Chi ha detto che il Potere, ogni forma di potere, sia naturale? Di solito a sostenere questa posizione e l’ordine che ne consegue sono gli uomini di potere, appunto, e di conseguenza anche chi vive da sempre sotto di loro (ovvero anche noi che, come direbbe il pensatore francese Étienne de La Boètie, siamo tutti “servi volontari”). Ma a detta di alcuni celebri e meno celebri pensatori cinesi taoisti o (come suggerisce una felice trovata di Matteo Pinna) taoarchici – dal più grande allievo di Laozi, Zhuangzi (III secolo d.C.), a Liezi (V-IV secolo d.C.), secondo solo a Zhuangzi nel pantheon del taoismo, fino ai quasi sconosciuti Wenzi (ca IV-II secolo a.C.) e Wanengzi (ca VII-X secolo d.C.) – non è affatto così.
L’inferno del politico, curato da Matteo Pinna e dall’eminente sinologo francese Jean Levi, attraverso due saggi dei curatori e un’antologia di testi (alcuni dei quali disponibili per la prima volta in italiano), offre testimonianza delle posizioni antagoniste a qualsiasi tipo di ragione politica di questi pensatori cinesi, i quali si soffermano in particolare sul rapporto tra l’individuo e la corruzione inerente al potere.
Dunque, dicevamo, il potere non è naturale, bensì una corruzione, una deformazione, una razionalizzazione arbitraria della natura. Individuazione, linguaggio, amministrazione, ordine, e quindi inevitabile gerarchia sarebbero solo infauste invenzioni degli uomini spinti dalle loro brame di avere ciò che invero non serve: potere sugli altri e ricchezze materiali. Tutto quello che è necessario per vivere è invece già contenuto nel Tao, lo stato indistinto in cui individuo e natura non sono ancora separati, fonte di “una conoscenza superiore, più acuta, più sottile, poiché fa ritorno al sé, al funzionamento del corpo nella sua immediatezza. La cancellazione degli organi sensoriali e del pensiero, invece di restringere il campo percettivo, lo amplia all’infinito abolendo le frontiere tra sé e il mondo”.
Il politico è un vero e proprio inferno perché imbriglia gli uomini in un ordine gerarchico attraverso la creazione del soggetto, ovvero “colui che è posto sotto”, e automaticamente in una condizione di sottomissione al potere. Ecco così inventato anche il fine di cui l’uomo non può che essere mezzo ed ecco soprattutto perché il potere va combattuto sempre e comunque, non con la guerra (azione tipica del potere) ma al contrario con la non-azione, che non significa “non far nulla” ma fare seguendo il flusso delle cose: “il non-agire consiste ancora ad intraprendere dei compiti conformandosi all’ordine naturale delle cose, ad ottenere dei successi approfittando delle loro qualità intrinseche. Quando si asseconda la tendenza spontanea, non vi è posto per atti disonesti”.
L’inferno del politico può diventare un formidabile strumento di riflessione per le nostre società contemporanee, erette sulla categorizzazione (o, come la chiama Jean Levi, “maledizione delle categorie”) e così sicure della loro legittimità distruttrice.
Stefano Scrima
Zhuangzi, Liezi, Wenzi, Wanengzi. L’inferno del politico. Del vuoto, dell’ozio e della non azione, Ortica editrice 2019.