Nei giorni in cui ho letto Fragile. La mia storia, la biografia di Marco van Basten scritta insieme a Edwin Schoon, mia moglie si è ritrovata a guardare decine di highlights del Milan degli anni ’80 e ’90, un documentario su Maradona (perché Dio è sempre Dio…) e una figlia di tredici mesi che giocava con una palla fatta di giornali e scotch che urlava di gioia a braccia alzate come le ha insegnato papà.
Per fortuna – le ho fatto notare – che ho letto Open di Agassi anni fa, altrimenti mi avrebbe visto correre per la casa con in mano una padella e una bandana sulla testa.
Una sera, esausta, mi ha chiesto perché il calcio fosse così importante. Me lo sento chiedere da quando ero piccolo, e so che a domande semplici spesso seguono risposte complesse.
La passione sportiva, innanzitutto, è il più grande livellatore sociale che l’uomo sia mai stato in grado di escogitare dal tempo dei dinosauri. Milionari e straccioni, per circa due ore sono uguali: urlano, gioiscono e si sentono a pezzi per gli stessi motivi.
Che tu sia l’allenatore, un giocatore, o anche solo un tifoso, non puoi che affidarti all’altro. Non si tratta di fidarsi, ma di affidarsi. È diverso…
Nella vita, normalmente, sono molte di più le volte in cui perdiamo, ma la domenica pomeriggio possiamo vincere, è una questione di riscatto e affidi questa necessità di farcela almeno stavolta, nelle mani di qualcuno che ti sta vicino, se sei un giocatore; abbastanza vicino, se sei l’allenatore o lontano, come nel caso del tifoso. È per questo che quando si perde diventiamo come le bestie, perché ci si sente traditi, era la nostra occasione per vincere, stavolta toccava a noi e, per la miseria, abbiamo perso ancora…
Inoltre, ogni tifoso sente la squadra come sua. Ciò che struttura l’appartenenza è il ricordo condiviso, la presenza. I tifosi ci sono sempre, e i loro racconti strutturano una memoria comune. I calciatori, i dirigenti e persino i presidenti sono transitori. Il tifoso, invece, conserva la memoria, la passione, e la tramanda ai figli come tessere del genoma. Per questi motivi – e alcuni altri che ci vorrebbe uno spazio infinito per raccontarli – il calcio non è solo un gioco, ma è il modo più gioioso per raccontare la vita.
Se osservi qualcuno giocare, per esempio, puoi capire davvero molto di lui, perché il gioco smonta le maschere.
Marco van Basten è passato alla storia come “Il Cigno di Utrecht” (che ancora oggi trovo sia uno dei nomignoli più poetici in uno sport pieno di poeti e cialtroni…) perché era molto elegante, e aveva le gambe fragilissime. Una caviglia in pezzi, mal curata, lo ha costretto a smettere quando era ancora piuttosto giovane.
Dotato di un talento immenso, ha comunque fatto in tempo a vincere tutto svariate volte. Ma questa fragilità non solo strutturale, emerge con chiarezza in questa sua biografia, nonostante van Basten e il suo biografo tendano spesso a proteggersi, evitando di approfondire a dovere i conflitti con il padre, con Arrigo Sacchi, l’onnipresente figura di Cruijff, le responsabilità nelle sconfitte, il dualismo con Gullit e l’ingombrante presenza di Maradona nella vita di un uomo che ambiva a essere il migliore al tempo in cui c’era Dio a giocare. E poi le annotazioni, le tante statistiche in cui si rifugiava perché ossessionato dalla ricerca di equilibrio.
Scritto in maniera semplice, in questo libro le parti migliori sono quelle che trattano dell’uomo van Basten, di Marco. Di tutte le volte che si è fidato delle persone sbagliate, degli investimenti azzardati e di quella maledetta caviglia, delle cure paradossali alle quali è stato sottoposto e che lo hanno fregato. E poi l’ansia, che lo ha fregato per ultima e forse persino più di tutte.
Per tutti quelli che hanno amato biografie eccellenti come George Best, l’immortale di Duncan Hamilton, o i racconti indimenticabili di Osvaldo Soriano di partite infinite e finali dei mondiali, non mancherà di apprezzare anche questo Fragile perché, come disse Galeano, non c’è modo di spiegare a un bambino la felicità senza mostrargli la palla.
Pierangelo Consoli
Recensione al libro Fragile. La mia storia di Marco van Basten e Edwin Schoon, Mondadori, traduzione di Antonio De Sortis, Claudia Di Palermo e Franco Paris, 2020, pagg. 348, euro 20.