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Marina Di Guardo, Il regalo di nozze (terza e ultima parte)

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di Marina Di Guardo

 

Barbie e Ken: nell’universo dei serial Killer, questi sono i soprannomi attribuiti agli sposi canadesi Homolka/Bernardo, una coppia diventata sinistramente famosa in tutto il mondo.

Paul Bernardo, classe 1964, nasce in una famiglia a dir poco problematica: un padre violento, molestatore di ragazzine minorenni e violentatore seriale (abusò persino della stessa figlia) e una madre che aveva concepito Paul con un altro uomo, rivelandolo poi al figlio quando era sedicenne. Paul, nonostante i traumi sperimentati in famiglia sembra crescere come un ragazzo normale. Si laurea in Economia e trova un buon lavoro come contabile in una banca. Ma è solo una normalità di facciata.  Dietro l’aspetto irreprensibile da bravo ragazzo, si cela un criminale. Già dal 1987, violenta diverse ragazzine alla fermata dell’autobus, non lontano da dove lavora.

Karla Homolka, classe1970, nasce in una famiglia come tante altre, ha due sorelle, Lory, la maggiore e Tammy, la più piccola. Cresce dedicandosi alla musica e al canto, con una grande attenzione per gli animali, passione che la influenza anche nella scelta di lavorare in una clinica veterinaria. Ha molte relazioni con diversi coetanei, alcune molto tormentate.

Nell’ottobre del 1987 Paul e Karla si incontrano casualmente in un ristorante di un centro commerciale a Scarbourough, in Canada.

Entrambi biondi, molto belli: una coppia che suscita invidia. Scatta una passione tra loro. Karla si accorge subito della natura violenta e perversa di Paul. Lui la costringe a giochi erotici sadici e le confessa di aver violentato già tredici ragazzine. Lei accetta, senza battere ciglio, ogni rivelazione pur di non perderlo. Paul le chiede persino la verginità della sorellina Tammy che ha soli quindici anni. Karla accetta nella speranza di tenerlo accanto a sé per sempre. Ruba dell’alotano, un potente anestetico dalla clinica veterinaria dove lavora e progetta insieme a Paul lo stupro della sorella proprio la notte di Natale. Insieme la anestetizzano con uno straccio imbevuto di alotano, a casa dei genitori di Karla e mentre tutti dormono Paul e Karla consumano lo stupro sulla ragazzina inerme filmando ogni particolare. Ma qualcosa va storto: Tammy improvvisamente vomita e si soffoca nel suo vomito, Paul e Karla chiamano un’autoambulanza, dopo aver accuratamente fatto sparire ogni taccia dello stupro. La ragazzina, arrivata in ospedale, non riesce a sopravvivere. La causa della sua morte viene attribuita a complicazioni dovute a un’esagerata quantità di alcool.

La coppia diabolica non si ferma di fronte a nulla, nemmeno davanti alla morte della sorella di Karla. Paul, sempre più irrefrenabile, vuole avere per sé una ragazzina ancora vergine che conoscono entrambi, Jane. Paul promette di sposare Karla se l’aiuterà ad attirare l’adolescente a casa. Karla accetta, Jane viene anestetizzata con un altro medicinale che non comporta effetti collaterali, l’Halcyon e l’inconsapevole ragazzina torna a casa dai genitori dopo lo stupro senza accorgersi di nulla.

Il 15 giugno 1991 rapiscono, stuprano e uccidono un’altra ragazza di nome Leslie. Per occultare il cadavere lo fanno a pezzi, lo mescolano a pezzi di cemento e lo gettano nel lago Gibson. Il corpo verrà ritrovato il 29 giugno, proprio il giorno in cui Paul e Karla, come da promessa, si sposano con una cerimonia sontuosa, più di centocinquanta invitati e la carrozza con i cavalli bianchi. Nessuno sospetterebbe che dietro quei due bellissimi e soavi ragazzi si nascondano due menti criminali e perverse. Un anno dopo, il terzo omicidio. Insieme rapiscono, stuprano e ammazzano un’altra ragazza, Kristen, che tengono segregata nella loro casa diversi giorni prima di ucciderla strangolandola e colpendola più volte con un martello. Il cadavere viene seppellito in una fossa a Burlington e ritrovato giorni dopo.

Nel 1992 Karla, dopo ripetute percosse e violenze da parte di Paul, spinta dai genitori lascia il marito e si trasferisce in un’altra casa. In seguito alle confessioni che Karla fa a uno zio, Paul viene arrestato e in casa sua viene trovato del materiale schiacciante contro di lui: un diario e sei filmati contenenti le fasi degli stupri e degli omicidi perpetrati. Paul e Karla vengono arrestati. Nel 1995 Karla viene condannata a dodici anni per complicità e altri reati minori. Viene rilasciata dopo dieci anni, si risposa e ha tre figli. Paul viene condannato all’ergastolo ed è tuttora in stato di reclusione.

Il racconto Il regalo di nozze si ispira alla loro incredibile storia.

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Il regalo di nozze (terza e ultima parte)

 

Si svegliò alle sei del mattino. Pete doveva essere tornato da poco. Dormiva accanto a lei ancora vestito e con l’alito che vomitava alcool a ogni respiro.

Fuori stava cominciando ad albeggiare. Una luce rosata si espandeva nell’orizzonte.

Strati e strati di colore.

Fucsia, cipria, giallo, ocra, arancio, grigio. La tela di un pittore impressionista.

Solo il cielo esplodeva in quel tripudio cromatico.

Tutto il resto del mondo rimaneva ancora nelle tenebre.

Avvertì quel momento come la metafora della sua vita.

I Sogni.

A colori.

Troppo in alto.

Impossibili da raggiungere.

La Realtà.

Cruda.

Incapace di volare fino ai sogni.

Zavorrata alla terra.

Niente paradiso per te, baby.

La vita vera è una sporca faccenda.

Ormai l’hai capito, vero?

Rimase a guardare fuori dalla finestra, a bocca aperta, come quando era bambina e sapeva ancora credere alle favole.

Lo sguardo si posò sui bidoni della spazzatura. Era passato il camion. Bene. Il passato se n’era andato, triturato insieme all’immondizia.

Un altro giorno iniziava.

Di lì a poco sarebbe arrivata Jessi. Bisognava preparare il teatrino, recitare la favola dell’amica più grande. Rassicurarla e approfittarsi di lei.

Jessi, senza volere, aveva dato a Pete qualcosa che lei non poteva più regalargli.

La sua verginità.

Kamilla la odiava per questo. Così giovane. Sei anni in meno, gli ormoni in fermento e l’espressione da bimba in bilico tra innocenza e malizia. Quanto sapeva essere deliziosa Jessi… I morbidi capelli biondi, gli occhioni spalancati e il sorriso disarmante. Una bambola di bisquit.

Pete era innamorato di lei. L’aveva capito da come ne parlava. Dall’insistenza che aveva dimostrato nel volerla ancora. Dallo sguardo che accarezzava quel corpo, facendo scorrere il video sullo schermo, centinaia e centinaia di volte.

E pensare che Jessi era stato il suo regalo di nozze. La compensazione per la perdita di Tanya. Anche di lei Pete si stava innamorando. Anche allora aveva corso il rischio di perderlo. Poi, però, le cose erano finite com’erano finite.

Cercò nei cassetti le pillole di Halcyon. Ne sminuzzò tre e le impacchettò in un tovagliolo di carta. Preparò il tavolo per la colazione. Pete, tanto per cambiare, aveva dimenticato di fare la spesa. Si fece una breve doccia e aspettò le otto per comprare qualcosa al piccolo food store vicino a casa. Fece un salto anche alla pasticceria di Angie per acquistare le famose ciambelle ricoperte di glassa al cioccolato. A Jessi piacevano tanto.

Quando arrivò a casa, Pete era già sveglio e stava ciondolando per la casa.

Lo guardò, incastonato nella luce del mattino, i capelli arruffati e l’azzurro profondo degli occhi. L’andatura dinoccolata di chi, a volte, sembra non sapere dove collocarsi nello spazio. Sentì di amarlo ancora. Con la costernazione di chi sa che non servirà a niente.

Si appoggiò allo stipite della porta e lo abbracciò tutto con lo sguardo, come se fosse l’ultima volta.

«Dove ti sei cacciata?» – la apostrofò Pete.

«Sono andata a fare un po’ di spesa per oggi. Ho preso anche le ciambelle che piacciono tanto a Jessi.»

«Ah sì. Dammene una.»

«Guarda che sarà qui alle nove e mezza. E’ meglio che non ti veda quando arriva.» – abbozzò timidamente Kamilla.

«Adesso vado. Fammi mangiare prima. Sono digiuno da ieri.»

Kamilla abbassò lo sguardo. Aprì la scatola delle ciambelle e gliene porse una. Pete la divorò con la stessa ingordigia che sfoderava quando assaliva le sue prede. In quei momenti le sembrava un lupo affamato in cerca di carne fresca.

«Dammene un’altra. Non avevi detto che Jessi non deve mangiare?» – mugugnò a bocca piena.

«Sì, ma il tavolo deve essere apparecchiato per la colazione. Dobbiamo fare un po’ di messinscena.» – protestò Kamilla debolmente.

«Ok. Vado a fare la doccia. Vorrà dire che me le mangerò dopo.» – bofonchiò.

Un’occhiata di sbieco alla libreria e i suoi scaffali. Non si era accorto della sparizione delle cassette. D’altronde si era appena alzato. Non si era ancora consacrato alla sua ossessione personale.

«Prima o poi, se ne accorgerà e allora si scatenerà l’inferno.» – pensò, sentendo una stilettata di ghiaccio nello stomaco.

Fuori dalla finestra un sole deciso scaldava già l’aria. Le clematidi del portico sembravano voler sbucare dal graticcio per catturare tutti i suoi raggi. A Kamilla sembrò quasi di vederle muovere, aprire le corolle, splendere di colori più vivi. Era bello quel quartiere. I prati rasati di fresco, i fiori davanti ogni casa, quell’ordine così meticoloso. Quando erano andati ad abitare lì, i vicini li avevano accolti portando torte e dolcetti fatti in casa. Quanti complimenti per la loro villetta, le foto del matrimonio, l’arredamento. Tutti a chiedere:

«E i bambini? Quando arriveranno?»

Sarebbero stati così belli i loro bambini. Biondi e con gli occhi azzurri, di sicuro. Se li era visti già scorrazzare sul prato, arrivare a casa con le ginocchia sbucciate e i pantaloni sporchi di terra. Aiutare il papà a fare il barbecue. Regalarle sorrisi sdentati.

E invece…

Mise in bella mostra sul tavolo le ciambelle con la glassa al cioccolato. Preparò la limonata che tanto piaceva a Jessi, con molto zucchero. Piegò i tovaglioli come le aveva insegnato una sua amica che aveva un ristorante. Rimirò il risultato, allontanandosi di poco. Una tavola imbandita con maestria. La trappola perfetta.

Pete aveva già preparato la telecamera. L’unica cosa cui aveva pensato. Nella cassetta video8 c’erano ancora i filmati del viaggio di nozze alle Hawaii. Le palme, i tramonti, il vulcano. Tutto come se l’era immaginato. Tutto tranne Pete.

Il suono del campanello la scosse. Jessi era in anticipo. Versò un po’ di limonata in un bicchiere e chiamò Pete che era ancora in bagno.

«Non farti vedere finchè te lo dico io.» – gli urlò dal corridoio.

Prese le pillole dal tovagliolo e le mise nel bicchiere, mescolando per bene. Poi, andò ad aprire.

Jessi era più bella che mai. I capelli biondi legati in una coda, gli occhi che luccicavano, la pelle di porcellana. Indossava un abitino bianco che la faceva sembrare più grande della sua età. Un bocconcino irresistibile. Si guardò nello specchio dell’entrata e si vide incolore. Quella che non sarebbe mai voluta diventare.

«Ciao Kamilla, sono un po’ in anticipo, fa niente?»

«Non ti preoccupare, sono in piedi già da un po’. Ti ho preparato una colazione coi fiocchi, sono uscita apposta per comprare le ciambelle al cioccolato di Angie.»

«Davvero? Mi piacciono da impazzire.»

«Facciamo colazione e poi andiamo al centro commerciale, cosa ne dici?»

«Per me va bene. Pete è a casa?» –  le chiese con un’aria svagata.

«E’ uscito un attimo, ma torna tra poco.»

«Ah!» – rispose Jessi con ostentata indifferenza.

La odiò ancora di più.

Sapeva bene che stravedeva per Pete.

Diventava rossa quando lo incontrava. Farfugliava. Civettava in maniera spudorata.

Come Tanya.

Le movenze da bambina e l’inconsapevole malizia di una donna fatta.

Le porse il vassoio delle ciambelle. Jessi ne afferrò subito una che divorò con avidità.

«Tu non mangi niente?»

«No, grazie. Ieri ho esagerato a cena e stamattina avevo un po’ di acidità.»

«E Pete?»

«Pete ne ha già mangiate tre. Queste sono tutte per te. Guarda, ti ho versato la limonata.»

La osservò mentre si scolava tutta la limonata e si strafogava con altre due ciambelle. Dopo poco la vide barcollare. Stropicciarsi gli occhi. Sedersi sul divano. Appoggiare la testa allo schienale.

«Lo sai che mi è venuto un sonno? Eppure stanotte ho dormito quasi dieci ore..»

«Rilassati pure, non c’è nessuna fretta. Al centro commerciale possiamo andare più tardi.»

«Sì, ma io…» – bofonchiò Jessi chiudendo gli occhi. Poco dopo dormiva già profondamente.

Kamilla la osservò di sottecchi. Prese la boccetta di alotano e ne versò un po’ su uno straccio di lana. Glielo premette sul viso. Quel bel viso da verginella. A Tanya era venuta una bruciatura sulla guancia. I medici non avevano capito il motivo di quella macchia. Che inconpetenti, avevano ipotizzato fosse stato il vomito acido. Li aveva fregati tutti. Anche Pete l’aveva bevuta. Povero ingenuo, lui che si credeva tanto tosto. Mai avrebbe pensato che la morte di Tanya non era un incidente. Kamilla sapeva benissimo che l’alotano è pericoloso. Non si somministra su un pezzo di stoffa a diretto contatto del naso e soprattutto non a stomaco pieno. Nozioni elementari che conosceva perfettamente. E che aveva fatto finta di ignorare. A volte, fingersi stupida era la cosa migliore.

Lei l’aveva fatto tante volte. Le riusciva bene, così bella e un po’ svampita. Molto più rassicurante farlo credere. Lasciare che gli altri la vedessero indifesa, bisognosa di protezione e di guida.

Posò il suo sguardo su Jessi. Non l’avrebbe passata liscia. Colpevole di avere fatto innamorare Pete e di essere tutto quello che lei non era più. Prese lo straccio e versò ancora dell’alotano. Glielo strofinò con violenza sul viso, tenendoglielo premuto per un tempo che le sembrò sufficiente.

Il colorito di Jessi era cambiato. Si era fatto grigiastro e un rivolo di saliva le usciva dalla bocca. Glielo asciugò subito. La presentazione doveva essere impeccabile. Le sfilò l’abito e la lasciò candida sul divano. Poi, chiamò Pete.

Lui scese subito, l’accappatoio aperto e lo sguardo infoiato. Non la degnò neanche di un’occhiata, calamitato da quel giocattolo di carne gettato sul divano.

«Prendi la telecamera e riprendi.» La voce rauca, le movenze affannate. Il bel corpo da dio greco. Sudato, nel movimento ritmico dei lombi.

Fu come se lo avesse visto per la prima volta.

Solo adesso aveva la piena consapevolezza.

Solo adesso capiva.

Kamilla, quasi in trance, si allontanò dal divano e quando fu davanti alla credenza, apri il primo cassetto. Quello che conteneva il regalo di Denise. Scostò la scatola delle posate d’argento, dono degli zii che abitavano in Canada.

Una Smith & Wesson 38 special brillò nella luce calda del mattino.

La caricò con mano ferma, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Denise le aveva spiegato come fare.

Alla fine era stata la madre che aveva voluto da sempre.

Non aveva chiuso gli occhi davanti ai segni della violenza. Si era accorta dell’infelicità che neanche lei voleva riconoscere. E le aveva dato il mezzo per uscirne, nel più breve tempo possibile.

Kamilla non avrebbe mai avuto il coraggio di confessarle che aveva ucciso Tanya, la figlia prediletta. Questo peso se lo sarebbe portato dietro per tutta la vita.

Guardò le sue mani stringere l’arma, prendere la mira, afferrare quell’oggetto come se fosse l’ultimo sperone di roccia cui aggrapparsi per evitare la caduta.

«Pete. Voltati.» – lo disse a voce alta, scandendo le parole.

«Che cazzo vuoi?»

«Ho detto: VOLTATI.»

Pete si girò di poco, gli occhi iniettati di sangue.

Subito, una smorfia di sgomento si delineò sul suo volto. Rimase immobile, come colto da una paralisi improvvisa.

«Ma che cazzo fai? Che sta succedendo?» – riuscì a malapena a balbettare.

«E’ finita, Pete.» Lo sguardo fermo. La voce sicura. Come se un’altra persona fosse entrata nel suo corpo.

«Metti giù la pistola. Non fare cazzate, Kamilla.» – riuscì a balbettare.

«Addio, Pete.» Prese la mira e gli scaricò addosso tutte le sei cartucce del tamburo. Lo osservò cadere, aggrapparsi al tavolino vicino al divano nel disperato tentativo di tirarsi ancora in piedi. Rivolgerle uno sguardo attonito. Poi, cadere ancora, in una pozza di sangue scuro.

Kamilla posò la pistola sulla credenza. Prese in mano il telefono e compose il numero della polizia.

«Pronto? Venite subito al 53 di Stratford street. Ho appena sparato a mio marito che voleva aggredirmi. L’ho scoperto mentre stava violentando una ragazza, nostra vicina. Venite subito, vi prego.»

Sospirò, dopo aver posato la cornetta. Fuori, una calma irreale.

Sembrava che nessuno avesse sentito i colpi di pistola. I bambini giocavano con le biciclette sui viali. Un vicino, in lontananza, stava falciando il prato. E le clematidi, più belle che mai, flirtavano con il sole.

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