La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.
Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.
Da allora ci sarei tornato molte volte.
Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.
Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.
Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.
Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.
Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.
Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.
*
La decade delle grandi produzioni internazionali, dei musical di successo e del trionfo della commedia all’italiana.
La dolce vita di Federico Fellini (1960)
Primo film italiano ad aver sfiorato le tre ore di durata, si tratta probabilmente della più famosa pellicola nostrana all’estero dagli USA al Giappone, e la scena di Anita Ekberg che a piedi scalzi si bagna nella Fontana di Trevi chiamando a voce alta Marcello è una sorta di spot internazionale dell’Italia del boom e dei suoi paparazzi (nati proprio in questo film). Il romagnolo Fellini non metterà dentro tutto sé stesso come in Otto e mezzo, il suo secondo capolavoro della decade, ma saprà omaggiare la sua città di adozione come nessun altro prima e dopo di lui. Straordinario anche Mastroianni e bellissima Anouk Aimée, attrice culto della annoiata intellighentia francese che già si preparava al ‘68.
Psyco di Alfred Hitchock (1960)
E siamo a tre, dopo Rebecca (40) e La Finestra sul cortile (50) delle decadi precedenti. Ma come si faceva a omettere la più famosa storia di sdoppiamento di personalità del cinema con Anthony Perkins che non si è più liberato di quell’inquietante personaggio? E il personaggio della “povera” Janet Leigh? Insomma, anche il genio di Kubrick con il futuro Shining dovrà fare i conti con questo autentico pezzo di storia del cinema del terrore con tanto di sfondo horror gaio-edipico, uscito appena due anni dopo un altro capolavoro del regista di Londra come Vertigo, la donna che visse due volte.
L’avventura di Michelangelo Antonioni (1960)
Sesto film del regista ferrarese e primo capitolo della “trilogia dell’incomunicabilità”, i due successivi saranno La notte e L’eclisse, nonché quello che determinò l’incontro con l’attrice Monica Vitti per un certo periodo anche sua compagna di vita. La storia della scomparsa di Anna è anche il film più lungo di Antonioni, due ore e mezza, e, quasi interamente ambientato alle isole Eolie. Fu “un avventura” anche girarlo: “cinque mesi straordinari: violenti, logoranti, spesso drammatici, ma pieni”, dirà il regista. Considerato uno dei capolavori assoluti del cinema mondiale, ottenne il premio della Giuria al 13° Festival di Cannes, vinto quell’anno da La dolce vita di Fellini, quando Roberto Rossellini disse che si trattava del “più bel film mai presentato a un festival”. Straordinario il quartetto del cast composto, oltre che da Monica Vitti, da Gabriele Ferzetti, Lelio Luttazzi e una bellissima Lea Massari.
West Side Story di Robert Wise (1961)
Dieci Oscar compreso il miglior film a questo immortale musical sulle note di Leonard Bernstein. Fu il film che dopo Gioventù bruciata confermò il talento in ascesa di Natalie Wood che in seguito avrebbe fatto Splendore nell’erba con un giovane Warren Beatty. Tutt’altro che un film “sempliciotto”, a parte la suprema bellezza della musica, è la pellicola che pare avere maggiormente ispirato la geniale e più recente rilettura del Romeo + Giulietta di Baz Luhrmann.
La carica dei 101 di Walt Disney (1961)
E’ di gran lunga il film più amato della Disney perché la battaglia per salvare i cuccioli dalmata dalla furia pellicciara della perfida Crudelia anticipava le future brame animaliste di oggi tanto trendy. Due scene memorabili, la prima è quella dove ogni padrone somiglia al proprio cane, e la seconda è il cosiddetto “telefono del crepuscolo”, il sistema con il quale i cani randagi comunicano da un capo all’altro della periferia di Londra quanto accade, abbaiandosi le notizie.
Colazione da Tiffany di B. Edwards (1961)
Fu il film (a mio parere immeritatamente) votato come il migliore di sempre in un sondaggio che feci qualche annetto fa su un blog che ai tempi gestivo. Comunque, aldilà dei gusti, rimane oggettivamente una pellicola che ha fatto storia e quella New York tutta particolare che fa da contorno alla strepitosa coppia formata da Audrey Hepburn e dal biondo George Peppard rimane ancora oggi nella leggenda tanto da farci domandare cosa mai sia il sopravvalutato Pretty Woman al suo confronto.
Lawrence d’Arabia di David Lean (1962)
Cominciava a farsi largo il genere kolossal e questo mastodontico “feulletton” ne è esempio tra i più preclari. Cast maschile indimenticabile che schiera Peter O’Toole, Alec Guinness, Antony Quinn, Omar Sharif e José Ferrer, notevolissime le scene ed i costumi, bellissimo il ritmo narrativo, indimenticabili le musiche, insomma fu più che meritata la nutrita messe di Oscar che ne conseguì.
Il Gattopardo di Luchino Visconti (1963)
Uno dei rarissimi casi in cui un film si mostrò all’altezza di un libro e considerato che il romanzo di Lampedusa è un capolavoro della letteratura possiamo quindi lodare Visconti per l’esito della non facile impresa. Come sia riuscito a trasformare lo yankee tutto denti e mascella Burt Lancaster nel più aristocratico e siculo dei principi di Salina rimane un mistero, cosi come è memorabile il piccolo borghese cafone di Paolo Stoppa con le braghe sempre troppo corte e tutto tronfio della bellezza della figlia Angelica, alias Claudia Cardinale, che neppure osa mostrare. Solo un grande esteta come Visconti poteva concepire quella scena apparentemente “inutile” dove fa entrare in una stanza contemporaneamente Alain Delon, Terence Hill e Giuliano Gemma giovanissimi, tanto che ricordo ancora l’esclamazione di una compassata signora in sala: “Madonna, che trio!”.
Mary Poppins di Walt Disney (1964)
Memorabile commistione di cartoni e reale con uno dei più incredibili personaggi della storia cinematografica. Basterebbe la scena dell’arrivo dal cielo di Julie Andrews con l’ombrello aperto e i piedi in quella strana posizione e dopo che un gigantesco vento ha spazzato via tutte le tate in fila per il posto di nuova governante dei pestiferi bambini, a farne il capolavoro assoluto di Disney, ma quello sarà solo l’inizio. Musiche da brivido, si dovrà attendere il Celentano di tanti anni dopo con il suo Prisincolin per riavere un altro hit nonsense all’altezza di Supercalifragililestichespiralidoso. Quante medicine poi sono state fatte prendere ai bambini di tutto il mondo grazie alla canzoncina che voleva la pillola andare giù con un poco di zucchero? Indimenticabile la trovata della risata contagiosa che fa lievitare verso l’alto le persone, ivi compreso quell’insopportabile e vecchissimo direttore della banca dove lavora il severo padre di Michael.
Tutti insieme appassionatamente di Robert Wise (1965)
Dopo la Mary Poppins di Disney questo fu il secondo grande, e forse ultimo, successo di Julie Andrews, e quelle musiche, quella storia forse un po’ troppo buonista e quelle immagini dai colori quasi finti da fiaba ottengono ancora oggi l’effetto di esaltare grandi e piccini, e ogni tanto occorre omaggiare il cinema che fa sognare perché anche quella è la sua funzione. Oscar al regista e al film, in originale The sound of music.
Il dottor Zivago di David Lean (1965)
Era ovvio che dopo il successo di Lawrence d’Arabia toccasse al regista Lean l’onore e l’onere di fissare su pellicola il best seller pubblicato in Italia da Feltrinelli. Rivisto oggi è un pò troppo lungo, ma tra la bellezza assoluta di Julie Christie, la “giustezza” della faccia del solitamente poco espressivo Omar Sharif e infine la notevole presenza di Geraldine Chaplin, è un drammone che ancora si fa apprezzare. La memorabile scena finale verrà ripresa da Nanni Moretti in Palombella rossa quando grida, ad una pubblica proiezione all’aperto del film, “E’ lei! Voltatii! Bussa! Fatelo scendere! Corri! Nooooooooo!”. Planetario successo per la musica del Tema di Lara tradotto e cantato in italiano da una improbabile Rita Pavone con il tiolo Dove non so.
Bella di giorno di Luis Bunuel (1967)
Il film che consacrò il successo internazionale del maestro surrealista spagnolo e che rivelò al mondo l’attrice francese Catherine Daneuve come possibile sostituta in versione più raffinata della Bardot. Notevole, considerati i tempi, la scabrosità del tema affrontato, quello di una mogliettina per bene che di giorno non trova nulla di meglio da fare che prostituirsi. Di grande lignaggio anche i partner maschili, pure francesi, Jean Sorel e Michel Piccoli.
Il laureato di Mike Nichols (1967)
La storia leggermente perversa della fascinosa signora Robinson, una straordinaria Anne Bancroft, che si invaghisce del debuttante Dustin Hoffman, più attratto dalla di lei bellissima figlia, Katherine Ross, è stata uno dei must della generazione sessantottina ed ha aperto di fatto il nuovo corso della cosiddetta “altra Hollywood”, ovvero del cinema della contestazione che poi esploderà negli anni Settanta. Molto contribuì al successo del film anche la memorabile colonna sonora di Simon & Garfunkel, ma la scena di Benjamin che esce della piscina e si sente appellare con un “plastica” dal solerte marito cornuto, è geniale.
Il libro della giungla di Walt Disney (1967)
Dal punto di vista del disegno, è il cartone, insieme agli Aristogatti, meglio riuscito di Disney, anche perché l’intera vicenda si svolge nella giungla e quindi sono gli animali a farla da padroni, ed era noto che la maestria disneyana nel dare vita al mondo animale non si ripeteva con altrettanta perizia in quello umano. Vanta la più bella colonna sonora dell’intera produzione Disney, e la scena del capo scimmione intrippato dal Jazz che ficca banane in bocca all’irretito Mogli è davvero incredibile. Per non dire dei tanti azzeccati personaggi, Baghera, Baloo, Kaa e Sheer Kan, al punto che persino i solitamente orrendi avvoltoi troveranno posto in questo omaggio al mondo animale sotto forma di gruppo hippies di capelloni.
2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (1968)
Il film che ha sostanzialmente inventato un genere, il problema forse è che fu fatto talmente bene, e fa impressione pensare che fossero ancora gli anni Sessanta, che poi quel genere ha finito con l’esaurirsi presto. Persino le musiche sono un capolavoro, ma è tutto scontato, visto che stiamo pur sempre parlando di Kubrick, quello che è considerato da molti, e forse a ragione, il più grande cineasta di tutti i tempi.
Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah (1969)
Sette straordinari attori, tra cui William Holden, Ernest Borgnine e Robert Ryan, per un film girato interamente in Messico, ancora oggi per certi versi insuperato e che è riduttivo definire un semplice “western”. Temo sia un pò sottovalutato e sarebbe ora di riscoprirlo, giacché nel the best della decade ci sta a pieno titolo, anche per la sua incredibile originalità di tratteggio. Su alcuni libri si legge che tra i militanti della formazione armata italiana Prima Linea qualcuno si sarebbe ispirato a questo film.
Leggi anche gli anni Cinquanta di Davide Steccanella.