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Le Poesie di Mandel’štam

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Millenovecentosettantadue, quindici anni.

Oggi sfrecciando verso Roma un poeta al telefono mi ha evocato la descrizione di una descrizione di Pasolini a proposito delle Poesie (1972), tradotte per Garzanti da Serena Vitale (che mai ringrazieremo abbastanza) di Mandel’štam – una delle voci più alte del novecento russo con Anna Achmatova e Marina Cvetaeva – assassinato dagli stalinisti nel 1938 a poco più di quarant’anni, e mi è tornata alla mente, guarda come funziona la mia perversa memoria, l’epigrafe in Petrolio di PPP ovvero la citazione di quel primo verso che è il mio stemma e progetto e dimora da allora.

Col mondo del potere non ho avuto che vincoli puerili:
temevo le ostriche, e alle guardie lanciavo occhiate di sottecchi;
nemmeno d’una briciola d’anima gli sono debitore
benché a lungo sulle immagini altrui mi sia accanito.

Aggrottandomi con sciocco sussiego in una mitra di castoro
non sono stato sotto il portico egizio della banca,
e sulla Neva di limone, al fruscio di cento rubli
per me mai, mai la zingara ha danzato.

Fiutando supplizi futuri, dal mugghiare di eventi sediziosi
mi rifugiavo dalle Nereidi del Mar Nero;
e le bellezze d’allora, le tenere europee,
quanta pena, dispetto e dolore m’han dato!

E allora, perché questa città continua a imporsi
ai miei pensieri e sentimenti secondo l’uso antico?
Resa sfrontata dagli incendi e i geli
è arrogante, maledetta, vacua, giovanile!

Forse perché bambino ho visto su un quadretto
Lady Godiva con la rossiccia chioma sciolta
dico ancora a me stesso sottovoce:
Lady Godiva, addio… Godiva, non ricordo.

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