E’ proprio vero che le strade che menano all’Inferno sono lastricate di buone intenzioni. Sicuramente erano buone le intenzioni del Corsera nel lanciare una nuova collana di libri di poesia che si possono acquistare in edicola, insieme al quotidiano.
E’ Natale e a Natale siamo tutti più buoni, tanto buoni da arrivare alla follia di pubblicare dei versi.
Noi tutti piccoli, insignificanti poeti e lettori di poesia di questo impoeticissimo mondo multinazionale, siam grati del filantropico pensiero.
Niente da dire, peraltro, sulla scelta dei primi titoli, a cura di Nicola Crocetti, tutto nella norma: si va dagli ottimi Pessoa e Kavafis, o Szymborska, ai pessimi e noiosi (ma proprio perciò amatissimi) Neruda e Merini.
Niente da dire neanche sull’idea del libro di poesia gadget: va bene così, oggi l’editoria è anche questo. Magari a me non piace, magari preferirei che i quotidiani facessero i quotidiani (e non gli editori) e che gli editori facessero gli editori (e non i quotidiani, pubblicando cose che durano poco più dell’edizione giornaliera del Corsera).
Ma tant’è, non mette neanche conto parlarne.
Quello che mi ha impressionato è altro: è l’apparato comunicativo e para-critico-pubblicitario messo su per lanciare l’iniziativa di Via Solferino.
A dire il loro profondissimo amore per la poesia sono stati chiamati in tanti sul sito web del quotidiano e qui la faccenda si fa intricata, perché costoro, probabilmente preoccupati di svolger bene il loro compito (quello di intellettuali chiamati lì a convincere qualcuno, il lettore medio e mediocremente alfabetizzato, che leggere poesia è cosa buona e giusta, compito, com’è noto, improbo e proibitivo), inanellano una tale serie di spropositi e luoghi comuni al proposito da restarne impressionati.
Si va dal «poeta giardiniere della lingua» di Galaverni che, dopo aver liquidato con nonchalance la mancanza di una seria critica poetica, dichiara che in fondo se ne può fare anche a meno, visto che il poeta è giardiniere autarchico, sino alle mattane, tendenzialmente in anacoluto, di Picca il quale, dopo aver dato sostanzialmente della femminetta sentimentale a Leopardi, fa di Foscolo quell’eroe romantico di cui precisamente si burlava Didimo Chierico (che poi era Foscolo stesso) e, sempre in nome di Foscolo, proclama l’odierna necessità di Romanticismo. Sì, avete letto bene, proprio Romanticismo e proprio in nome del Foscolo.
Ma chi non è ancora contento potrà soddisfarsi scoprendo come l’ironia tagliente della Szymborska possa divenire «apollinea e metafisica» (eh sì), o lasciarsi trascinare dalle elucubrazioni di Piccini secondo cui «essa, [la poesia, la minuscola è mia] semplicemente, è: il che implica non un darsi come prodotto, ma proprio una tensione, un movimento nell’essere, un’offerta, che si scontra però con il demone della facilità e della banalizzazione». Banalizzazione, appunto. Peccato poi che si scriva tutto ciò proprio per vendere un prodotto: i benedetti libri di poesia del Corsera.
Si cambia pagina web e si scopre che «in ogni epoca la poesia si offre come un nettare, la medicina salvifica, concede ai lettori o al pubblico, che ascolta, di recuperare il senso delle cose, di riappropriarsi della memoria, di avere un ruolo nella dimensione cosmica (sic! cosmica!)». Per poi affrontare la rivelazione stupefacente che Dante, «percepito il calo delle vendite dei suoi manoscritti, per sopravvivere si trasformò in uno showman di richiestissime performance». Parola di Franco Manzoni.
Un altro click e incontrerete il Tao della poesia, via sicura, secondo Alessandro Carrera, per ricominciare a scrivere versi magnifici: basterà passare attraverso le tre tappe indicate, conversione, estroversione e, ovviamente (siamo o non siamo a Natale?), incarnazione.
Ancora non vi basta? Siete dei duri?
Allora non vi perdete gli spot TV di Alessandro Gassman che ce la mette tutta, ma proprio tutta, per sembrare un Alberto Lupo postmoderno, mentre, con voce roca, ci assicura che «la poesia non cerca seguaci, cerca amanti».
Ho fiducia che quelli vi finiranno… Ma che a nessuno di voi venga in mente di avvertire lui (né la Melato e Veronesi, altri straordinari testimonial dell’iniziativa in versi del Corriere) che, in realtà, la poesia non cerca né gli uni, né gli altri: solitamente cerca parole.
Ora, io capisco tutto, mi rendo conto delle ottime intenzioni, ma non era più semplice cavarsela mandando a noi tutti, poveri mediocri poeti e lettori di poesia di un mondo a n dimensioni, un semplice bigliettino d’auguri? Avremmo certamente apprezzato. La poesia è sinonimo di essenzialità…
Magari potevano pensare a un cartoncino in carta riciclata (si sa, la poesia è, per antonomasia, ecologica), o anche a un .pdf digitalizzato, con sopra il faccione di Ungaretti e la scritta: È Natale – m’illumino d’immenso. Ovviamente sponsorizzato da Enel Energia…
Così i costi non sarebbero stati eccessivi e a noi sarebbe stata risparmiata la sensazione abominevole di annegare in uno sgangherato, oceanico minestrone di luoghi comuni e corbellerie allo stato brado.