Uno mette su un disco dei Rolling Stones e poi per prima cosa pensa: è soltanto rock’n’roll, ma mi piace da morire. Mi succede lo stesso con Lansdale, che rientra in un genere che non mi appassiona, ma che invece, nel suo caso, rotola a meraviglia. Una volta gli ho mandato una serie di domande per una breve intervista che avrebbe dovuto uscire sulla rivista Experience, e lui molto gentilmente mi ha risposto, qui è là, a monosillabi, eludendo i miei sforzi soprattutto dove io cercavo di andare a fondo, sotto una superficie che invece per lui è la cosa più importante. Aveva ragione lui? In effetti i Rolling Stones non stanno di sicuro lì a chiedersi cosa ci sia dietro la facciata. Suonano le chitarre e fanno andare i tamburi, come se non ci fosse nient’altro al mondo. L’intervista non è mai uscita, ma in sostanza quello che Lansdale ha da dire è già tutto nei suoi romanzi: storie da raccontare, di solito con uno o più cadaveri nel bagagliaio e in questo racconto, una marmitta di chili piccante al posto dello champagne – I Can’t Get No. Poche manfrine, soltanto una fottuta storia. Yeah.
Paolo Cioni
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BUONO A NULLA
con Karen Lansdale
Mentre era al volante, Miller udì nella sua testa la voce di sua moglie che lo tacciava di essere un buono a nulla. In genere, il pensiero di sua moglie e il ricordo della sua voce erano cose su cui non gli andava di rimuginare. In quel momento, però, con sua moglie morta e stecchita nel bagagliaio della macchina, quel pensiero non era poi tanto male. Era stato semplice. Erano anni che ci pensava, praticamente sin dal giorno del matrimonio. A Caroline non stava mai bene nulla che lui facesse o avesse fatto. A lei non piaceva il lavoro di suo marito e voleva qualcosa di meglio per lui. Non aveva fatto altro che ripeterglielo e così lui lo aveva lasciato e quando il suo nuovo lavoro era andato a rotoli lei lo aveva criticato aspramente per aver abbandonato il suo impiego precedente, senza rammentarsi o senza ammettere che era stata proprio lei a chiedergli di andarsene. Era sempre così. Immancabilmente. Se lui portava fuori la spazzatura, lo faceva nel modo sbagliato. Non aveva usato due sacchetti. Se usava due sacchetti, lei diceva che era uno spreco. Era tenuto a sapere che differenza passava tra la spazzatura per la quale ci volevano due sacchetti e quella per cui ne bastava uno. Ogni tanto, quando c’era qualcosa di particolarmente disgustoso, Caroline gli consigliava di utilizzare tre sacchetti. Miller sorrise. Per lei aveva usato tre sacchetti. Un bel po’ di sangue. Dunque ci erano voluti tre sacchetti. Era sicuro che lei avrebbe approvato, visto che le botte che le aveva inferto alla testa con la mannaia l’avevano insudiciata tutta e, con ogni probabilità, avevano insudiciato ancor di più la sua macchina. La macchina di sua moglie. La Cadillac lui ce l’aveva ancor prima di incontrarla, ma poi lei se n’era impossessata. Tutto quello che possedevano era di sua moglie. Compreso lui. Ma ora no. Non più. Miller stava sorridendo tra sé quando notò i lampeggianti nello specchietto retrovisore. Gli venne subito il mal di stomaco. Accostò, abbassò il finestrino e rimase in attesa, osservando il poliziotto nello specchietto.
Il poliziotto parcheggiò la macchina, smontò e fece il giro, portandosi accanto al suo finestrino. “Mi spiace, agente,” disse Miller. “Andavo troppo veloce?” Il poliziotto era un tizio allampanato con gli occhiali da sole. Miller vide il proprio riflesso nelle sue lenti. Per qualche ragione, quegli occhiali gli davano la sensazione di fissare gli occhi freddi e calcolatori di un insetto. “Patente, prego,” disse lo sbirro. “Devo essere andato più forte di quanto pensassi,” disse Miller, estraendo il portafogli e aprendolo in modo da far vedere la patente. Lo sbirro prese il portafogli e osservò la patente. “Niente di tutto ciò, signore.” Lo sbirro gli restituì il portafogli. “Le dispiace smontare dalla macchina, per cortesia? E portarsi appresso anche le chiavi?” Miller smontò e il poliziotto lo accompagnò fin sul retro della macchina, indicando il fanale posteriore destro. “Quando ha frenato in prossimità della curva, ho notato che non le funziona questo faro.” “Oh,” esclamò Miller, sforzandosi di non sembrare eccessivamente sollevato. “Con queste macchine,” aggiunse lo sbirro, “a volte qualcosa che sta dentro al bagagliaio finisce per sbattere contro i cavi elettrici, finendo per scollegare qualche cavo. Riattaccarli è facile.” “Bene. Lo farò appena torno a casa.” “Nossignore,” disse l’agente. “Lo faremo subito. Non può circolare con un faro che non funziona. Se non dovesse trattarsi di un cavo scollegato, la seguirò fino a una stazione di servizio dove potrà farselo sistemare.” “Stavo giusto andando a casa. Posso sistemarlo io stesso.” “Sulla sua patente c’è scritto che lei abita a Timberridge, ovvero nella direzione opposta, dunque lei non sta affatto andandosene a casa.” “Beh, volevo dire… dopo aver svolto alcune faccende.” “Apra il baule, signore.” Miller trovò la chiave giusta e aprì il bagagliaio. Il grosso sacchetto, simile a un bozzolo, occupava quasi tutto lo spazio disponibile. “Non ce l’ha una ruota di scorta?” chiese lo sbirro. “No, signore. L’ho tolta. Avevo intenzione di donare un po’ di roba ai bisognosi e così l’ho infilata in un sacchetto. C’era tanta di quella roba che per farci stare tutto ho dovuto tirare fuori la ruota si scorta.” “Certo che la scarpa che ha intenzione di donare è proprio bella,” disse l’agente. “Mia moglie ne ha un paio molto simili.” “Prego?” “La scarpa.” Miller diede un’occhiata. Il fondo del sacchetto si era rotto e una scarpa di Caroline spuntava dallo squarcio. Non si vedeva la caviglia, ma solo la scarpa, il cui tacco poggiava sul cric. “Già,” disse Miller. “Mia moglie è fatta così. Compera dozzine di paia di scarpe. Non appena pensa che qualcosa sia andata giù di moda, se ne sbarazza. Però… scarico un bel po’ di soldi dalle tasse. Voglio dire, con tutta quella beneficenza… ” “Diamo un’occhiata a quel faro,” disse l’agente. Lo sbirro si sporse in avanti e diede un’occhiata all’interno del bagagliaio. “Ecco cos’è che non va,” disse. “Questo sacchetto pieno di abiti è finito contro i cavi elettrici.” Lo sbirro cercò di spostare il sacchetto, esitò, si voltò dalla parte di Miller e lo guardò con le sue lenti che gli conferivano l’aspetto da insetto. Miller vide il proprio riflesso in quegli occhiali. In quelle lenti, sembrava rosso e sudato. “E lei dice che questo sacchetto è pieno d’abiti?” Miller annuì. “È pesantissimo,” disse l’agente. “È stracolmo di roba,” disse Miller. L’agente allungò una mano e toccò il sacchetto, spostandolo. La gamba di Caroline, che Miller aveva piegato, si allungò fulmineamente all’interno del sacchetto, evidenziando non solo la scarpa ma anche mezza gamba lucida rivestita da una calzamaglia. Mentre l’agente cercava di estrarre la pistola, Miller allungò una mano e prese il cric. Miller fu più rapido. L’attrezzo si abbatté sul cappello da cowboy dello sbirro, sgualcendolo, e poi si abbatté sulla testa che stava sotto. Lo sbirro si accasciò dritto tra le braccia di Miller. Miller lasciò cadere lo sbirro e lo colpì tre volte sulla testa con il cric, tanto per essere sicuro. Una volta che Miller ebbe finito, gettò lo sbirro nel baule.
Stava per chiudere il portellone, quando udì un suono. Guardò alla sua sinistra e lì, in mezzo a un sentiero sul fianco di un declivio boscoso, vide un giovane con uno zaino sulle spalle e un bastone da escursione in mano. L’escursionista si voltò rapidamente e se la squagliò sul declivio, infilandosi nel sottobosco. “Dannazione,” sbottò Miller. Sfilò la pistola dal fodero dello sbirro, chiuse il baule e corse dietro all’escursionista. Miller era in discreta forma fisica e quell’uomo aveva lo zaino sulle spalle e così, nel volgere di poco tempo, se lo trovò in vista. L’escursionista si era sbarazzato del bastone e stava cercando di disfarsi dello zaino, senza smettere di correre. Emetteva degli strani suoni, come un animale in trappola. Si liberò dello zaino e abbandonò bruscamente il sentiero, infilandosi nel bosco. Miller gli andò dietro. Mentre quell’uomo arrancava su un pendio coperto di rampicanti, Miller prese la mira e schiacciò il grilletto. La pallottola si infilò nel fianco della collina, mancando il bersaglio. L’escursionista guadagnò la sommità della collina e stava per scendere dall’altra parte del colle quando Miller esplose il secondo colpo. Stavolta Miller aveva inquadrato il bersaglio perfettamente. L’escursionista si beccò un colpo nella schiena, rotolò giù dalla collina e andò a sbattere contro una serie di alberi dal tronco sottile, per poi terminare la corsa ai piedi di Miller. Da terra, l’escursionista rivolse a Miller uno sguardo di supplica. “Niente di personale,” disse Miller. “Sul serio.” Gli sparò in testa. Due volte. Miller rifletté se era il caso di lasciarlo lì, ma poi decise che sarebbe stato meglio sbarazzarsi del cadavere insieme allo sbirro e a sua moglie. Aveva in mente di nascondere Caroline in un vecchio pozzo che lui conosceva bene e che si trovava all’interno di una proprietà abbandonata. Era sicuro che ci sarebbe stato sufficiente spazio anche per lo sbirro e per l’escursionista. Miller si infilò la pistola nella cinta dei pantaloni e la coprì con la camicia. Raccolse lo zaino e il bastone dell’escursionista, lego il bastone allo zaino e si mise lo zaino in spalla. Si caricò il cadavere dell’escursionista sulle spalle, con una presa da vigile del fuoco, e si avviò verso la strada e la sua automobile. Miller giunse esausto nei pressi della strada. Non si trattava di un omone, ma portare zaino, cadavere e bastone e per giunta farlo su quel terreno accidentato non fu una cosa semplice.
Giunto ai margini della strada, Miller controllò che non ci fossero automobili in arrivo. Non ce n’erano. Finalmente, la fortuna era dalla sua parte. Attraversò la strada con il cadavere in spalla, lo lasciò cadere in terra, tirò fuori le chiavi dalla tasca e aprì il baule. Sollevò il corpo e cercò di ficcarcelo dentro insieme allo sbirro e a Caroline. Non ci stava. Tirò fuori il corpo e, mentre lo faceva, la mano di quell’uomo si infilò nel sacchetto contenente Caroline, squarciandone tutti e tre gli strati. Ne spuntò il volto di Caroline. Miller lasciò cadere l’escursionista morto e osservò quel viso bello ma beffardo. Era come se stesse dicendo: “Sei un buono a nulla. Sei il solito buono a nulla.” Miller chiuse il portellone con violenza, trascinò l’escursionista sul fianco della Cadillac, aprì la portiera posteriore e caricò il cadavere all’interno. Ci mise anche lo zaino e il bastone. Madido di sudore, Miller si mise al volante. Non aveva fatto molta strada che la macchina prese a sbandare e, in un momento di rabbia, Miller si rese conto che era la gomma posteriore destra. Quella che Caroline gli aveva detto che aveva bisogno di essere gonfiata. Gliel’aveva menata per un’ora, dicendogli che avrebbe dovuto gonfiarla, catechizzandolo su come avrebbe dovuto fare manutenzione alla macchina e via discorrendo, e così lui aveva preso la mannaia e l’aveva messa a tacere. Ma aveva ragione lei. Quella gomma aveva bisogno di essere gonfiata. Certo, non si sarebbe potuto fermare a una stazione di servizio per gonfiarla. Qualcuno avrebbe potuto scorgere il cadavere dell’escursionista sul sedile posteriore. Miller abbandonò la strada statale e si immise su una strada sterrata, scese dalla macchina e aprì il baule. Il corpo di Caroline era rotolato su un fianco e in quel momento le sue labbra erano finite contro le labbra dello sbirro morto. Infedele persino da morta, pensò Miller. Aveva iniziato a fargli le corna un mese dopo le nozze e lo stava facendo anche in quel momento, da morta. D’un tratto, Miller si ricordò che non disponeva di una gomma di scorta. “Dannazione,” sbottò. E poi udì il rumore di una macchina che accostava e si fermava.
Due adolescenti, un ragazzo e una ragazza, avevano parcheggiato dietro di lui. Smontarono, sorridendo. “Ehi, signore, serve una mano?” gli chiese il ragazzino. “No,” rispose Miller, ma ormai gli erano accanto. Vide gli occhi della ragazza spalancarsi mentre guardava dentro al baule. “Johnny!” esclamò, ma anche Johnny aveva scorto i corpi. Johnny fece per correre verso la macchina. Miller estrasse la pistola, gli sparò alla schiena e lo sbatté giù. La ragazzina se la diede a gambe sulla strada, nella direzione opposta. Miller fece un passo, mettendosi in mezzo alla strada, prese la mira e fece fuoco. La ragazza finì a faccia in giù nella polvere, scivolò e rotolò sulla schiena. Miller, esausto, si infilò la pistola nella cinta dei pantaloni, raccolse prima il corpo della ragazza e poi quello del ragazzo e li mise sul sedile posteriore, insieme all’escursionista. Controllò le gomme della macchina degli adolescenti. Troppo piccole. Non andavano bene per la Cadillac. Spossato e incazzato, Miller tolse due proiettili dalla pistola dello sbirro e ricaricò la sua. Meglio essere pronti per ogni evenienza. Chiuse il baule e si allontanò da lì con la gomma ormai a terra. Finalmente, Miller individuò una stazione di servizio di quelle in cui ti servi da solo e si fermò. Temeva che la gomma fosse talmente malridotta da rendere vano ogni tentativo di gonfiarla. Ma si sbagliava. La gomma si gonfiò e tornò a essere della dimensione normale. Ma non tutto andò per il verso giusto. C’era una piccola perdita. La sentì sibilare. Riempì la gomma alla meglio, poi si allontanò in direzione del pozzo. Sperava che fosse abbastanza profondo da contenere tutti. Miller giunse al pozzo che ormai era buio. Il pozzo si trovava nei pressi di quel che restava di una vecchia casa e la casa si trovava nel mezzo di un pascolo coperto di erbacce. La casa era stata sferzata, stuprata e praticamente annichilita dalle forze della natura. Il muretto di mattoni che delimitava il pozzo si era quasi del tutto sbriciolato e l’imboccatura era coperta da una vecchia asse di compensato marcio. Miller parcheggiò la Cadillac accanto al vecchio cancello, smontò e lo aprì, poi avanzò e si portò nei pressi della vecchia casa e del pozzo. Mentre accostava, dei piccioni si alzarono in volo dalla casa in rovina, chiazzando per un istante il cielo grigio, dopodiché sparirono e un silenzio assoluto tornò a regnare. Miller tolse l’asse di compensato dal pozzo e diede un’occhiata. Era troppo buio per scorgerne il fondo, ma si rese conto che buona parte del pozzo era andata in malora. Da ragazzino ci era andato a giocare molte volte e, solo un anno prima, per pura nostalgia, era venuto fin lì a rivedere la vecchia casa e il pozzo.
Quando aveva undici anni, lui e Trudy Jo Terrence ci erano andati a giocare. Lui l’aveva baciata dentro la vecchia casa. A quel tempo, il tetto era ancora al suo posto e le pareti erano in piedi. Si domandò cosa ne fosse stato di Trudy Jo. Avrebbe dovuto sposarla. Sposare Caroline era stato un grossissimo sbaglio. Lo aveva fatto diventare matto e ora, per sbarazzarsene, era stato costretto ad ammazzare quattro persone innocenti. Miller cominciò dagli occupanti dei sedili posteriori. Fece cadere nel pozzo la ragazzina a testa in giù. Il suo cadavere produsse un rumore simile a quello di un servizio da tè andato in frantumi. Miller trasalì, ritraendosi. Era una ragazza carina. Poi, buttò giù il ragazzo. Quel codardo se l’era data a gambe. Non aveva neppure cercato di aiutare la ragazza. Miller lo lasciò cadere nella tromba del pozzo. Il rumore stavolta fu più attutito. Dopodiché, fu la volta dello zaino, del bastone e dello stesso escursionista. Trascinò lo sbirro dal baule fino al muretto del pozzo e lo buttò giù. Miller ci rimase male quando buttò giù lo sbirro. I piedi dell’uomo rimasero fuori dal pozzo, spuntando vistosamente. Quel dannato pozzo era pieno. Miller si diede da fare per spingere lo sbirro più giù, ma non ci fu verso. Il pozzo era stracolmo. Miller tirò fuori dal baule il cric che aveva usato per colpire lo sbirro e cominciò a menargli delle botte alle gambe finché non ruppe un numero di ossa sufficiente a fargliele piegare. Gli spinse le gambe verso il basso con forza, producendo uno scricchiolio. Ora c’era spazio a sufficienza per rimettere l’asse di compensato sull’imboccatura del pozzo.
L’unico problema era che gli restava da occuparsi del cadavere di Caroline. Quella donna rappresentava sempre un problema. Miller risistemò l’asse di compensato sul pozzo, fece ritorno alla Cadillac e si allontanò alla volta della città. Man mano che si avvicinava alla città, la macchina iniziò a oscillare. La gomma stava sgonfiandosi nuovamente. Si fermò a una stazione di servizio e la gonfiò. Stavolta, Miller non era più in tensione come prima, anche se le macchie di sangue sul sedile posteriore lo preoccupavano non poco. Era convinto che sarebbero venute via facilmente, dato che i sedili erano di plastica. Avrebbe ripulito anche il baule, da cima a fondo. Niente macchie di sangue o capelli incriminanti. Nessuno avrebbe mai fatto un lavoro di ripulitura migliore del suo dopo un omicidio. Beh, dopo alcuni omicidi. E avrebbe fatto la stessa cosa anche in casa sua. Ci fu un rumore secco e il tubo dell’aria si sganciò dal pneumatico, producendo un sibilo perforante. Una macchina era andata a sbattere contro il paraurti posteriore della Cadillac, spedendola in avanti di un buon metro!
“Ehi,” esclamò Miller. Un giovane in evidente stato di ebbrezza smontò da una vecchissima Ford. “Santo cielo, mi spiace. Non l’avevo vista.” “Non hai visto una Cadillac blu parcheggiata davanti a te, accanto alla pompa dell’aria di una stazione di servizio?” “Già.” “Razza di un’idiota!” “Ehi, non c’è bisogno che lei si stizzisca, amico, se non vuole beccarsi un cazzotto sul naso.” “Non penso proprio,” disse Miller. Poi rifletté: fantastico! Sto per fare una scenata e non ho certo nessuna intenzione di attirare l’attenzione su di me. Cosa mi sta succedendo? “Lascia perdere,” disse Miller e se ne andò. Miller gironzolò per la città per un’ora, con la gomma che perdeva, cercando di pensare a un posto adatto a sbarazzarsi del cadavere di Caroline. Non gli venne in mente nulla. Alla fine, decise di gonfiare la gomma ancora una volta, di portare il cadavere a casa e di lasciarlo nel baule per tutta la notte. In tal modo, avrebbe avuto la possibilità di dare una ripulita al salotto. Nessuno si sarebbe nemmeno accorto che lei era sparita. L’indomani avrebbe trovato un posto in cui scaricarlo. Trovò una stazione di servizio, gonfiò la gomma e fece ritorno a casa. Mentre imboccava il vialetto di accesso di casa sua, Miller fu sopraffatto da una forte frustrazione. Forse Caroline aveva ragione. Era un buono a nulla. Stava andando tutto a rotoli. Avrebbe dovuto pianificare con cura il suo omicidio invece di ammazzarla dietro un impulso improvviso e, forse, avrebbe potuto gestire meglio persino la situazione dello sbirro. No, si rassicurò. L’aveva dovuta uccidere quando ne aveva avuto la possibilità e lo stimolo. Proprio come lo sbirro. E gli altri. Non aveva avuto scelta. Mentre Miller chiudeva la portiera della Cadillac, sentì qualcuno dire, “Miller, che ne dici di una partita a ramino?” Era Terrence, il suo vicino di casa. Da quando sua moglie era morta, quel tizio aveva cercato di diventare il suo amicone. Lui aveva sospettato che, in realtà, Terrence stesse dietro a Caroline. Non faceva altro che guardarla e Miller aveva quasi sperato che scappassero via insieme, ma Caroline non aveva mai manifestato nessun interesse per Terrence. Le piaceva fare la svampita con i suoi colleghi di lavoro o alle feste di Natale. Ma non aveva nessuna intenzione di scappare con nessuno di loro. Le piaceva fare le cose a modo suo. Faceva la svampita con i colleghi, poi tornava a casa e gli rompeva le palle. Terrence era fermo accanto al posteriore della Cadillac di Miller e si stagliava contro la luce dei lampioni, agitando un mazzo di carte. “Grazie, Terrence, ma penso di no,” rispose Miller. “Non stasera. Sono stanco.” “D’accordo,” disse Terrence. “E Caroline?” “Oh, no. È morta, Terrence. Non ce la farebbe proprio.” “Uhm,” mugugnò Terrence. “Dai un’occhiata al posteriore della tua auto.” Miller girò lentamente intorno alla sua Cadillac, portandosi accanto alla parte posteriore. Non l’aveva mai realmente osservata. Il paraurti era piegato e il baule era ammaccato. “Te n’eri accorto?” “Già, un tizio mi ha tamponato alla stazione di servizio.” “Spero che ti sia fatto dare il suo nome e i dati della sua assicurazione.” “Ovvio.” “Ehi, guarda qua,” disse Terrence, afferrando il lembo accartocciato del baule. “Sta staccandosi.” Il baule si alzò di scatto. Caroline, la cui testa era fuoriuscita del tutto dal sacchetto lacero, era accovacciata in una posizione bizzarra, con la sua solita espressione petulante e uno squarcio di sangue rappreso sulla sommità della testa. “Santo Dio!” esclamò Terrence. “Già,” disse Miller, estraendo il revolver del poliziotto da sotto la camicia. Premette la pistola contro la pancia di Terrence e tirò il grilletto. Si sentì come un colpo di tosse attutito e Terrence e le sue carte finirono sul vialetto. Terrence era pesante e Miller era stanco, ma riuscì a infilare il corpo nel baule, a spingere Caroline su un fianco e a chiudere il portellone. Raccolse le carte di Terrence, se le mise nella tasca posteriore, andò in garage a prendere del fil di ferro con cui tenere chiuso il baule. Non riuscì a trovare altro che del sottile filo di rame. Se lo sarebbe dovuto far bastare. Una volta che ebbe finito di assicurare il portellone al baule, decise che, considerato che aveva due corpi, avrebbe fatto bene a sbarazzarsene quella notte stessa. Terrence aveva una sorella ficcanaso e l’indomani se ne sarebbe andata in giro a cercarlo. Miller sapeva bene che, in quanto suo vicino, sarebbe stato interrogato e che dunque non sarebbe stata una buona idea tenere Terrence nel baule della sua macchina. Inoltre, si sarebbe dovuto far venire in mente un motivo per spiegare l’assenza di Caroline. Forse avrebbe potuto fare in maniera che si pensasse che era scappata via insieme a Terrence. Ora sì che aveva un’idea. Dio santo, pensò, stasera ho un bel po’ di cose da fare. Devo sbarazzarmi dei cadaveri, devo lavare via il sangue in salotto e ripulire il baule della macchina. Fin troppe cose a cui pensare.
Attraversò nuovamente la città. La macchina prese a sbandare. Porca puttana, pensò Miller, non ho cambiato la gomma! Che razza di un buono a nulla. Ma, ora che sul sedile posteriore non c’era nessuno, Miller decise di farsi rappezzare la gomma. Entrò in una stazione di servizio e si fece una Coca e delle noccioline, in attesa che gli sistemassero la gomma. La stazione di servizio era gestita da un uomo solo che aveva il suo bel daffare a correre sulla parte anteriore per farsi dare i soldi dai clienti del servizio fai-da-te, per poi tornare a occuparsi della gomma di Miller. Una volta che ebbe finito di riparare la gomma e che l’ebbe rimessa al suo posto, di modo che la macchina fosse pronta per partire, disse, “Signore, venga qui.” Miller si girò dalla sua parte e il benzinaio, che aveva una maglietta con il nome Alex scritto sopra il taschino, disse, “Lo sa che dal suo baule cola qualcosa?” Miller diede un’occhiata. Era un rivolo scuro di sangue. “Olio,’” disse Miller. “Non credo proprio,” disse Alex, accovacciandosi per dare un’occhiata e toccando la scia umida con le dita. “Sembra sangue.” “Ebbene sì,” disse Miller. “Ho sparato a un cane. Stava distruggendo le aiuole fiorite di mia moglie. Mi detesto per aver fatto una cosa del genere, ma era da parecchio tempo che questa storia andava avanti, così l’ho ammazzato. Stavo portandolo via.” “Ah,” disse Alex. “A me i cani piacciono.” “Anche a me,” disse Miller, “ma non quando scorrazzano tra le aiuole di mia moglie.” Alex tirò fuori uno straccio dalla tasca e si asciugò il sangue dalle dita. “Direi che qui ho finito,” disse Alex. “Ottimo,” disse Miller, incamminandosi di nuovo verso la pompa della benzina. Si fermò e si voltò a guardare. Alex era chino accanto al baule. Teneva in mano un paio di tronchesine e stava tagliando il filo di rame. Il portellone del baule si sollevò di scatto. Alex guardò dentro ed emise un bel respiro. Poi, si girò dall’altra parte, trovandosi Miller fermo davanti a lui, con un attrezzo da lavoro in mano. Ci vollero tre colpi per mandare Alex al tappeto. Miller sistemò Alex sul sedile posteriore insieme allo straccio e alle tronchesine. Poi richiuse il baule. Per finire il lavoro, gli bastò rimettere la gomma sulla ruota e stringere i bulloni. Miller lo fece da solo e poi lasciò cadere l’attrezzo. Comunque, prima di finire il lavoro, intascò trentacinque dollari per la benzina da alcuni clienti, vendette un barattolo d’olio e respinse un cliente che voleva farsi sistemare una gomma. Alla fine, Miller optò per un lago ai margini della città. Non era la sua prima scelta, ma gli sarebbe dovuta bastare. Si portò appresso degli attrezzi pesanti dalla stazione di servizio e li ammonticchiò sul sedile posteriore, sul corpo di Alex. Al momento della partenza, la sua macchina era notevolmente appesantita.
Appena fuori città, un agente della stradale lo fermò per via del faro posteriore. Che Caroline, oppure quel ficcanaso di Terrence, fossero dannati. Uno di quei due era nuovamente andato a sbattere contro i circuiti elettrici. Tuttavia, lo sbirro non riuscì a dire granché. Miller, senza pensarci su troppo, lo ammazzò con la pistola dell’altro sbirro. Con un sospiro, Miller trascinò il poliziotto fino a collocarlo sul sedile anteriore, accanto a sé, lo mise a sedere composto e gli abbassò il cappello, coprendogli il foro che il proiettile gli aveva aperto sulla fronte. “Un buono a nulla,” sentì Caroline dire. Miller sospirò. “Hai ragione, cara. Hai proprio ragione.” Miller si avviò verso il lago. Al suo arrivo, Miller restò sorpreso di trovare quel posto deserto. Niente sbirri. Niente escursionista. Niente ubriaconi che lo tamponavano. Niente vicini di casa impiccioni. Niente adolescenti solerti. Solo i boschi e il lago, ampio e umido, illuminato dal chiaro di luna. Miller stava per legare il poliziotto e Alex, il benzinaio, ai pesanti martinetti quando gli venne un’altra idea. Avrebbe semplicemente spinto la macchina fino a farla finire in acqua. Avrebbe potuto dire che Caroline si era allontanata in macchina. Che se n’era andata via insieme a Terrence. Avrebbe funzionato. Si sarebbe inventato tutto, dicendo che, in una circostanza, li aveva sorpresi a letto insieme. Qualcosa del genere. Una volta tornato a casa, ci avrebbe riflettuto sopra seriamente. Casa. Ci sarebbe dovuto tornare a piedi, il che avrebbe richiesto un po’ di tempo, ma sarebbe stato meglio sbarazzarsi dell’automobile zeppa di indizi. Senza la sua macchina, lui avrebbe potuto rafforzare il quadro che aveva intenzione di creare: il povero marito la cui moglie è scappata con la loro macchina insieme al vicino di casa. Nel momento in cui qualcuno avesse deciso di perlustrare il lago, lui avrebbe concepito da tempo un sistema per cambiare identità e per trasferirsi da un’altra parte. Già, ecco cosa avrebbe fatto. Avrebbe ricominciato da zero. Qualcuno lo aveva già fatto. Di informazioni su come farcela non ne mancavano. Bastava fare una ricerca. C’erano persino dei libri sull’argomento. Avrebbe potuto farcela. Caroline si sbagliava. Non era un buono a nulla. Era un fine pensatore, ecco cos’era. Miller condusse la macchina nel punto più adatto a farla cadere in acqua. Mise in folle, smontò e si portò sul retro della Cadillac, dopodiché le diede una spinta. Poco prima che la macchina finisse oltre il margine della riva inclinata, il cavetto che teneva chiuso il baule si spezzò. Il baule si spalancò di colpo, colpì Miller sotto il mento e lo spedì al seguito dell’automobile. In men che non si dica, si ritrovò sott’acqua. La macchina affondava sotto di lui e lui venne risucchiato con essa. Non avrebbe saputo darsene una spiegazione, però venne risucchiato verso il basso, e pure a gran velocità. Alla fine, si accorse che il cavetto che aveva tenuto chiuso il baule si era impigliato nella sua camicia, che una estremità era tuttora attaccata al paraurti e che dunque la macchina se lo stava trascinando con sé verso il baso. Miller cercò di agguantare il cavo, si strappò la camicia e si liberò. Mentre saliva in superficie, anche Caroline venne a galla, completamente libera dai sacchetti di plastica. Sobbalzò sulla superficie dell’acqua e gli andò a sbattere sopra. Miller cercò di allontanarsi da lei a nuoto, ma le sue gambe non ne vollero sapere di muoversi. Miller scalciò e lottò, ma i movimenti delle sue gambe si fecero sempre più difficili. Si piegò sotto la superficie dell’acqua per liberarle. I tre sacchetti di plastica in cui Caroline era stata contenuta gli si erano attorcigliati intorno alle caviglie. Strapparli per sbarazzarsene gli risultò impossibile e lui andò a fondo, sempre più a fondo. Miller lottò con la plastica finché le sue energie si ridussero al lumicino. Stava quasi per raggiungere il fondo. Gli venne a mancare il respiro. Gli restava un solo pensiero in testa. Caroline aveva ragione. Era un buono a nulla. In quell’oscurità liquida, si vide passare accanto Caroline. Stava affondando insieme a lui, mulinando su se stessa come una ballerina felice.