Conosco Arto Paasilinna da molti anni: non avevo ancora 20 anni – oggi ne ho 47- quando rimasi folgorato da Il mugnaio urlante e L’anno della Lepre, tanto che sono stato tra i primi a scriverne in Italia e a presentarlo, durante un Festival di Poesia e Letteratura Internazionale in una allora molto viva culturalmente Chiasso, Svizzera.
Ex guardaboschi, ex giornalista, ex poeta, Passalinna è diventato un autore di culto in Finlandia e all’estero per la capacità di raccontare ridendo anche le storie più tragiche. Dopo L’anno della lepre, che ha superato le 120mila copie in Italia, Iperborea ha pubblicato altri diciassette romanzi tra cui Piccoli suicidi tra amici, Il Bosco delle Volpi Impiccate e Il migliore amico dell’orso. Questo suo ultimo romanzo è il più diverso e tra i più riusciti dello scrittore: in Aadam ed Eeva – che qui presentiamo in anteprima e che esce domani nelle librerie per Iperborea (traduzione di Marcello Ganassini) – è un Paasilinna comico, irriverente, che attraverso il protagonista Aadam Rymättylä , piccolo imprenditore, ci racconta una Finlandia in grave crisi economica, e di come la vita possa essere tragicomica:
un’interminabile fila di creditori e un branco di figli da mantenere: ben sette, con tre madri diverse, prove viventi della sua grande passione per l’amore, che, si sa, ha pure quello il suo prezzo. Ridotto a vivere nel capannone della ditta a Tattarisuo, nella triste periferia di Helsinki, Aadam non perde però la speranza e continua i suoi esplosivi esperimenti per mettere a punto una batteria ultraleggera che rivoluzioni il sistema energetico mondiale. Finché un’ennesima malasorte lo conduce dietro le sbarre. Ma come spesso accade ai personaggi di Paasilinna, è la comparsa di una donna a portare una svolta nella sua vita: l’intraprendente avvocatessa Eeva Kontupohja, che crede subito nella sua innocenza e nel suo talento di inventore. Evidentemente lassù qualcuno li ama: il prototipo della batteria miracolosa funziona davvero, la rivoluzione energetica è cominciata, e i due si ritrovano lanciati in un’ascesa fulminea fino ai vertici della ricchezza del mondo. Ma cosa succede quando un’innovazione tecnologica minaccia gli interessi dei potenti e rischia di sovvertire gli equilibri economici e politici della terra? Con straordinaria preveggenza sui grandi temi e i protagonisti del presente, Paasilinna conduce il suo novello Adamo – tra riunioni segrete di petrolieri, reginette del latte innamorate, sicari professionisti e l’immancabile tassista Seppo Sorjonen – oltre i confini del mondo, con una domanda: può una ricchezza senza limiti convivere con le migliori intenzioni?
Leggere questo Aadam ed Eeva risolleva lo spirito dai nostri guai, ci fa respirare, alzare la testa e credere, credere davvero, in un mondo migliore. Basta raddoppiare le iniziali? Forse: perché nelle nostre targhette dei citofoni è come fossimo imprigionati e allora meglio ricominciare attendendo la mela e il serpente con la consapevolezza di chi li ha già conosciuti.
Gian Paolo Serino
#
Di seguito, l’anteprima.
I vigili del fuoco inzupparono fino al midollo con efficace solerzia il boss della Akku Aadam. Conclusa l’opera, ci fu un vivace battibecco, ricco di riflessioni sulla professione delle madri dei presenti, a proposito dei metodi di lavoro esplosivi di Aadam Rymättylä da una parte, e della tendenza ad accorrere ogni volta per un nonnulla al deposito di batterie di Tattarisuo, dall’altra. Nei primi quattro mesi dell’anno i vigili del fuoco avevano ricevuto sei chiamate d’urgenza per intervento alla sede della ditta di Aadam, in via della Pila 37. Mentre arrotolavano le loro pompe davanti al capannone dichiararono che, per mettere fine a quelle incessanti perdite di tempo, sarebbe stato opportuno chiudere defi- nitivamente l’attività. Un’ispezione sui sistemi di gestione della sicurezza degli stabilimenti non gliela toglieva nessuno e siccome sarebbe comunque emerso che il capannone non rispettava nessuna delle vigenti norme antincendio, sarebbero arrivati i sigilli: l’azienda costituiva un pericolo per l’ambiente.
Aadam Rymättylä spiegò che le esigue fughe di gas del suo laboratorio e le conseguenti piccole esplosioni erano parte normale del suo lavoro. Bastava che i pompieri avessero abba- stanza senno da pensarci due volte prima di precipitarsi a sirene spiegate a interrompere importanti ricerche scientifiche alla prima tele- fonata isterica di qualche rompiscatole di Tattarisuo. Gli ottusi e pusillanimi autoriparatori dei capannoni vicini avevano una malsana tendenza a chiamare i pompieri ogni volta che gli esperimenti nel suo laboratorio arrivavano alla fase critica.
Partiti i pompieri, Aadam Rymättylä si mise a ripulire le tracce dell’ultima deflagrazione. Rac- colse i detriti sparsi nel capannone e nel laboratorio, rimise le porte sui cardini, tagliò nuovi vetri per sostituire quelli in frantumi e lavò il pavimento di cemento con l’idropulitrice. Poi si tolse la tuta bruciacchiata, strappata e infradiciata, la buttò nella pattumiera e andò a farsi una doccia. Lasciò l’acqua lavare e rinfrescare il corpo stanco. Il getto staccò dall’ombelico qualcosa che non doveva stare lì, che cadde tintinnando sulle piastrelle. Aadam si chinò. Un bullone. Così va la vita. All’ombelico delle belle donne arabe brillano diamanti, a quello peloso di un meccanico di Tattarisuo c’è solo sporcizia, o al massimo un bullone da un pollice e mezzo, arrugginito e consunto.
Aadam Rymättylä guardò il suo corpo nudo nello specchio appannato della doccia. Altezza un metro e ottanta, coperto di peli e cicatrici. Tra l’inverno e la primavera erano comparsi lividi e bruciature da tutte le parti. Niente di preoccupante. Tirò la pancia indentro e il petto infuori. Osservò il proprio profilo: non era più proprio snello e proporzionato come da gio- vane, ma in fondo non era neanche da buttar via. Stringendo il pugno e piegando il braccio, i bicipiti erano ancora ben visibili sotto la pelle lucida.
L’acqua fresca colava lungo il corpo ammaccato. Era la terza doccia in un giorno, pensò. Una al mattino, la seconda sotto il getto dei pompieri e questa per togliersi i segni dell’esplosione. Il mondo è pieno di getti. Ah, se solo avesse potuto liberarsi di quella maledetta povertà, e invece che sotto ai getti trovarsi su quei jet che ti portano sopra le nuvole… Jet? Motori a reazione? Ma come funzionano i motori a reazione? Su due piedi non gli venne in mente. Chiuse il rubinetto e si precipitò nel suo ufficio lasciando chiazze d’acqua ovunque, cercò nello scaffale il manuale di ingegneria e lo sfogliò fino al capitolo dei motori a reazione. Ah già, il compressore centrifugo prende l’ossigeno dalla parte anteriore del motore, lo comprime mischiandolo al carburante e lo espelle attraverso gli iniettori nella camera di combustione costringendo la turbina a girare sotto la pressione del gas di scarico e generando energia cinetica. Soddisfatto, Aadam tornò sotto la doccia e finì di lavarsi. (…)
(…) Aadam Rymättylä dovette ammettere che la quantità di batterie pignorate era ragionevole, il che non impediva che provasse ancora una certa stretta al cuore. Ma in fin dei conti perché far dipendere la propria vita e la propria sanità mentale da un lotto di batterie? Erano fatte per immagazzinare elettricità, non idee.
«Ho pensato molte volte che il nostro cervello è in qualche modo simile a un accumulatore», concluse.
«In effetti li chiamavano proprio “rigeneratori del cervello”, i reparti chiusi degli ospedali psichiatrici», confermò l’ufficiale giudiziario. Poi passò all’argomento degli esperimenti. Ne avevano già parlato in passato. Come procedevano le sue ricerche sulla batteria alleggerita?
Aadam Rymättylä dichiarò che c’erano segnali incoraggianti, anche se con molti su e giù. Per il momento, era un po’ un disastro, ma continuava a nutrire la speranza di avere un’illuminazione che avrebbe cambiato l’ordine mondiale. La mancanza di risorse e di manodopera rallentava i progressi, e certo anche i vigili del fuoco remavano contro. Negli ultimi tempi il camion dei pompieri girava per Tattarisuo con la frequenza degli autobus all’ora di punta.