone e quello di Manur), forse non ha proprio voglia di avvicinarsi al marito o (visto che il Leone mette sempre in dubbio tutto perché non sa distinguere la realtà dal sogno) invece non vede l’ora di stare di nuovo accanto a lui (ma questo è improbabile, trattandosi della fantasia del Leone) e allora si concede stancamente, prima ai suoi occhi (schermati dagli occhiali), e poi alle mani che si avvicinano e toccano e frugano, ma poi desistono.
Tre cose, perché tre è il mio numero.
La prima: il Leone di Napoli desidera Natalia come niente al mondo. I suoi occhi le corrono addosso e ne registrano ogni dettaglio. Lo spazio ne risulta deformato “come se quando lei si muoveva lo spazio diventasse più denso e opponesse maggiore resistenza”. Come non ricordare, allora, quello che hai scritto tu di Maria in Storia dell’uno e dell’altro? Sono parallelismi che, bada bene, assomigliano ad equilibrismi, ma tantè… Eccoti qui: “Maria riempie con la sua presenza lo spazio intero e non c’è niente intorno che esista senza di lei. Tutte le stanze della casa sono abitate da lei. Ma non una alla volta, bensì contemporaneamente perché lei ha questo potere, di essere ovunque […] perché lei è tutti i passi fatti e quelli ancora da fare e chi vuole seguirla si confonde perché Maria è dietro e davanti – ed è dentro al cuore di tutti gli uomini – e basta che faccia un cenno perché un autobus si fermi per farla salire, ma anche quando ci sale, lei ne è già discesa o sta sull’autobus successivo, e magari già in piedi nella sua tintoria e seduta a rammendare una camicia, a riattaccare un bottone, chinata a infilare panni nelle nostre lavatrici e a stendere il bucato del nostro domani”. Sei una dannato geniaccio!
La seconda: l’occhio del desiderio del Leone si innesta, diciamo, negli occhi di Natalia mentre si guarda allo specchio e intravede il suo sfiorire o il pensiero dello sfiorire. Avevo scritto, qualche anno fa, un racconto con questo titolo, avevo raccontato di una donna che deposita futuro nell’antichità di una bambola scórta, solo di sfuggita, sulla sedia di un antiquario romano. Se ne sta lì a testimoniare la resistenza della propria storia, di tutte le storie che ha attraversato, portandosele dietro incise nella plastica o negli occhi sgranati che si aprono e chiudono emettendo un suono, un click che richiama il vuoto dietro le orbite dove si incuneano le palpebre. Essere occhi./ Fissi sul mondo. Su quello che cambia e svapora./ Il mutare dei tempi. / Oltrepassarli, indenne da morti e spaventi… È quella speranza, quel bisogno di farsi la bambola (farsela, perché la donna che sfiorisce la vuole come amante), la speranza di scavallare i tempi con gambe lunghe come quelle di Natalia, “le gambe che furono sovrannaturali [e] appaiono ancora perfette – snelle e dritte -, ma cominciano a sembrare mortali” che la spinge a cercarla e comprarla.
La terza: gli occhi “color cognac” di Manur sono schermati, cioè egli porta gli occhiali. E questo può voler dire un paio di cose: che sono nascosti o ingigantiti. Oppure che nascondendosi dietro la lente ne risultano ingigantiti, pervasivi, e che niente sfugge mai al loro controllo. Ma lo vedremo più avanti. Però la realtà dietro le lenti può risultare deformata e deformante oppure tanto reale da distruggere sogni e illusioni. Ti ricordi quel racconto della Ortese? Un paio di occhiali, si intitola.
Le lenti insomma si sostituiscono agli occhi e qui è tutto un meccanismo intricato di sostituzioni: il Leone vuole sostituire Manur ma forse è il sostituto di Roberto Monte, il fratello di lei; Dato è il sostituto (l’occhio) di Manur ma per esserlo deve spiare e sostituire la realtà per farne quello che vuole, manipolarla.
Ecco, io te lo dico, Gianluca: ho un po’ paura di te perché quel che nominiamo, strampalato, accade – e io rido e… no, non piango, ma se fossi più forte lo farei. Certamente resto a bocca aperta e se dovessi raccogliere la tua suggestione riguardo ai personaggi che forse traspariranno alla fine del libro (G. e R. che riscrivendo la storia ne sono riscritti) te ne rimanderei indietro un’altra – meno fantasiosa, certo, sicuramente meno fascinosa, che è questa: e se invece tutti loro si presentassero alla nostra porta, alle nostre porte e contemporaneamente (come la tua Maria – perché noi siamo distanti abbastanza) e ci citofonassero? Non sei personaggi ma quattro, e non in cerca d’autore ma d’altrove. Perché è certo che ne L’uomo sentimentale presto le cose volgeranno al peggio e loro qualche rifugio dovranno pur trovarlo. Glielo forniremo noi, facendoli scampare alle maglie della giustizia. Che tanto non faranno mai male a nessuno (di reale). Tranne che a noi, forse… Così finalmente torniamo in scena, da conniventi.
Ed è arrivato il tempo di lasciarti, con quella abat-jour che in camera di Manur e di Natalia resta accesa “la notte intera e li assalirà all’alba”. Io continuo il mio sogno e ti lascio (è una ruberia) con Cummings. Chissà, forse è così che si sente il Leone…
Se tacitamente, dalla più insignificante e
sconosciuta notte, arriva un’altra esile possibilità
(che è solo di questo mondo) la mia vita
non balza che con il mistero del tuo sorriso
che canta o se (crescendo luminose
mentre cadono nell’oblio) le voci che sono sogni,
la terra nuota certamente meno nel cielo
ad ogni mio più profondo respiro che diventa un tuo bacio
perdendo attraverso te quello che sembravo essere io, trovo
parti che non avrei mai immaginato essere mie; oltre
il dolore c’è la gioia, e oltre la speranza la paura,
tua è la luce che dà vita al mio spirito:
tuo il buio in cui fa ritorno la mia anima
tu sei il mio sole, la mia luna, tutte le mie stelle.
Tua, R.