Patrizia Valduga, alla quale saremo sempre grati per il suo Requiem, rende un altro atto d’amore al suo Giovanni Raboni e smonta per i terrorizzati (non) lettori di Marcel Proust la cattedrale della Recherche. La poetessa di Castelfranco Veneto ci lascia arrivare all’ultima pagina per rivelarci quali siano stati la fatica e il piacere provati nell’opera con una nota di venti righe. «Ho riletto la Recherche nella traduzione di Raboni durante i mesi della sua malattia e l’ho riletta per fare questo libro. Ho violato il testo; ho fatto frasi principali di subordinate, di incisi, di lacerti; ho appiccicato frasi lontane fra loro; ho reso impersonali dei soggetti. Ne chiedo perdono a Proust, naturalmente, e a Raboni (anche se da lui mi so già perdonata), ma dovevo estrarre quanto più pensiero possibile». L’oro portato fuori, 1500 sentenze dai sette libri, è il distillato di Proust, è Proust anche se sembra non esserlo. È, soprattutto, un Proust che diverte con leggerezza. Salta dalla moralità (l’insieme delle cose che non si devono fare è indivisibile); al corpo (tiene chiuso lo spirito in una fortezza; presto la fortezza è assediata da ogni parte, e alla fine bisogna che lo spirito si arrenda); fino alle vacanze (sono prudenti, i bagnini, perché è raro che sappiano nuotare).