“C’è una spaccatura dentro l’organismo umano, la spaccatura o fessura tra i due emisferi, quindi ogni tentativo di sintesi resta irrealizzabile in termini umani”.
William S. Burroughs, La Febbre del Ragno Rosso
“Per tutta la vita si vive così vicino alla verità che essa diventa come un’ombra permanente e indistinta nella coda dell’occhio”.
Tom Stoppard, Rosencrantz e Guildenstern sono morti
Comicità, profondità, delirio febbrile, sciatteria e risate sotto il peso di ciò che è rimasto, solido e marcio dell’Impero Sovietico. Questo è La febbre dei Petrov e altri accidenti, romanzo scritto da Aleksej Sal’nikov edito da Francesco Brioschi editore.
In una città degli Urali si muove e si agita il protagonista, il signor Petrov , e “bastava che Petrov prendesse il filobus ed ecco che arrivavano all’istante, o quasi, gli sciroccati a tampinarlo”.
L’uomo comune, un signore come tanti con una testa come pochi, che si aggira ramingo per le strade coperte di neve e subito sporcate dagli pneumatici, in compagnia di beoni da panchina e di delinquenti modello.
La forza e l’ironia di Aleksej Sal’nikov è evidente ad ogni pagina. Così, come in una poesia Dylan Thomas, egli è andato a vederlo quel sole pallido, quella brutta escrescenza che è la vita, è andato nel profondo guardando negli occhi la gente comune, le abitudini sfacciatamente senza senso di chi non fa altro che percorrere le strade senza una meta precisa, di chi è alla ricerca di una bevuta che lo allontani dal mondo, dal dolore e dall’illogicità dell’amore, disperato e tragico eppure così umano.
L’umano sempre l’umano che macina e rode come un animale, una tenebra e su un campo una coltre a coprirlo del tutto.
“Sulla panchina della fermata c’erano seduti alcuni barboni , indistinguibili dai locali, oppure alcuni locali, indistinguibili dai barboni, insomma certi derelitti con i musi rossi o per il freddo o per l’alcool”.
Avevo deciso di leggere questo romanzo in sei ore e mi ero ripromesso di non fare nessun riferimento letterario; poi mi è venuto in mente il libro Memorie di un contadino, del ci-devant illetterato Jean-Marie Déguignet, e la sua lingua elegante e bizzarra, incisa sull’albero della memoria di una civiltà rurale al tramonto sotto l’impero di un Napoleone sbagliato.
Uno lo specchio dell’altro, meravigliosi e potenti, consci che la civiltà che dice di proteggerli si affida alla paura della vittima e alla sua ignoranza.
Petrov è un uomo disilluso e distaccato, che “non aveva mai avuto particolari ambizioni nemmeno in passato e così non riusciva a provare alcuna delusione per la propria vita, di alcune genere”.
Egli è l’occhio che guarda, è il corpo che ci porta sulle spalle, è la febbre che dirada il velo del sonno.
“Petrov riprese i sensi con la luce del sole e all’inizio ebbe l’impressione che a svegliarlo era stato il silenzio”.
Mi sono divertito, continuo a tornarci per vedere delle cose. L’interno dell’involucro.
Edoardo M. Rizzoli
Recensione al libro La febbre dei Petrov e altri accidenti di Aleksej Sal’nikov, Francesco Brioschi Editore, traduzione Leonardo Marcello Pignataro, pagg. 449, euro 20.