Giulia Contini (è uno pseudonimo), scrittrice romana, autrice del romanzo di recente pubblicazione per Bompiani intitolato La stanza dei canarini, regala a Satisfiction un inedito di grande attualità dove attraverso la finzione letteraria, descrive il complesso mondo delle badanti. Sono donne che nella maggioranza dei casi hanno lasciato il loro Paese d’origine e le loro famiglie, per andare all’estero a occuparsi di anziani e ammalati; accudiscono, assistono, si occupano dell’aiuto domestico di un componente fragile della famiglia che le assume, famiglia della quale per la natura insita nell’incarico lavorativo svolto, entreranno a fare parte. Dovranno imparare regole e abitudini diverse dalle loro, non foss’altro per le differenze culturali e si troveranno talvolta a svolgere un lavoro di fatica, non solo di compagnia. Anche le famiglie che le assumeranno d’altra parte saranno costrette a fidarsi della badante assunta, il cui lavoro non è solo di assistenza domestico-sanitaria, ma implica un significativo risvolto umano, trascorrendo la stessa badante molte ore in casa con l’anziano o il malato, diventandone punto di riferimento del quotidiano. Tuttavia, non sempre l’incontro tra i due mondi scorre liscio rivelandosi il rapporto tra badante e famiglia che la accoglie tutt’altro che un mare calmo; i rapporti potranno diventare complessi da gestire, anche burrascosi, e allora si renderanno necessari aggiustamenti o addirittura cambi di rotta, dovendo per forza imparare a nuotare in alto mare, senza regole precise a cui aggrapparsi, affidandosi, è il caso di dirlo, a uno stile libero che, come quello raccontato da Giulia Contini, non è mai scontato.
Silvia Castellani
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In principio fu Imelde. Ma lei non era una badante, dava una mano a mamma appena nate le gemelle. Veniva la mattina e puliva la casa. Imelde è rimasta con noi circa vent’anni. Ha rotto un numero imprecisato di ammennicoli e macchiato una buona quantità di camicie, ma era un pezzo di casa. Quando se n’è andata sapevamo che nulla sarebbe più stato lo stesso, come quando se ne va Mary Poppins alla fine del film.
Dopo Imelde è venuta Lara. Io mi ero trasferita a Roma già da 4 anni e le gemelle da qualche mese, quando mi mandano un sms: “Tua madre è impazzita, chiamala”.
Viene fuori che mia madre aveva iniziato a fare discorsi deliranti del tipo:
“Devo fare come Sandra e Raimondo”
“Vianello?”
“Sì, Vianello che hanno adottato una famiglia di filippini. Tanto voi non ci state e i tuoi nonni non ringiovaniscono mica”.
“Ho capito, ma perché prendi una ragazza così giovane?”
“Perché così me la cresco come una figlia”.
“Ci stai sostituendo?”
“Sì”.
Ok, è impazzita.
Torniamo a casa e ci troviamo questa ragazzina filippina di 19 anni che ne dimostra 16, che non interagisce con mio padre, non interagisce con mia nonna, non interagisce con mio nonno. Lara resta per circa un mese, poi se ne va. L’ idea di diventare la figlia surrogato di mia madre non era esattamente la prospettiva della sua vita.
I filippini però non ci dispiacciono, quindi aggiustiamo il tiro e prendiamo Linda.
Linda è una bomba, una macchina da guerra, come pulisce casa lei nessuno al mondo. Peccato però che di stare coi miei nonni non ne avesse proprio una gran voglia. Peccato anche che mio nonno avesse l’ alzheimer e che non si poteva più lasciare solo. Linda è rimasta con noi 9 anni. Quando è morto nonno lei c’era. Ma non faceva niente. Si limitava a chiamare qualcuno quando succedeva qualcosa. Mi ricordo un giorno che mia madre è tornata dal lavoro e ha trovato nonna in ginocchio a pulire i bisogni di mio nonno nel corridoio. Linda se ne era accorta quando era entrata per riporre le lenzuola pulite nell’armadio e aveva riportato l’accaduto.
“Siamo come i carcerati noi – diceva mio padre – usciamo solo per andare a lavoro e poi basta”.
Per nove anni i miei genitori non sono mai andati a una cena, a un cinema, a fare una passeggiata. Per molto tempo le gemelle hanno cercato di convincere mia madre a portare nonno in un centro anziani, a lui sarebbe cambiato poco, a lei invece molto.
Ma non è esattamente così.
Un giorno, prima che morisse, gli stavo facendo la barba. E lui era seduto in canottiera su un lato della vasca da bagno. Io ero concentrata per non tagliarlo perché la pelle del collo non era tesa e l’unica cosa rimasta vigorosa era il mezzo centimetro di barba bianca resistente alla lama. Lui mi guarda e ha gli occhi pieni di paura. Non è più mio nonno. É un bambino spaventato sulla sedia del barbiere che aspetta la madre per tornare a casa. Quando ho finito si guarda allo specchio, ispezionando il lavoro e mi dice: “Sei stata brava”. Anche se non è vero.
In quel momento era di nuovo mio nonno.
Per l’ultima volta.
Quando è morto nonno abbiamo mandato via Linda.
Per fortuna abbiamo trovato subito Getta. Me l’aveva raccomandata la mia migliore amica, Silvia, che purtroppo aveva perso sua nonna proprio in quei giorni.
L’abbiamo colloquiata e il giorno dopo era a casa nostra.
Una meraviglia. I due anni più belli delle nostre vite. Getta era un miracolo del cielo, era allegra, energica, dolce con mia nonna e di compagnia con mia madre. Non ho mai ricevuto tante foto di mia nonna come in quel periodo, perché Getta con nonna ci giocava come fosse sua madre o anche di più. E mia madre? Rinata. Un’altra persona. Finalmente lei e mio padre avevano ritrovato la libertà e non c’è niente di meglio per essere felici. Ma è durata poco. Perché dopo appena due anni Getta ci comunica che, purtroppo, si è innamorata. Purtroppo ha trovato l’uomo della sua vita, che purtroppo vive in Olanda e che purtroppo le ha trovato lavoro lì.
Catastrofe. Abbiamo 15 giorni per sostituirla, ma dove l’andiamo a trovare un’altra? Ci muoviamo su vari fronti: io metto annunci su facebook, le gemelle cercano agenzie specializzate, mia madre chiede a parenti ed amici, mio padre viene indirizzato verso un losco individuo che dice di averne a carrettate di badanti, ma rigorosamente senza permesso di soggiorno. NO GRAZIE. Il tempo scorre rapido, siamo allo scadere dei 15 giorni, quando arriva la telefonata della svolta: l’abbiamo trovata. Si chiama Rachida è giovane, marocchina e sembra simpatica.
“E come l’avete trovata?”
“In agenzia. Paghi 600 euro e loro te la trovano”.
“600 euro?”
“È sì, non è poco però abbiamo 3 mesi di prova, se non va bene, loro ce ne trovano un’altra”.
Arriva Rachida e dopo 5 minuti ci rendiamo conto che non va bene per niente. Ciondola per casa come un bradipo, con mia nonna non ci sta mai e risponde malissimo a mia madre. “Cambiamola subito – dico – è palese che non va. Poi a nonna serve una persona dolce, questa nemmeno la guarda!”
Eh ma adesso c’è il ramadan.
Eh ma adesso è agosto.
Eh ma adesso pare vada meglio.
Conclusione? Passano i tre mesi, noi perdiamo i 600 euro e Rachida la mandiamo via per evidenti incompatibilità caratteriali. Ma questa volta abbiamo un asso della manica: Getta ci informa che sua cugina cerca lavoro e potrebbe venire subito. La prendiamo. Dopo 24 ore di autobus dalla Romania arriva Daniela. Daniela è come Getta, meno briosa, ma va benissimo. Torna il sereno. E via con i weekendini fuori porta, i pomeriggi di burraco, le braciate al tramonto. Per i successivi due mesi. Alla fine del secondo mese anche Daniela se ne va per raggiungere il marito stanziato a Londra.
“Ma lì c’è la brexit, dove vai?”
Niente, se ne va.
Siamo punto e a capo, ma questa volta non abbiamo più la carta dell’agenzia (altri 600 euro non li sganciamo), né i contatti diretti. Non ci resta che lo spacciatore di badanti: ma ne vogliamo una IN REGOLA. Il tizio ci porta Laila, marocchina. È giovane, cicciottella e con l’espressione simpatica. La prendiamo! Laila è uno spasso, ride sempre, fa le facce buffe, non capisce molto d’italiano, ma è sveglia, imparerà. Mia mamma ci si affeziona subito perché la vede piccola. Passa le vacanze di Natale con noi perché non ha una famiglia e non sa dove andare. Siamo molto contenti. Per adesso. Poi un giorno esce nel suo giorno libero e non torna più. La chiamiamo chiamiamo chiamiamo. Rientra la mattina dopo e dice che era stata al pronto soccorso perché una sua amica si è sentita male. Ok, ci sta. Un altro giorno esce e non torna più. La chiamiamo chiamiamo chiamiamo. Rientra la mattina dopo e dice che era stata tutto il tempo alla fermata dell’autobus che però non era passato e aveva il telefono spento. In poco tempo era cambiata. È rimasta tre mesi. Ha detto che si trasferiva a Bologna da qualche parente. L’abbiamo rivista poco dopo a passeggio in città con un brutto ceffo. Indossava il maglione nero con le rose rosse che le avevo regalato io.
Laila se ne va senza dare il preavviso quindi abbiamo una finestra di circa una settimana per trovare una sostituta prima che mia madre piombi della depressione più nera. Ma ormai la depressione la avvolge subito. Mia madre è stanca. Non ce la fa più. È stanca di avere estranei in casa ogni 3 mesi, di dover ricominciare da capo ogni volta, di doversi abituare ad esigenze diverse (cosa mangiano, quando pregano, che lingua parlano), è stanca di non essere spensierata, di avere questo senso costante di precarietà e angoscia.
Dopo Laila arriva Giulia. La faccio breve perché la storia è sempre la stessa. Arriva, ci piace, si inserisce, si ambienta, ci rilassiamo, si licenzia. Ce l’ha comunicato ieri.
Io non lo so se il problema siamo noi. Se sbagliamo qualcosa. Io so che non è un mestiere facile quello delle badanti, che ti mina il corpo e la mente, perché se fiacca mia madre la cura di sua madre figuriamoci come logora giovani donne che hanno dedicato tutta la loro vita a fare le schiave. Perché di questo poi si tratta. Vendere la propria liberà e il proprio tempo in cambio di una quantità di soldi che non sarà mai sufficiente a risarcirti da tutta la morte, tutto il dolore e tutta la fatica accumulati in anni di letti sfatti, di pannoloni sporchi, di medicine prese e pesi vivi che diventano pesi morti.
Io lo capisco e non lo so da che parte sto in questa guerra tra miseri, ma vedo solo che in mezzo sta mia nonna. Che non dice mai niente ma ha paura di tutto. Che ti si affida come un cane al suo padrone. E prego Dio che non si accorga mai che le persone che dovrebbero amarla di più arrivano a pensare, in alcuni momenti, che l’unico rimedio a tutti i loro guai sarebbe la sua morte
Arrivi qui.
A questo pensiero ignobile e torni indietro.
Come un nuotatore che tocca il bordo della vasca e poi riparte.
Giulia Contini