Questa non è una breve recensione, ma la motivazione della scelta di pubblicare nella collana Greenwich.2 l’ultimo libro di Francesco Permunian, La casa del sollievo mentale. L’antefatto è l’esordio nel 1999 – accompagnato da una partecipe nota di Luca Doninelli – con Cronaca di un servo felice, che la critica più esigente accolse con ragionato entusiasmo. In quegli anni lontani fu Maria Corti a segnalarmi l’autore. Di Permunian pubblicai i due libri successivi per Rizzoli, Camminando nell’aria della sera (2001) e Nel paese delle ceneri (2003). Sono passati più di dieci anni dal nostro primo incontro e la mia fiducia verso l’autore resta immutata se non accresciuta. Così vorrei condividere con voi lettori una ragione forte per leggere questo suo ultimo sgangherato romanzo e una per non leggerlo. La ragione prima della lettura è il mondo straordinariamente mostruoso e delirante, comico e disperato, tragico e grottesco di Permunian da cui emerge una provincia corrotta e devastata che altro non è che il ritratto della nostra cattiva coscienza. Avete visto a Venezia il capolavoro dei Fratelli Chapman, Fucking hell 2008? Ecco, la seconda parte del romanzo ne è a mio avviso la traduzione esatta in parole, e posso solo accennare al miracolo della lingua e dello stile dell’autore in equilibrio impossibile tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Il libro non è invece per quelli che pensano di potersi dire innocenti, non è per chi pensa che la letteratura sia finita.