Ci sono esperienze che non si riesce a raccontare nell’immediato, piuttosto è necessario che sedimentino perché il distacco faccia il suo lavoro, cesellando la forma adatta.
Allo stesso modo, ho letto Tutti i racconti di Clarice Lispector, edito da Feltrinelli e curato da Roberto Francavilla, nel mese di novembre, ma solo a distanza di mesi riesco a scriverne.
Si tratta di una raccolta, ma credo sia più corretto immaginare questo libro come il romanzo di una vita intera. Il lettore attento non mancherà d’individuare i cambi di prospettiva e tutti quei meravigliosi mutamenti che accompagnano un essere umano dalla sua prima giovinezza, fino alla morte.
Ogni racconto è una ruga sul suo viso così bello, come una Greta Garbo sulle spiagge di Guanabara. Per paradosso – se ne avesse avuti – Clarice avrebbe potuto consegnare queste pagine ai suoi figli e loro avrebbero conosciuto nel profondo, la donna che chiamavano mamma.
Leggendo scopriamo i solchi, i paesaggi e tutte le maschere di questa donna misteriosa e così distante da non assomigliare a niente. Sposò un diplomatico che le permise di viaggiare molto, si separarono. Rimase da sola, con tutto il Brasile che l’amava. Conobbe passioni, sciagure, tristezza ed ebbe molti ammiratori. I musicisti del suo paese l’idolatravano e gli donavano melodie, ma il suo grande amante fu il portoghese, una lingua come una terra che sentiva sua più dei suoi stessi occhi.
Diceva che in Ucraina – dove era nata – non ci aveva mai messo piede, perché in Brasile ce l’avevano portata in braccio. E allo stato del Pernambuco rimase attaccata con tutta la forza. Crebbe con tutti gli strumenti necessari per essere uno scrittore, e questo lo si nota fin dalle prime prove. Non era in grado d’essere banale e sentiva i propri personaggi riuscendo a tratteggiarne i sentimenti con un linguaggio esatto. Non una parola, una virgola, era necessario spostare. Alcuni racconti come Mistero a Sao Cristόvao; o Legami Familiari; Sogno ed ebbrezza di una giovane… solo per citarne alcuni, finiscono per trovare una collocazione nel personale panorama esistenziale di ogni lettore. In maniera discreta, non tanto i personaggi quanto le loro vicende, prendono posto nel nostro vissuto fino ad assumere il profilo dei ricordi perché la sua scrittura gode della trasversalità dei grandi.
Fu paragonata a Kafka, perché era ebrea di origine e perché scrisse un romanzo scioccante, per il suo tempo, dal titolo La passione secondo G.H. e la letteratura per l’infanzia in cui una donna addenta uno scarafaggio. Con il più celebre Franz, Clarice ha certamente in comune la capacità di andare al di là di ciò che sempre appare nelle semplici pieghe dell’esistenza; ma è con Marguerite Duras che a me sembra camminare più vicina, non tanto nello stile quanto nella scelta dei temi e in quei personaggi maschili così distanti e perfettamente cesellati, inchiodati con un aggettivo o la scelta di un particolare.
Così questo libro non è consigliato, ma imposto, perché leggendolo potreste avere la sensazione di specchiarvi in laghi profondi che non sapevate di contenere e ritrovarvi le labbra sporche di eternità.
Pierangelo Consoli
Recensione a Tutti i racconti di Clarice Lispector, Feltrinelli, pagg. 560, euro 35.