La fantasia dei moderni non conosce limiti, e anche nel linguaggio è sempre all’opera per inventare nuovi, fantastici vocaboli. Uno di questi è il verbo to be amazoned – quasi intraducibile in italiano, ma che rende benissimo l’idea. È un po’ come viaggiare per una stradina di campagna – un percorso sempre uguale, ornato di alberi e fiori, che ci avvolge nella sua tenerezza – e poi finire schiantati sotto un camion, lanciato a mille all’ora contro di noi.
L’impatto è semplicemente devastante. Se si sopravvive lo si può ricordare per tutta la vita, e mai senza un brivido di terrore. Amazon ha fatto lo stesso con migliaia di aziende – amazoned, appunto. Imprese che vegetavano tranquille nella loro nicchia di mercato, un giorno avevano scoperto di avere un problema: c’era un sito che vendeva i loro stessi prodotti. Li spediva in meno di due giorni a casa del cliente, gratis, con un prezzo eccezionale. Che fare adesso? Una domanda perfettamente inutile: era già troppo tardi.
Ricordo un giorno che ero a New York, stavo leggendo una copia del New York Times – il supplemento domenicale. In prima pagina campeggiava uno studio sugli uomini più ricchi di ogni tempo – che guarda caso, salvo eccezioni, erano quasi tutti americani. Stando a quell’articolo, la palma di “The Richest” spettava a John D. Rockefeller, il leggendario fondatore di Standard Oil. Attualizzata al 2007 – sono quindi passati più di dieci anni – la sua fortuna ammontava a 190 miliardi di dollari, quasi il doppio di Bill Gates. Nella classifica poi spuntavano i nomi di Warren Buffett, Creso e Salomone. Nessuna menzione di un tale Jeff Bezos, di Seattle, che già imperversava da tempo con il suo everything store – Amazon punto com.
Anche nelle previsioni, non gli si accordava troppa fiducia. Molti “esperti” vaticinavano che in futuro la palma di Numero Uno sarebbe andata a un cinese, come membro della prossima “razza padrona”, capace di battere l’America sul suo stesso terreno. E infatti sarebbero venuti i Jack Ma, i Pony Ma e i loro epigoni, ma nessuno abbastanza forte da arrivare fin lassù, oltre i cento miliardi di dollari. Quello era il limite stabilito da Bill Gates. Poi la Borsa avrebbe spinto Amazon al di là dell’immaginabile, e ancora una volta il confine si sarebbe spostato, a nuove e vertiginose altezze. La fortuna di Bezos sarebbe arrivata a 160 miliardi di dollari, cioè il valore complessivo delle sue azioni. Ma è una stima azzardata per difetto, perché non tiene conto di molti dei suoi investimenti personali, su cui vige una certa segretezza. Non si tratta proprio di due spicci. Tanto per dare un’idea, Bezos è stato uno dei primi a investire in quella che, all’epoca, non era niente più di una minuscola startup, ancora priva di ogni risorsa. Si chiamava Google. Il che ci porta a pensare, una volta di più, che forse aveva ragione Paul Getty.
Quando gli avevano chiesto «A che punto un uomo può essere considerato ricco?», lui aveva risposto «Quando non sa esattamente quanto possiede». Un re può anche misurare il suo regno, ma non se i suoi confini si spostano in avanti ogni giorno. Allora può soltanto ammirarlo, ballando in una pioggia di magiche, tintinnanti monete, che sembrano mandate direttamente da Dio – o chissà, forse dal diavolo, amico di ogni gioia terrena.
Ogni popolo ha un’unica, straboccante passione, che finisce per contagiare tutti gli angoli della sua vita. Per gli italiani è indubbiamente la Politica. Per quanto sia uno spettacolo desolante, tristissimo, per certi versi anche ridicolo, e del tutto inconcludente, è talmente incistato nella nostra mente, che non potremmo mai farne a meno. Il teatrino ce lo portiamo un po’ dappertutto – sui giornali e al bar, in piazza e in televisione – e naturalmente in libreria, dove c’è sempre uno scaffale dedicato ai politici. Insieme ai Commissari, e i mafiosi, sono loro i protagonisti della nostra Letteratura, che è nata conservatrice, e forse così morirà, in un tripudio di discorsi sempre inutili.
Lasciamo qualcosa ai saggi storici, ai melò, ai thriller e alla cronaca nera, ma niente che possa uscire dalle solite mura. Tranne che per figure leggendarie, come Adriano Olivetti, o Enrico Mattei, da noi non ci sono biografie di imprenditori, o storie di aziende che abbiano lasciato un segno. I libri di business, al massimo, possono essere una roba per esperti, da studiare per un esame, e poi abbandonare in fretta, come si farebbe con un vecchio un po’ pedante, noioso e triste. Certo, si potrebbe obiettare che si è parlato fino alla nausea di Gianni Agnelli, ma il suo caso è del tutto diverso: quasi nessuno lo ha tratteggiato come un businessman, mentre si è dato grande risalto alla sua vita privata, da dandy miliardario.
I Renzi e i Salvini solleticano ben di più la nostra fantasia, quando in America è il contrario. Anche là ci si accapiglia su Trump, ma rimane il fatto che quasi metà degli americani non votano, nemmeno alle presidenziali. Loro sono devoti a un altro dio, tanto concreto che lo si può ritrovare nel portafoglio, su un pezzo di carta.
Ed è qualcosa di più di un dollaro. È l’idea che un uomo solo, da qualche parte, se ha l’idea giusta, e voglia di lavorare sodo, può creare un’azienda straordinaria, capace di rivoluzionare il mondo. Il Mito della Frontiera, che oggi non si trova più nel Klondike, fra fiumi laccati d’oro, ma nella Valle del Silicio, dove in ogni chip si nasconde un tesoro.
È qui che succedono le cose, ben più che a Washington, dunque non c’è da meravigliarsi se le librerie – quelle poche sopravvissute ad Amazon – pubblicano centinaia di titoli dedicati a imprenditori, geniali “visionari”, o presunti tali, che in qualche modo hanno vinto la partita. Elon Musk, Steve Jobs, Bill Gates, Rockefeller ed Henry Ford, ma anche Branson, Hilton, Geffen e J.P. Morgan… il catalogo è infinito, perché l’essenza stessa del denaro, la sua potenza, è quella di essere un Proteo instancabile, velocissimo, che sempre si reincarna in nuove forme. E questa volta è il turno di Amazon.
La cosa più commovente di questo libro, Vendere tutto. Jeff Bezos e l’era di Amazon di Brad Stone, è che ci ricorda un passato in cui il dominio del web, e di conseguenza, del capitalismo mondiale, passava attraverso i libri. Sembra incredibile, oggi, ma sul finire degli Anni Novanta (un decennio che ci appare lontanissimo, quando è stato appena ieri) il campo decisivo era quello dell’editoria. Sul ring c’erano da un lato il gigante Barnes&Noble, di Len Riggio, una catena di librerie che aveva già distrutto quelle indipendenti, e dall’altro la giovane creatura di Jeff Bezos. Il suo obiettivo era quello di vendere i libri direttamente online, mandandoli a casa del cliente.
In un certo senso era la merce perfetta: poco costosa, in vastissimo assortimento, e replicabile in milioni di copie. Sembrava creata apposta per il web, anche se per molti era soltanto un diversivo. L’esito del match era segnato. Le bastava varare un sito, e a quel punto Barnes avrebbe schiacciato Amazon, sfruttando la sua forza commerciale, il suo brand, le vagonate di dollari che poteva mettere sul piatto… ma il Cigno Nero era sempre in agguato, con tutta la forza dell’imprevisto, e stavolta veniva da Seattle, dal garage di una villetta. Qui stava arrivando il futuro, e si poteva condensare in un’unica frase. Gradatim ferociter. Gradualmente e con ferocia. Non a caso Bezos se la sarebbe fatta incidere sui suoi stivali da cowboy, per non dimenticarla mai, neppure nei momenti di gloria. E poi ancora – focus sul cliente, alzare l’asticella, fare le cose in modo intelligente. Lavorare da matti, aggiungo io, perché novanta ore la settimana non bastano, per conquistare il mondo. E anche una volta che è successo, ci sono sempre nuovi mondi, nuovi orizzonti… presto Amazon sarà nello spazio, attraverso le navicelle di Blue Origin.
Vorrei che ci fosse un romanziere come Brad Stone. O meglio ancora, che abbandonasse tutto e si mettesse a scrivere un romanzo. Perché lasciare questa splendida, miracolosa disciplina nelle mani di mediocri? Da lettore è quasi un delitto per me. Mi è bastato sfogliare qualche pagina di questo libro, per capire che ha la stoffa del campione. Ha un ritmo invidiabile, e un magnetismo naturale, prepotente, che non necessita di trucchi o parole complicate. Come sempre succede, la bravura emerge da sé.
Poi è sempre dettagliato, preciso, e ha dalla sua un notevole coraggio. Quanti sarebbero disposti ad attaccare uno come Bezos, mettendo in piazza i suoi difetti, e le stranezze, le manie, a cominciare da quella risata da matto? Non è scontato. Eppure quello di Stone è un ritratto a tutto tondo, da cui emerge, una volta di più, che il genio non è mai privo di ombre, e la sua grandezza avanza insieme alla rabbia, l’avidità e il cinismo. Bezos è lo stesso uomo che da un lato assume centinaia di migliaia di persone, e dall’altro le costringe a turni infiniti, orari massacranti, per migliorare la qualità e abbassare i costi. Solo così può soddisfare l’altra metà degli uomini, che dopo il lavoro vogliono prodotti ben fatti, poco costosi, spediti direttamente a casa, solo con un click.
In questa enorme contraddizione – di volere un lavoro migliore, ben pagato, e al tempo stesso una valanga di cose, senza pagarle troppo – si sprigiona ogni giorno la terrificante forza di Amazon. Un’azienda il cui dominio ci appare oggi per scontato, e che invece, nel 2000, quando l’euforia per le dot-com stava svanendo, ha rischiato quasi di fallire. Per non dire del suo enorme caos interno, che più volte ha minacciato la sua stessa esistenza. Così, chiudendo il libro, rimane l’idea di una folle avventura, e un insegnamento prezioso, che nessuno di noi dovrebbe dimenticare. Il mondo è infinito, e la società tende a esserlo.
I limiti sono fatti per essere abbattuti. Perciò non c’è mai nulla di scontato – ogni regno può crollare, un impero può sorgere da un momento all’altro. Quale sarà la prossima Amazon? Verrà dalla Cina o dalla Silicon Valley? Spero di leggerlo in un romanzo, scritto da un vero artista come Brad Stone.
Matteo Farneti
Recensione al libro Vendere tutto. Jeff Bezos e l’era di Amazon di Brad Stone, Hoepli, traduzione di Ilaria Katerinov, 2014, pagg. 336, euro 16,90.