Quando essere un Hells Angel, non è solo girare in Harley Davidson con un teschio alato sul giubbotto.
E’ stato scritto molto sugli Hells Angels e il più delle volte si è esagerato da qualche parte.
Nelle mani dei giornalisti, degli scrittori, degli opinionisti o anche solo di chi si avvicinava a loro per pura curiosità, questo club è spesso stato descritto dando evidenza solo a quello che si vede in superficie: le loro Harley-Davidson, i colori bianco e rosso, l’aspetto coerente all’immagine iconica del “biker”: insomma il solito stereotipo che si manifestava nella forza, la virilità e nel “lasciateci in pace se non volete problemi”.
Ma chi è l’uomo che c’è sotto i colori?
L’idea di questo articolo mi è venuta ripensando a una domenica mattina di molti anni fa. Ero in moto diretto a Cremona, dove si teneva un raduno che forse oggi non esiste neanche più. Sulla statale sono stato superato da un “pack” di Hells Angels, cioè un club che si spostava in formazione di viaggio. Una cosa che mi aveva colpito molto e che ancora ricordo bene. Viaggiavano due a due, con il Road Captain in testa, poi le cariche in ordine gerarchico e a seguire tutti i membri del club. Per ultimi i prospect candidati a “fare la strada”, che in gergo è il percorso che pochi prescelti devono fare per diventare membri di questo Motorcycle Club.
In effetti la domanda istintiva “ma come si diventa un Hells Angel” è il primo errore che può commettere un candidato. “We don’t recruit, we recognize” dice un motto degli HAMC, che significa che il Club non fa reclutamento, ma “riconosce” chi è pronto per farne parte.
L’iconografia degli Hells Angels ruota attorno al teschio alato, un simbolo di potenza e bellezza grafica eccezionale, superiore a qualsiasi altro stemma che abbia a che fare con la moto. Il Dead Head, la testa di morto, è stato infatti l’origine e il collante attorno a cui si è sviluppata tutta la storia degli Hells Angels. Il personaggio più rappresentativo è Sonny Barger, un ex militare che acquista con pochi dollari una vecchia Harley che trasforma con la tecnica dei chopper, tagliando e allungandone le forcelle. Fonda a Oakland un motorcycle club il cui logo è un teschio con un casco alato, ispirato a quello di uno stormo di aerei da guerra. Negli anni successivi il logo ha cambiato forma arrivando al “Barger Larger” (più grande e ripensato proprio da Sonny) che è quello attualmente adottato dal club come logo ufficiale.
Sono passati molti anni e ho conosciuto diversi membri dell’Hells Angels Motorcycle Club. Il legame che li unisce è paragonabile forse solo a quello che c’è tra i militari che hanno combattuto insieme o tra i membri della stessa famiglia, e quando dico famiglia, intendo quella di sangue: ecco perché è difficile diventare un Hells Angels.
Tra coloro che ne fanno parte si sviluppa la fratellanza, il senso di appartenenza, l’impegno e l’aiuto disinteressato tra fratelli, una cosa rara anche nelle famiglie “vere”: ecco perché il club Hells Angels non è una cosa per tutti.
In Italia gli Hells Angels esistono da molti anni. Il primo club è stato fondato a Milano e a seguire Treviso, Roma fino ai diciotto attuali. Il charter dei Nomads nasce nel gennaio 2000 e si tratta di un charter HAMC particolare, ne è consentito uno solo per nazione e in Italia si trova nei pressi di Milano.
Ci ho messo un po’ ad “andare oltre” e capire un po’ di più delle persone che ne facevano parte, un po’ per la loro istintiva riservatezza e un po’ per il fatto che gli Hells Angels sono una realtà a parte, che vive la propria vita sui propri standard, nei propri eventi e nelle proprie club house. Sono persone che non danno a tutti la possibilità di diventare loro amico, ma quando questo capita, ciò che viene dopo è facile perché basato su sentimenti reali e disinteressati.
Ho pensato a questo servizio per poter mostrare qualcosa di più di ognuno di loro, anche se solo con una foto e poche righe di intervista, iniziando con la storia di Roberto e Mauro, due uomini che hanno vissuto una situazione critica, superata solo grazie al loro legame di amicizia.
Mauro e Roberto
Entrambi piemontesi, entrambi appassionati di arti marziali, motociclisti e membri dell’Hells Angels Motorcycle Club, Mauro e Roberto si sono conosciuti per caso: “Ero in un’officina specializzata sui chopper davanti alla quale era parcheggiata una vecchia Cadillac su cui erano stesi guantoni e accessori da combattimento”, dice Roberto “Ero lì con la mia Harley e ho chiesto chi combattesse. Poco dopo ho incontrato Mauro”.
In questo modo le loro vie si avvicinano e si intrecciano. Diventano amici, frequentano la scena biker e il mondo dei combattimenti, addirittura aprono insieme anche un locale. A poca distanza l’uno dall’altro, decidono di “iniziare la strada” cioè fare il lungo e impegnativo percorso che è necessario per poter entrare nel club.
Passa il tempo e qualche anno fa, in modo del tutto casuale, Roberto viene a sapere che Mauro ha un grave problema di salute ai reni. Come ogni piemontese che si rispetti, Mauro tiene per sé i propri cazzi e combatte la sua battaglia stringendo i denti, nonostante sia già in condizioni estreme, vicino alla dialisi. E’ in lista da anni per un trapianto che però non arriva; è solo con sua moglie, la sua famiglia, le sue sole forze. Gli si prospetta un futuro di sofferenza e difficoltà, attaccato a una macchina per ripulire il sangue.
Nella mente di Roberto questa notizia esplode come una mina e non ci pensa neppure un secondo: “Mauro ha bisogno di aiuto”. Prende la moto e va da lui.
“Hai due bambini piccoli, sei al limite della dialisi. Mauro: il rene te lo do io”
Anche solo ad ascoltare la semplicità con cui mi racconta questa cosa, sento un brivido lungo la schiena, lo stesso che provo ora mentre scrivo la loro storia.
Perché signori, qui non si parla di una donazione di sangue o di midollo, che pur non è una passeggiata: qui si tratta di un rene. Una cosa che non lascia il donatore esattamente come era prima. Ok, si può vivere una vita normale anche con un rene solo, ma bisogna considerare i pericoli dell’operazione, il lungo percorso del recupero e le precauzioni che si devono adottare per il resto della propria vita.
Mauro e Roberto iniziano un anno di analisi, test di compatibilità e incontri con medici e specialisti di tutto il nord Italia.
“Hanno cercato di dissuadermi” dice Roberto “chiedendomi ma sei sicuro? Guarda che non è una cosa da poco quella che vuoi fare”, ma io non ho mai avuto il minimo dubbio. Il mio amico aveva bisogno e io avevo la possibilità di aiutarlo. Non ho avuto dubbi: lo faccio. Le chiacchiere stanno a zero. Questa era l’occasione di fare qualcosa di concreto”
E il destino sembra aver capito il gesto di Roberto: quando arrivano gli esiti degli esami, la compatibilità tra i due è assoluta. “Ancora ci ricordiamo di una analista stronza che mentre ci faceva i prelievi diceva, ma intanto non sarete compatibili: non capita quasi mai! Col cavolo, invece. Eravamo compatibili eccome!”.
“Ho ricevuto il dono di Roberto come se lui mi avesse dato una nuova vita” dice Mauro.
Roberto sorride: “Confesso che nel corso di quell’anno di preparazione non avevo ben focalizzato la cosa, ma quella mattina del 4 aprile 2017, quando alle 6 del mattino mi hanno portato in sala operatoria… beh in quel momento ho capito che mi ero infilato in un affare piuttosto grosso: insomma non era una bazzecola. Ma ero deciso ad andare in fondo”
E in fondo infatti ci va, Roberto, senza la minima esitazione.
Dopo sette ore di operazione mi mostra una foto dove, entrambi sulle barelle, i due amici si stringono la mano mentre uno esce e l’altro entra nella stessa sala operatoria, per una maratona di altre sette o otto ore per ricevere quei pochi etti di carne che cambieranno la vita di entrambi.
Roberto è un combattente semi-professionista di MMA, uno sportivo e come già detto, un piemontese di sostanza, uno di quelli che non amano esaltare le imprese, tantomeno le sue. “Dopo due mesi ero già di nuovo in giro in moto e ho pure avuto un incidente in moto in cui mi si sono riaperti i punti della ferita e sono finito in terapia semi-intensiva”
E oggi come si vive … senza un pezzo? “Invece di due birre ne bevo una, ma sto molto bene”. E in effetti si vede: Roberto è in perfetta forma vicino alla sua bella fidanzata, con il gilet degli Hells Angels che copre l’impressionante cicatrice chirurgica.
“Ovviamente è la mia vita quella che è veramente cambiata” dice Mauro “e non solo grazie alla salute che ho riottenuto. Oltre al legame con Roberto, oggi sono molto più credente. La cosa nuova è che mi ritrovo spesso a preoccuparmi per lui: mi chiedo se sta bene o come mai non sia ancora arrivato ad un raduno o se magari ha bisogno di aiuto. Eravamo già amici, ora siamo davvero fratelli”.
Scattiamo un po’ di foto e noto che entrambi hanno gli occhi azzurri che sembrano esattamente dello stesso colore, ma non glielo faccio notare: sono sempre due Hells Angels e questi dettagli estetici mi sembrano un po’ da signorina, ma quel colore identico dei loro occhi mi colpisce.
In un mondo dove tutto è quantificato in modo venale e trasformato immediatamente in denaro, in valore economico, penso sia impossibile quantificare il valore di un gesto del genere, totalmente disinteressato.
Non ho idea se il legame tra tutti gli Hells Angels arrivi a questi livelli di intensità, ma loro due bastano. Roberto e Mauro sono la rappresentazione della vera fratellanza, senza fronzoli, senza fuffa e (ancora più incredibile) senza troppa pubblicità.
Sono due uomini, due amici, due fratelli.
Sono due Hells Angels.
Roberto Parodi