«Gli abitanti di Tundra dovevano percepire estensione, ampiezza, orizzonti lontani. Convinti di poter andare ovunque e certi di non volersi allontanare troppo».
Configurazione Tundra di Elena Giorgiana Mirabelli (1979), qui al suo esordio nella collana Tunué diretta da Vanni Santoni, è un romanzo distopico sospeso tra Ballard e il post-esotismo: Diana, io narrante e protagonista del libro, viene insediata a Tundra, una delle città-bioma in cui il governo ha suddiviso il territorio e le viene assegnata la casa che fu di Lea, figlia di Marta Fiani, l’architetto che progettò Tundra.
Inizia così, attraverso il ritrovamento di quaderni, progetti, lettere, una scoperta sull’origine della città – nel libro sono presenti disegni ed estratti dai volumi di Marta Fiani, e mappe e diari che rendono fortissima la presenza di Lea – in un continuo rincorrere la verità. Configurazione Tundra, tra Volodine e DeLillo, è un affascinante romanzo d’esordio sulla ricerca della propria identità.E poi si avverte la presenza del Tarkovskij di Stalker e la sua “Zona”: «Tundra è una lunga linea retta e noi la percorriamo all’infinito».
Colpisce subito la risonanza tra Lea e Diana, e la loro costante sensazione di spaesamento. Le case delle città-bioma una volta abbandonate per una nuova destinazione dovrebbero essere lasciate vuote come una essenza neutra, senza effetti personali, ma Lea non voleva essere solo un evento ed è così che la casa è colma di memorie, tracce sensibili della sua presenza reale come, tra le altre cose, il suo invaghimento per Ettore, o la sua relazione con Pao. Fasci di lettere mai spedite e mappe di case.
«Così come tua madre cercava di semplificare, tu realizzavi la via inversa. Credo tu abbia voluto lasciare le tue cose perché eri stanca di essere solo un evento. Una di quelle cose che capitano e che poi scivolano via […]. Mi piaceva l’idea che mi avessi portato anche a sperimentare quest’attitudine. Leggere segni, inferire e andare avanti».
La scrittura è unica, scarna ed essenziale con le semplici descrizioni a riferire una scena: «Gratta la guancia, sbadiglia, bagno mattonelle, ed è lì nel corridoio scuro, poi in cucina» perché «i gesti corrispondono a una grammatica semplice»: una dichiarazione poetica nascosta tra le righe. Così le frasi sono il più possibile brevi e acquisiscono ampiezza nei momenti in cui Diana sembra liberarsi dalle oppressioni del Bioma. Tutto è anti-barocco: è funziona benissimo.
Nelle città-bioma anche le emozioni sono codificate e si sente un’impellente ombra di totalitarismo, e un’ansia strisciante contagia il lettore: «Tua madre ha creato un percorso olfattivo che muta al mutare delle stagioni ma che le altera. Le sequenze sono emozionali, come se le emozioni fossero univoche e tutti noi reagissimo nello stesso modo».
Compare a poco a poco un’identificazione tra Diana e Lea, grazie ai diari di quest’ultima, come l’incontro con Ettore e la sua libido. Ripercorrendo le azioni di Lea, Diana cerca la completezza o un varco oltre la logica dell’ordine unidirezionale della città.
«Per quanto l’obiettivo della Guida fosse abituarci a codificare le nostre azioni lungo catene causali, adesso non riesco a vedere la successione di eventi che hanno portato Lea in quel video, e me in quel locale a vedere Lea che gioca con un dildo per i locali di diversi biomi […]. Non riesco a risalire lungo la catena di circostanze che hanno portato me a Tundra in casa di Lea, non riesco a ricordare come fossi prima di arrivare qui – la linea retta che è diventata un orizzonte».
Non voglio spingermi oltre nella trama che deve essere scoperta, e nel romanzo di Mirabelli ci sono nicchie nascoste ricche di segreti, sogni, incontri e altro ancora: ora il piacere spetta al lettore che ne ricaverà la sua personale interpretazione: «Vorrei che ci fossero più percorsi, non solo uno, perché i solchi tracciati a volte vanno distrutti».
Enzo Baranelli
Recensione al libro Configurazione Tundra di Elena Giorgiana Mirabelli, Tunué, 2020, pagg. 106, euro 14,50.