Ieri sera – saranno state le dieci – hanno bussato alla porta. Anna si stava addormentando, e Claudio era pronto per andare a letto. Ci siamo allarmati. Io e Claudio ci siamo avvicinati alla porta e abbiamo chiesto chi fosse. “Il vicino” abbiamo sentito dire, “quello della porta accanto”. Ho subito aperto la porta. Siccome vivo in un posto strano di piccole casette a schiera, spesso i condomini cambiano, e quasi mai ho modo di conoscerli o di parlare con loro – aggiungo che non trascorro molto tempo a casa. “Ciao”, gli ho detto, “dimmi tutto”. Era spaventato, intimorito – a dire il vero temevo si lamentasse per le urla dei miei figli, che quando litigano alzano la voce sguaiatamente. “Dimmi tutto”, ho ripetuto. “Avresti un apparecchio per misurare la pressione?” Era agitato, aveva paura. Purtroppo non ce l’avevo, l’apparecchio, anche perché soffro di pressione alta, e se ho l’apparecchio in casa mi fisso e passo le giornate a misurarmela. Gli dico però che ho un estratto puro di olio d’oliva, che il filosofo Igor Sibaldi mi ha consigliato di prendere in un periodo in cui avevo spesso la pressione alta e la tachicardia sinusale. Prendo la boccetta e gliela porgo. “Prendine almeno 25 gocce, ma bevi molta acqua. E poi cerca di stare rilassato sul letto, non avere paura”. Era giovane – avrà avuto grosso modo trent’anni. No, non era una crisi pressoria, la sua, ma un attacco di panico. Nei suoi occhi ho visto la paura – la paura di un infarto, di una morte imminente. Ho provato a rassicurarlo, ma lui non riusciva a stare fermo, aveva il tipico istinto di fuga di chi è in preda al panico. “Te la riporto domani”, mi ha detto, e poi è scappato a casa, quasi imbarazzato, perché viviamo in una società dove ancora ci si vergogna di queste cose – io invece sento un calore immenso, quando un uomo ammette un punto di paura, una vertigine terrorizzata, un’incrinatura della persona tutta. Ho fatto in tempo a dirgli “per qualsiasi cosa sono qui, a qualsiasi ora”. E gliel’ho detto perché io queste sensazioni orrende le conosco bene – e quando qualcuno le vive, so esattamente cosa prova. Claudio mi ha guardato pensieroso e mi ha detto: “Papà, è brutta l’ipocondria. Era cacato sotto”. “Dopo una certa età, specie se si è sensibili e fragili, l’ansia e il panico ti aggrediscono, e credimi: è una sensazione orribile”. Una volta Claudio mi disse che da grande non sarebbe mai voluto diventare come me – ansioso, tormentato, sempre con qualche ansiolitico in tasca. Gli risposi: “Se vivrai a fondo con il cuore e con la mente, ci passerai anche tu. La verità fa vivere male. Non giudicare mai un padre prima di essere diventato padre a tua volta”. Ma che calore, quando qualcuno si mostra in un momento di caduta. In quei momenti parole come fraternità e solidarietà tornano ad avere un senso concreto, vivo. Perché il peggiore alleato di qualsiasi malattia è la solitudine, il senso di colpa, la vergogna. Invece un uomo è un uomo quando sa guardarti negli occhi e chiederti aiuto, e dirti che ha paura. In quei momenti l’umanità è fortissima, come legata dall’acciaio di un comune destino di fragilità e precarietà.
Leggi anche il precedente articolo di Andrea Di Consoli.