In questa domenica d’isolamento, di Lombardia assediata, di notizie ferali che mi raggiungono attraverso la televisione, mentre intorno il mondo sembra non accorgersi e un sole implacabile brilla alto nell’indifferenza del cielo, ho preso in mano un libro dal titolo accattivante, ho aperto la porta sul balcone e mi sono seduta a leggere.
Come facevo tanti anni fa, sul terrazzo della villa in Liguria, e sono i pomeriggi che non dimenticherò. Allora avevo a disposizione la sterminata biblioteca di Giancarlo, oggi ho i libri, le ultime edizioni che mi arrivano grazie a una proposta di GP al quale non sarò mai sufficientemente riconoscente.
Gli schifosi è un monologo: a volte si interrompe per dare spazio ai comportamenti del protagonista, poi torna a essere il racconto di questo zio che nel nipote Manuel trova l’unica convergenza umana della sua vita, deve occuparsene per evitargli conseguenze feroci a un suo gesto estremo di difesa. Manuel è un giovane cresciuto da solo, i genitori assenti e troppo occupati, abituato a cavarsela grazie a un’intelligenza straordinaria ma inceppato nei rapporti umani. Come tutti i giovani della sua generazione cerca un lavoro, ma è sfruttato, non può far valere la sua laurea, accetta qualsiasi offerta purché gli permetta di sopravvivere. Affronta situazioni quasi abbiette, affitti in nero, occupazioni precarie e truffaldine.
Un giorno uscendo di casa è spintonato sul portone da una guardia civil che sfugge alla manifestazione nell’avenida, armata di manganello che il suo istinto di belva gli fa immediatamente dirigere verso Manuel. Questi in un estremo gesto di sopravvivenza, per non avere il cranio spaccato dalla botta in arrivo, sfodera l’oggetto portafortuna che ha sempre con sé, un cacciavite. E lo infila nella gola del guardia.
È l’inizio del monologo dello zio, che deve difendere Manuel dalle conseguenze pesantissime del gesto contro un rappresentante dello stato: elaborano un piano di fuga con schede telefoniche distrutte, telefoni non rintracciabili, viveri da sopravvivenza, vestiti anonimi, e tutto quel che può servire a un latitante che deve scomparire.
Manuel scompare sul serio, trova rifugio in uno di tanti villaggi abbandonati, Zarzahuriel, scova una casa non troppo diroccata e vi si installa avendo a ore fisse del giorno il contatto telefonico con lo zio, che riesce a far recapitare generi di prima necessità senza che mai venga a galla l’identità del clandestino.
Un lungo racconto di adattamento al buio, al freddo, alla mancanza di tutto o quasi. Ma in questo itinerario accidentato Manuel scopre la sua felicità suprema, libero da ogni pastoia consumistica, senza saponi né deodoranti, niente shampoo, nessun contatto umano e persino il sesso scompare come necessità. È un uomo indipendente, si nutre di cose improbabili, non ha bisogno di nulla, è una perfetta situazione da anacoreta.
Ma una mina vagante porta confusione in quest’ordine monacale: l’improvviso arrivo di vicini che invadono i territori adiacenti nei fine settimana, e lo costringono a scomparire. L’evento inaspettato altera il perfetto equilibrio sul quale si basa la sua nuova vita. Puntualmente dal venerdì alla domenica pomeriggio deve nascondersi, macerandosi nella rabbia d’esser raggiunto da tutti i segni volgari del presente al quale pensava d’essere sfuggito. Sono trucidi, brutti, puzzolenti, emanano fumi e odori, rumori, voci, rappresentano i bisogni imperiosi, volgari della massa in cerca di felicità come da “carosello”.
Manuel inizia a elaborare un piano di vendetta, il secondo gesto di ribellione dopo il colpo di cacciavite: i vicini in cerca di pace agreste in verità si portano appresso tutti gli orrori della città, compresa la donna delle pulizie e l’accensione a distanza della caldaia. La prima gli fornisce involontariamente le chiavi per entrare in quel regno di invasori, la seconda opportunamente manomessa, potrebbe e dovrebbe causare danni irreversibili. E Manuel manomette, infila cose trucide e maleodoranti negli interstizi, spalma uova sul legno, latte negli armadi e ne verranno odori insopportabili, puzze da finimondo e invasione di topi e insetti.
Mentre aspetta di consumare il freddo piatto della vendetta nascosto nel sottotetto, come ormai usa da quando i suoi fine settimana si sono convertiti in incubi, un improvviso rumore lo avverte che qualcuno sta entrando nella sua casa. Da qui ha inizio la catastrofe con successivo ristabilirsi degli equilibri iniziali.
Manuel uscirà dall’avventura ferito e guarito non solo nel corpo ma anche nell’anima, tornerà al villaggio abbandonato senza più l’incubo dei vicini caciaroni: la caldaia è esplosa, la casa è bruciata, tutto torna come prima anzi meglio, perché il cacciavite non ha ucciso la guardia civil. Manuel non è ricercato, e il suo bisogno di solitudine diventerà totale, nessuno lo potrà rintracciare, neppure lo zio.
Una fiaba contemporanea con tutti gli elementi schifosi onnipresenti nel nostro presente; forse soltanto la natura potrà ristabilire i giusti equilibri.
Carla Tolomeo Vigorelli
Recensione al libro Gli schifosi di Santiago Lorenzo, Blackie Edizioni, traduzione di Bruno Arpaia, 2020, pagg. 227, euro 18,60.