Ludwig Wittgenstein sosteneva che non esiste nulla al di fuori di ciò che si può dire, e che il resto andrebbe taciuto.
Patria del linguaggio sono la bocca e le mani. Un uomo senza, senza un nome, senza parole, senza gesti, sbiadisce, rinuncia a vivere, è morto.
Nel racconto Il nero abisso esistente tra noi, di Luca Ricci, edito da La Nave di Teseo, il protagonista si aggira in una Roma resa spettrale dalla pandemia. Le strade sono un mortorio e lui cammina spavaldo perché la mascherina gli permette di coprire la metà della faccia che odia, e che lo definisce, che lo differenzia in maniera orribile.
La sua bocca potrebbe raccontare la sua storia, e la racconterebbe al primo sguardo, come una confessione estorta a un codardo, ma è una storia dolorosa, raccapricciante e, per questo, è messa a tacere.
Ciò che rimane, oltre la maschera, è banalmente bello. Due occhi azzurri, i capelli biondi, un uomo attraente come tanti che ce ne sono.
“Vivere non è un’ideologia, bensì una prassi”, scrive Ricci, ma è una prassi complessa, necessaria di metodo, come una regata in solitaria.
E la solitudine è un altro dei temi, insieme all’anomalia. L’anomalia è ovunque in questo racconto, perché anomalo è il periodo storico in cui è ambientato, che ci resterà per sempre impresso nella mente. La città è deserta per decreto, c’è l’obbligo di non mostrarsi e il protagonista si aggira cercando riparo da una solitudine devastante. La stessa solitudine del passeggiatore notturno di Maupassant, per cui anche due amici seduti su una panchina sono soli. L’uomo, si direbbe, è un numero patafisico che, seppure sommato a un altro, resta comunque diviso.
E in queste scorribande corsare, il protagonista incontra un’altra solitudine, forse persino più disperata perché ingenuamente convinta che ci sia rimedio. Luisa è una donna annoiata, bella, che vede nell’altro una fuga. I due si seguono, s’intrattengono nell’androne del palazzo di lei, fanno sesso e poi si lasciano.
Questo due volte, poi fanno una passeggiata. Lei parla, vorrebbe sapere, capire, lui si nega, non si mostra, come un Calibano avvolto nell’ombra. Luisa fraintende, e viene travolta dall’afrodisiaco più potente del mondo: l’indifferenza.
Quando le attenzioni della donna si fanno pressanti, l’uomo capisce che è finita. Il suo segreto è troppo ingombrante, e sa che lei non potrebbe capire.
Lui si ritira, lei si dispera.
Luca Ricci ci accompagna in questa desolazione da Tre camere a Manhattan, con una prosa che è trama di mussola. Non invade, non indugia come se avesse un certo pudore. Si respira il clima del momento, il tonfo di una situazione assurda dove un uomo torna bello nel dolore di tutti, come la natura che si prende spazi che non le appartengono.
Un’ora ci vuole per leggere questo racconto e giorni per uscirne.
Dopo averlo letto, sono andato a lavoro, ho guidato, ho indossato la mascherina e il racconto era lì, in agguato, da qualche parte nella mia mente. Cercavo Luisa, e il Bel Nazista. Li ho travati, goffi, più di una volta, in malcapitati passeggiatori in fila indiana, a distanza ministeriale, che non si cercavano se non per me.
Un giorno, i nostri figli adesso piccoli, ci chiederanno di questo momento, di cosa successe. Libri come questo li terremo da parte, glieli consegneremo, e il nostro racconto può partire da qui.
Pierangelo Consoli
Recensione al libro Il nero abisso esistente tra noi di Luca Ricci, La Nave di Teseo, 2020, pagg 20, e-book euro 1,99.