La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.
Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.
Da allora ci sarei tornato molte volte.
Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.
Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.
Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.
Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.
Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.
Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.
#
La decade dei film più intimisti che raccontano la provincia americana, ma anche del Titanic e di Pulp Fiction
Gattaca di Andrew Niccol (1997)
Non amo i film di fantascienza ma mi piacciono tantissimo le evasioni e questa è la commovente e originalissima storia di una grande evasione. Quella del normodotato Vincent da una realtà che permette di vivere solo ai superuomini programmati perfetti sin dalla nascita. Vincent comincia sin da piccolo battendo a nuoto il fratello e poi continua grazie all’aiuto di Jerome programmato per tutto meno che per gli incidenti. Prima di partire per Plutonio, Vincent fa in tempo a ribattere il fratello, fare l’amore con Uma Thurman e sfuggire all’indagine che stava per smascherarlo. Fu il film galeotto per la coppia Uma Thurman/Ethan Hawke nonostante la bionda potesse anche scegliere Jude Law e memorabile la scena in cui Vincent deve attraversare di notte un turbinio di macchine lanciate a velocità supersonica senza lenti a contatto. Bello e da rivedere.
Tempesta di ghiaccio di Ang Lee (1997)
Angosciante ma superbo dramma di noia esistenziale e adolescenze inquiete in due famiglie del Connecticut nei primi anni Settanta con finale tragico del versatile regista di Brockeback Mountain e Ragione e sentimento. Perfetti i due genitori Kevin Kline e Joan Allen e i figli delle due coppie Cristina Ricci, Tobie Maguire e Elijah Wood e odiosa coi giusti crismi la glaciale Sigourney Weaver. Il gioco delle chiavi alla festa per lo scambio di coppia mentre fuori infuria la tempesta e saltano tralicci e treni ricorda il futuro Anderson di Magnolia.
Boogie Nights di Paul Thomas Anderson (1997)
Spettacolare affresco sull’altra Hollywood dove si consuma la ascesa e la caduta del pornodivo Mark Wahlberg con un cast stellare, dove spicca la coppia Julianne Moore e Burt Reynolds che qui somiglia fisicamente al nostro Muccioli fondatore della comunità di San Patrignano, che interpreta l’impresario di attori porno. Meritatamente nominato all’Oscar, il grande Burt venne poi ingiustamente pretermesso.
Will Hunting di Gus Van Sant (1997)
Bella fiaba di riscatto sociale di un proletario, addetto alle pulizie presso un istituto scientifico della ricca Boston, che in quanto iperdotato nei numeri, conquisterà il libertario professore di turno, lo specialista del ruolo Robin Williams. Fu la rivelazione dei due amici anche nella vita Matt Damon, che interpreta il protagonista Will, e Ben Affleck che ne avevano scritto la sceneggiatura che vinse l’Oscar insieme a Williams quale non protagonista. Brava anche Minnie Driver nella parte della studentessa che si innamora di Will a sua volta candidata agli Award.
L.A. Confidential di Curtis Hanson (1997)
Stupefacente poliziesco in stile anni ’40 tra corruzioni, violenze e delitti in divisa. Per svelare il mistero di un locale di prostitute truccate da dive di Hollywood si uniscono tre agenti che si detestano con l’aiuto di una strepitosa Kim Basinger versione Veronica Lake che si innamora del più tamarro dei tre. Gara di bravura tra Guy Pearce, Kevin Spacey e Russell Crowe e scena cult quella in cui il novizio Guy Pearce insulta la ritenuta sosia di Lana Turner prima di sentirsi dire dal più scafato Spacey che lei “E’ Lana Turrner”.
She’s so Lovely di Nick Cassavetes (1997)
Peccato per il titolo infelice perché questo dramma sulla ineluttabilità dell’amore istintivo e irrazionale è quasi sconvolgente. Certo ci mettono del loro anche i tre protagonisti in forma a dir poco smagliante, e tanto di cappello a Robin Wright per riuscire a non soccombere in mezzo a un tale duello tra John Travolta e Sean Penn.
I segreti del cuore di Bart Freundlich (1997)
Quattro fratelli (due femmine e due maschi) si ritrovano dopo tre anni a casa dei genitori per il giorno del ringraziamento, sembrano tutti belli e privilegiati ma davanti al tacchino esplodono le contraddizioni per qualche segreto del loro passato. Roy Scheider perfetto nel ruolo del padre padrone istruito, mentre tra i fratelli spicca una giovane Julianne Moore. Più belli che bravi il futuro medico E.R Carter Noah Wyle e il biondo Michael Vartan che pur somigliandole non è il figlio della nota Sylvie.
Washington Square di Agnieszka Holland (1997)
Compito arduo quello della brava Jennifer Jason Leigh, visto che si trattava di replicare la mitica Olivia de Havilland de L’ereditiera di Wyler. Quella reietta Caterina che consumava la sua memorabile vendetta con quel “ho avuto dei buoni maestri” continuando implacabile a cucire il suo tamburo, a fronte del “sei crudele” di zia Lavinia perché non apriva la porta a quel disgraziato di Morris. Però ci riesce, anzi è ancora più brava ed intensa dalla prima sequenza all’ultima e il film merita di essere visto anche per lo straordinario padre stronzo di Albert Finney e ovviamente per la come sempre meravigliosa Maggie Smith che quando deve fare la perfida inzighina gioca in casa. Certo Montgomery Clift, soprattutto quello de L’ereditiera e quindi pre-incidente, era un tale mito al cui confronto il “povero” Ben Chaplin sembra uno scolaretto sfigato, però visto che in fondo neppure l’altro era un fenomeno d’attore, chissenefrega del bel Morris e ben venga questo remake che sfoggia pure una spettacolare Judith Ivey nel ruolo della serafica sorella del burbero Austin.
Titanic di James Cameron (1997)
Ignobile polpettone di cassetta come hanno sostenuto i duri e puri del cinema impegnato o unica vera ed ambiziosa risposta cinquant’anni dopo a Via col vento (al quale probabilmente ai tempi fu riservato lo stesso ostracismo pseudo-intellettuale)? Checché se ne dica secondo me è davvero il Via col vento di fine millennio oltre ad essere stato firmato, non si dimentichi, non da un qualunque cineasta da botteghino, ma da un vero maestro del cinema non a caso già regista del memorabile Terminator 2. Oltre agli effetti speciali incredibili e al taglio particolare della nota vicenda, va detto che sia Leonardo Di Caprio che Kate Winslet, ma il primo a parer mio ancor di più, recitano da padreterni. Vero tormentone invece la melensa canzone di Celine Dion.
La vita è bella di Roberto Benigni (1997)
Beh, se si deve anche premiare la “originalità” è indubbio che questa visione “fiabesca” per il bambino, ma vista dalla parte del padre adulto, nell’orrore di un lager nazista, è stata giustamente pluripremiata urbi et orbi. Ma in realtà se vi capita di rivederlo, passata la buriana e la Loren che lo annuncia in stile spaghetti e mandolino, è proprio un bel film, anche perché, caso raro, l’istrionico Benigni azzecca stavolta sia la regia che la propria recitazione. Il finale strazia il cuore ma prima si ride spesso e ci si commuove in modo sobrio. Memorabile la scena della diffusione tipo telegrafo del duetto mozartiano delle Nozze di Figaro, e brava, va detto, anche la spesso troppe volte vituperata Braschi. Peccato per quella liberatoria bandiera americana nel finale che costituì evidentemente il pedaggio del falso storico da pagare per l’ambito premio a stelle e a strisce.
Sliding Doors di Peter Howitt (1998)
Originale apologo (Perfetti sconosciuti sarebbe arrivato molti anni dopo) sul “come sarebbe andata a finire una coppia se”. In questo caso riuscire o meno a salire su una carrozza della metropolitana piuttosto che su quella dopo cambia di molto la vita della giovane Gwyneth Paltrow, ai tempi vista come l’erede di Grace Kelly e poi ridimensionata. Film inglese dal buon ritmo e molto bravi i due John, Lynch e Hannah, e memorabile la scena in cui Jeanne Tripplehorn spiega nel Motel clandestino cosa si attende l’amante dal marito fedifrago. Alla fascinosa protagonista va peggio essere investita da una macchina che cadere dalle scale, il che milita per il realismo della pellicola che ci evita l’ennesimo lieto fine.
Paradiso Perduto di Alfonso Cuarón (1998)
Di base la storia è un pò forzata, ma ci sono alcune cose che ancora oggi ne consigliano la visione. Per prima la colonna sonora stupenda e le ambientazioni newyorkesi, per seconda la presenza di tre mostri sacri come Robert De Niro (bella la sua parte), Anne Bancroft (fantastica quando balla Besame Mucho con sigaretta in stile anni ’30) e Chris Cooper, e per terza la bellezza dei due giovani protagonisti che non diventeranno troppo bravi neanche dopo, ma di certo né prima né dopo saranno più così fighi. Gwyneth Paltrow e Ethan Hawke qui “bucano” letteralmente la scena e inoltre a lei la parte della strozetta snob riesce talmente bene da far pensare che in fondo non faccia altri che stessa.
Scherzi del cuore di Willard Carroll (1998)
Si gioca tutto in un fine-settimana in cui si festeggiano le nozze d’oro della mirabile coppia Sean Connery e Gena Rowlands e nel corso del quale emergono amori e disillusioni intrecciate di tutti i protagonisti. Interessante la relazione tra logorroica Angelina Jolie e un Ryan Philippe dai capelli blu, ma tutto il cast femminile, con Madeleine Stowe, Gilian Anderson a Ellen Burstyn è una macchina perfetta. Già irrimediabilmente bolso invece Dennis Quaid.
American History X di Tony Kaye (1998)
Uno strepitoso Edward Norton, ma anche il fratellino Edward Foulong non scherza, in questa durissima denuncia delle derive degradate dei naziskin di periferia. E’ la storia di un intenso rapporto tra due fratelli costretti ad arrangiarsi perché privi di sostegno familiare. Il titolo è quello di una tesina che non verrà mai discussa.
Il Barbiere di Siberia di Nikita Sergeevič Michalkov (1998)
Gigantesco kolossal russo per una vicenda che parte in America nel 1905 quando Jane Callahan (Julia Ormond) scrive una lettera indirizzata al figlio cadetto studente in una accademia militare, rievocando i ricordi di fatti avvenuti in Russia venti anni prima. E’ una sorta di Dottor Zivago moderno con immagini spettacolari. Presentato fuori concorso al 52° Festival di Cannes, il film ha coinvolto persone da ben quattro paesi ed è stato finanziato con un budget di 35 milioni di dollari, diventando una delle produzioni più costose della storia del cinema non anglosassone.
Tutto su mia madre di Pedro Almodovar (1999)
Straordinario film corale del talentuoso regista spagnolo che con questa pellicola, giustamente esaltata senza riserve, firma quello che è a mio parere il suo capolavoro della maturità. Trasuda come sempre sentimento e verità, né mancano le tipiche “alomodovarate”, ma l’insieme in questo caso “tiene” come in nessun’altra sua pellicola, e gli da quello spessore e quel respiro da grande film che a tutti i precedenti pur geniali ma più discontinui un po’ mancava (e che parzialmente replicherà l’anno dopo con Parla con Lei ma non al medesimo livello). Dedicato a tutte le madri ma anche a tutti i padri.
S.O.S Summer of Sam di Spike Lee (1999)
Un film spettacolare ed imperdibile per tutti coloro che amano la trasgressiva New York anni Settanta. A parte la più bella colonna sonora della decade, il genialoide ed incazzoso Spike Lee (il solo e vero “regista contro”, poche balle) ci racconta un mondo ai margini della lussuosa Quinta strada sulle note lontane di uno strano serial killer che sconvolge la comunità nel mese più caldo del dopoguerra. Ritmo straordinario dal principio alla fine, si fanno pure notare una bravissima Mira Sorvino ed un ancora sconosciuto ma già notevole Adrien Brody in versione Punk, a dir poco memorabile nella scena in cui attacca a suonare la chitarra Rock ancheggiando mezzo biotto in un localaccio gay per marchettari di periferia.
The Weekend di Brian Skeet (1999)
Brutta idea quella di tornare alla casa sul lago dove andava con l’ex compagno morto di AIDS e di cui era invaghita anche la moglie del di lui fratellastro che non permette sostituti. Il tutto si consuma durante una fantastica cena dove giganteggia Gena Rolands nel ruolo della madre cinica ed egoista di una disadattata Brooke Shields. Quando l’intruso capisce di essere di troppo, tutto si aggiusta.
La fortuna di Cookie di Altman (1999)
Geniale thriller agrodolce con sottofondo musicale country nella sonnolenta provincia americana del Mississippi tanto cara al regista. Glenn Close ai suoi massimi nel ruolo della sorella dispotica e tiranna della tonta ma mica poi tanto Cora (Julianne Moore), tenerella la sbilanciata coppia Liv Tyler e Chris O’ Donnel, e straordinario il cameo di Patricia Neal, la immortale protagonista nel 1949 della Fonte meravigliosa di King Vidor e, si disse, sfortunata amante di Gary Cooper.
Studio 54 di Mark Christopher (1999)
Non è certo un capolavoro però rende bene l’idea della parabola breve ma intensa del locale cult di NY alla fine degli anni ’70 quando Carter era incasinato con gli ostaggi in Iran e non c’era ancora Reagan. Poi sarebbero arrivate le banche e la finanza e l’effimero sarebbe stato meno divertente e creativo ma solo più cafone. Ovviamente da brivido la colonna sonora, visto che era l’età d’oro della Disco, e azzeccata la coppia di giovani protagonisti Ryan Philippe e Salma Hayek ancora poco Frida e persino canterina. Il bacio di Shane a Greg è una scena cult della comunità gay e breve apparizione, nella parte di se stesso, del futuro Presidente Donald Trump.
American Beauty di Mendes (1999)
Disperato e desolante ritratto della middle Class americana tra noie adulte e viziate inquietudini adolescenziali nell’ultimo giorno di vita del protagonista che si racconta in flash back. Bello il contrasto fra i noiosi monologhi dei figli e la sprizzante verve isterica dei genitori. Regia impeccabile, musica azzeccata e se Annette Bening è brava, Kevin Spacey è bravissimo. Mena Suvari ha la faccia e soprattutto il corpo giusti mentre Wes Bentely è il sosia dello “zio” Bergomi, ma questo in USA forse non lo sapevano.
Fight Club di David Fincher (1999)
Inserito al decimo posto nella classifica dei 500 migliori film dalla rivista britannica Empire, è una delle più efficaci denunce sull’alienazione da consumismo dell’uomo moderno. Avveniristico e quasi fantascientifico, valorizzato da una superba fotografia “urbana”, il film ha in Brad Pitt e Edward Norton due protagonisti assolutamente perfetti, ma si fa valere anche la britannica Helena Bonham Carter nel ruolo di Maria. Due anni prima Fincher aveva realizzato il notevole The Game con Michael Douglas e Sean Penn e in seguito otterrà due candidature all’Oscar per Il curioso caso di Benjamin Button e The Social Network.
Le Regole della casa del sidro di Lasse Hallström (1999)
Tratto dall’omonimo romanzo di John Irving è la storia del giovane Homer cresciuto nell’orfanatrofio del dottor Larch e il titolo si riferisce a un foglio affisso nella “Casa del Sidro” dove vivono i lavoranti, in cui sono segnate le regole da rispettare. Il film ottenne numerose candidature all’Oscar e il premio come non protagonista al fantastico Michael Caine, ma la vera rivelazione fu il futuro Peter di Spider Man, Tobias Maguire. Il ruolo di Candy è affidato all’australiana Charlize Theron in una delle sue prime parti da protagonista.
Il Talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella (1999)
Con il fatto che si intitola come il celebre romanzo di Patricia Higsmith a suo tempo portato sullo schermo da Renè Clement con un giovane Alain Delon, in molti hanno paragonato il film di Minghella a quello del francese per definirlo inferiore. Fermo restando l’insopportabile effetto cartolina di alcune ambientazioni made in Italy e l’abuso di certi luoghi comuni, questo film, ha dalla sua, oltre alla trama avvincente, un cast di attori fenomenali dal primo all’ultimo, e se Jude Law si supera nella parte del vero Ripley, Matt Damon non gli è da meno e considerato che anche Gwyneth Paltrow non mai stata né prima né dopo così brava, che dire di due non protagonisti del calibro di Cate Blanchett e Phlip Seymour ? Da vedere assolutamente così come da evitare invece quella sorta di pasticciato sequel presentato in anteprima a Venezia anni dopo da Lliana Cavani.
East is East di Damien O Donnell (1999)
Agli inizi degli anni ’70 in un sobborgo vicino Manchester una famiglia numerosa messa su da una improbabile coppia formata da un pakistano emigrato e da una nativa corpulenta e fumatrice accanita si ribella alle usanze patriarcali quando ai più bellocci dei tanti figli maschi vengono imposte per mogli dei cessi sesquipedali di pari razza e saranno botte, fughe, coming out gay ecc ma con finale rassicurante. Bravissimi i coniugi Om Puri e soprattutto Linda Bassett (strepitosa), simpatico il piccolo di casa che gira sempre con un cappuccio in testa e memorabile la scena della fallita presentazione alla famiglia più altolocata cacciata a parolacce dalla padrona di casa dopo aver loro offerto un the con tanto di involontario lancio di scultura di una vagina pelosa. Bellissimo, originale e divertente.
Matrix di Lana e Andy Wachowsky (1999-2003)
Sicuramente il film che più di tutti aprì al nuovo millennio. Avveniristico nel suo genere con un Keanu Reeves diventato, con il ruolo di Neo, un’icona. Dico solo che quando agli inizi si facevano provare gli effetti surrounder, ma anche quelli visivi, dei primi lettori DVD, gli addetti alla vendita per convincere all’acquisto, usavano proprio il dischetto di Matrix. Difficile andare “oltre” quella prima pellicola ed anche i due sequel lo hanno confermato.
Davide Steccanella
Leggi anche la prima parte e la seconda parte del cinema da salvare degli anni Novanta.