“E’ una cosa che si impara facendo i baristi: a rallegrare la gente che ha dei problemi invece di esagerare con la sincerità. Forse, semplicemente, rallegrare la gente è sempre meglio. Aiuta a pensare che le cose non vanno poi così male e che possono essere sistemate. E’ questo in ogni caso il motivo per cui tanta gente va al bar.”
Un libro di Tom Drury è una gran bella cosa che ti può capitare, specie se sei abituato ad andare al bar, o anche se sei abituato ad aprire l’anta del tuo mobile in cucina o in salotto, e attaccarti alla bottiglia di whisky per un cicchetto serale. Tom Drury non scrive libri per alcolizzati, o per animare gruppi di recupero. Tom Drury è un amico che ti viene a trovare a casa, si siede con te sulla veranda, o in taverna, e ti racconta una storia, ti porta con lui a fare un giro nei dintorni, con la mente, e subito i tuoi occhi si chiudono e ti sembra davvero di non stare più dove più tardi ti risveglierai.
Siamo sempre nel suo Midwest, in un territorio dove le storie germogliano tutto l’anno, ma bisogna coglierle al momento giusto, per non farle appassire, per non farle bruciare dal sole, per non farle marcire.
Questa è la storia di Pierre Hunter, e la storia di tanti altri certo, ma Pierre Hunter è l’assoluto protagonista, il perno centrale attorno a cui ruota tutto. E’ un giovane come tanti. Così come milioni di altri giovani arriva il momento che se ne va lontano dalla famiglia a studiare e quando torna con una laurea in tasca, per fare poi il barista, i suoi genitori sono già morti da alcuni anni.
La vita è subito in salita, ma Pierre è uno in gamba, coraggioso, determinato, guarda avanti.
E sarà anche questo suo atteggiamento, l’essere così estroverso e disponibile che lo porta a trovarsi presto coinvolto in un fatto a dir poco strano, all’uscita da una festa per prendere una boccata d’aria, quando incontro un uomo, solo, in un parco.
Al rientro poco dopo in casa, alla festa di capodanno, nulla sarà più come prima. Incredibile.
E sarà il primo di tanti altri eventi che uno dopo l’altro in poco tempo, hanno lanciato al sottoscritto un segnale molto chiaro: qui aleggia il fantasma di Kurt Vonnegut. A mio parere, Kurt ha guidato la mano di Tom (che magari non lo ama nemmeno come scrittore) ma le tracce di Kurt nella scrittura di Tom sono per me incontrovertibili.
“Cambiare vita all’improvviso era ai suoi occhi la quintessenza del pensiero americano”.
E io aggiungo che cambiarla attraverso un viaggio, era e probabilmente lo è ancora, il modo tipico dell’americano, quasi che l’America stessa avesse il bisogno atavico di essere riscoperta di continuo per sentirsi se stessa.
E Pierre parte, va in California, in autostop, e nel corso di questo viaggio il romanzo arriva in cima, scollina e scende poi a rotta di collo verso il traguardo, inarrestabile.
Scende di corsa, non lascia molto tempo per riflettere, ma lascia grandi parole, grande poesia, grandi sentimenti, a beneficio dei lettori, e anche grandi gesti.
“Spesso è il vittimismo a rendere avide e cattive le persone.”
Questo libro è bellissimo. Questo romanzo è ricerca, di sé e degli altri, questo testo è desiderio, ma anche appagamento, in un rincorrersi in cerchio che non si capisce più chi corre dietro all’altro.
Per arrivare ad un finale che lascia inebetiti, con lo sguardo perso su un grande territorio del Midwest.
Io sono stato molto bene, leggendo “Il movimento delle foglie”.
Auguro lo stesso bene a chi seguirà il mio consiglio.
“Quel che sognerai diventerà la tua nuova vita.”
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Recensione di Claudio Della Pietà a Il movimento delle foglie, di Tom Drury, NN Editore, pp. 182, euro 18. Traduzione di Gianni Pannofino.
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