Per anni Gina Berriault è stata considerata una “scrittrice per scrittori”, scoperta tardi dai lettori ma stimata sin dai suoi esordi da autori come Richard Ford (“I suoi racconti restano senza confronti. Sono semplicemente meravigliosi”), Andre Dubus, George Saunders e Richard Yates, l’autore di Revolutionary Road, che per primo la scoprì sottolineando come l’autrice americana sia “un trionfo della scrittura nella sua forma più pura: è lei che bisogna leggere per capire cos’è scrivere”. Oggi negli Stati Uniti è paragonata ad Alice Munro e Virginia Woolf proprio dai lettori che ormai la adorano trovando nei suoi racconti una versione statunitense di Cechov e Gogol. Se il confronto con i grandi scrittori russi appare esagerato è innegabile, la Berriault nella raccolta Donne nei loro letti (appena pubblicata da Mattioli 1885, traduzione di Francesca Cosi e Alessandra Repossi, pagg. 220, euro 16) si dimostra abilissima nel ritrarre, quasi come in istantanee di vite perse, un universo, per lo più femminile, le anime di un’America sospesa tra i propri sogni e la quotidiana realtà del guadagnarsi da vivere. Sono racconti brevi e spiazzanti molto vicini alla poesia e con pochissime parole e frasi lapidarie che catturano l’essenza di una situazione. Come scrisse sempre Richard Yates “Gina Berriault ha uno stile lucido, lirico, assolutamente personale e sembra conoscere un’infinità di soluzioni per penetrarci il cuore e spezzarlo. A differenza di altre scrittrici americane, come Anne Sexton e Sylvia Plath, i suoi racconti sono venati da un’ironia che ci risollevano sempre da storie di ordinaria (dis)umanità. Come nella raccolta precedente (“Piaceri rubati” edita lo scorso anno sempre da Mattioli 1885) “il senso di resa” viene sempre riscattato da una dignità che i suoi personaggi non perdono mai. A ogni pagina ci troviamo davanti a radiografie emotive che non hanno bisogno di fuochi artificiali (come ad esempio in Raymond Carver) per farci guardare il cielo: perché è questo il segreto di ogni sua storia, il fatto che riuscire a “perdonare significa rinunciare a ogni speranza di un passato migliore”. Che racconti di baby sitter minorenni o tossicodipendenti, donne sole o oppresse, Gina Berriault ritrae le piccole o grandi sfumature della vita catturandoci attraverso trame che ci fanno comprendere come “ignoranza e paura non siano mai stati così distanti dal nostro cuore”. Perché, alla fine, è proprio il “cuore” a essere la parola più usata in questi racconti senza mai cadere in uno stucchevole sentimentalismo.
Gian Paolo Serino