Se vogliamo individuare uno dei più formidabili catalizzatori di storie, cerchiamolo in quello che non c’è. Magari scomparso lasciando tracce invitanti e inquietanti. Nel 1980, in una sinagoga sconsacrata dell’East End londinese, viene aperta dopo undici anni la stanza di David Rodinsky, ebreo di origini russe, studioso e matto, custode e golem, straccione e cabalista, scomparso nel nulla sul finire del 1969. Cosa chiedere di più alla suggestione? Il segno della testa sul cuscino, foglie di tè fossilizzate nella tazza, giornali, taccuini fitti di appunti in lingue diverse. Una guida stradale di Londra con segni e percorsi. Abbastanza per un mistero. In questa rete cadono Iain Sinclair, prosatore gallese irregolare e virtuoso, e Rachel Lichtenstein, giovane artista performativa alle prese con un regolamento di conti con le sue origini. Rodinsky diventa il centro delle loro vite. E questo libro ne è il corposo resoconto. La Lichtenstein racconta il suo immergersi nella vita di un uomo e poi di una comunità. L’East End, Israele e la Polonia dei suoi avi. Sinclair, invece, divaga tra saltelli pindarici, rimandi letterari, cinematografici e artistici. Scava nel lato borgesiano di ogni mistero, quello che affianca banalità e inquietudine. Quell’urgenza che spinge a vedere sempre qualcosa oltre. Perché alzi la mano chi non ha mai ceduto, nemmeno una volta, alle lusinghe del mistero. C’è chi lo fa in via istituzionale, cercando le cose ultime lungo percorsi religiosi o ideologici. E chi, invece, preferisce enigmi di piccolo cabotaggio, che permettono identificazioni totali. Quant’è affascinante, e pericoloso, essere un cacciatore di vite? Quanto spudorato ed esaltante?