«L’orrore nasce dall’infanzia, l’orrore è legato all’infanzia, non c’è mai vero orrore se non è presente l’infanzia, il senso e il significato dell’orrore si decifrano se si stabilisce una salda correlazione con l’infanzia. Questo vuole dirci King, e non solo questo.»
Antonio Faeti, La casa sull’albero, Einaudi, 1998.
Tommaso e l’algebra del destino (da oggi nelle librerie) è uno dei migliori, se non il migliore, romanzo italiano del 2020. Il testo è breve, ma se lo si legge con un’intensa attenzione si possono impiegare diverse ore per terminarlo. L’elemento iniziale della storia è l’abbandono di un bambino, Tommaso, in un auto tra il 14 e il 15 agosto 2014, chiuso a finestrini e porte bloccati sotto un sole canicolare, un episodio da fatti di cronaca; lo scrittore precisa in molti finali di capitoli un’ora precisa, scandendo con ritmo il tempo che passa. Essenziale è lo sguardo del cinquenne Tommaso, la sua interpretazione della realtà che infonde una vitale linfa kinghiana alla narrazione: il bambino, di cui il protagonista è l’ideale, non ha «un’immaginazione ossificata come gli adulti» (Stephen King) e dialoga con se stesso oppure con il malvagio compagno di scuola, Valerio Frasca, prima una voce nella sua mente e che poi da pagina 54 diventa una vera presenza «in carne e ossa» per la fantasia di Tommaso. La voce di Valerio rappresenta il realismo cupo e disfattista dell’età adulta, più volte infatti ricorda al protagonista che morirà, «non esiste salvezza», «la vita è terribile» e non fa sconti. Interessante è un’idea che si manifesta in Tommaso a pagina 80, si sente diverso dagli altri: «conosco molti vocaboli per la mia età [ha iniziato a leggere], sono un bambino intelligente, quindi sono diverso dagli altri, quindi me lo sono meritato». La diversità è vissuta come una colpa, e già a inizio libro la sua scarsa abilità nel calcio, di cui il padre è stato un ottimo giocatore, è una colpa; il termine «campione» con cui Giorgio Rovere, suo padre, lo chiama non può forse essere una forma di disprezzo? Quanto sono fragili i bambini, ma questo è un romanzo sulla loro resilienza, grazie allo spostamento della realtà verso il fantastico che come dice King «può nascere dalla più banale quotidianità». Qui si affrontano voci contrastanti, ogni cosa ha un’immagine speculare nel mondo della fantasia che, come Tommaso si rende conto, può essere separata da un labile confine dalla follia: «altrimenti sarebbe ammattito» (p. 67), ma «il gusto ferroso del sangue in bocca» lo trattiene in un mondo non corroso dalla «demenza». Oppure si potrebbe ammirare la geniale maestria, due righe sole, con cui l’autore trasforma il pianto, una tipica espressione dei bambini, in un gesto eroico di Tommaso, perché il pianto serve a «fronteggiare il vuoto» (p. 88). Enrico Macioci ha scritto di getto questo romanzo, le parole fluivano ininterrotte tra mente e dita, non vi è stata preparazione (se non attraverso la lettura, la maestra per eccellenza) e ha composto la sua opera più nobile e più alta mescolando abilmente una dinamica narrativa dove il reale è contaminato dal fantastico; compare «una creatura», compare il suo marcescente odore, e non è vista soltanto da Tommaso, un bambino, anche il diciassettenne Filippo vede, percepisce la sua presenza, ma è ormai quasi un adulto, la sua risposta è fuggire e dimenticare (un accattone, non a caso un reietto, ne sente il residuo, «un puzzo di morte»). Tommaso, però, non può né fuggire e né, molto probabilmente, dimenticare mai cosa ha affrontato in quella notte tra il 14 e il 15 agosto. L’infanzia o la prima giovinezza, temi carissimi alle migliori opere di Stephen King, possono diventare nuove ed essenziali prospettive visive ricche di sfumature, sagace saggezza, tenace lotta per la vita: grazie alla fantasia o all’elemento fantastico, due concetti che si sovrappongono, Tommaso e l’algebra del destino è un viaggio di scoperta e di riscoperta delle nostre radici, dei nostri anni di vita di cui conserviamo ricordi non precisi, oppure abbiamo flash iperrealistici, dal fumo di quegli anni sono emersi gli adulti che combattono altre battaglie. Dalla fantasia sfrenata dell’infanzia è nato questo capolavoro.
È davvero confortante che ci sia un autore italiano, in lotta con la vita adulta, che riesca a conservare la fragrante presenza dell’infanzia di noi tutti. A ricordarci, la nostra fragilità, la nostra fantasia, il gioco e l’orrore affrontati nell’infanzia, momento chiave in cui quasi ognuno ha vissuto momenti indelebili che sono paletti piantati nel cuore e che il nostro muscolo vitale ha riassorbito, ma solo in parte. Solo in parte.
Enzo Paolo Baranelli
Recensione a Tommaso e l’algebra del destino (SEM edizioni) di Enrico Macioci, pagg. 159, euro 16.
11 giugno 2020